30/12/14

Tutto qui.



    Candidamente accolsi il torto come una liberazione. Assumermi le responsabilità mi ferì non poco sul principio, anche perché ero convinto, al limite, che ce le saremmo dovute dividere in egual modo; ma poi capii che poteva essere solo quella la strada da percorrere per non portarmi appresso uno straccio scivolato sul terreno sul quale sarei potuto inciampare altre volte.
Come al solito la reazione immediata fu il silenzio. Mi confortava il fatto che anche tutte le altre volte mi era capitata la stessa cosa. Poi l' analisi.
Era consuetudine che la mia parte razionale nella congiunta prossimità dell' accaduto avesse il sopravvento. Tagliavo il fatto come una mela per la macedonia, cercando di scorporare anche il minimo degli atteggiamenti miei che aveva suscitato in lei quella reazione, tanto da schiantare in me fino all' ultimo briciolo di stima che in ella avevo riposto.
Erano trascorsi quarant' anni da quando ero stato concepito,  una buona ventina dei quali, passati ad interrogarmi, fra relazioni lunghe e relazioni durate delle serate, sui motivi della mia reticenza all' apertura del cuore. Tre volte, era successo solo tre volte, due delle quali mi avevano restituito in premio degli sganassoni serviti come palancate sugli zigomi. E chissà quante altre volte avrei dovuto farlo ma non ci ero riuscito, carenza di stimoli, o non ne avevo avuto il coraggio...sta di fatto, che alla soglia dei miei quarant' anni mi ero ritrovato di nuovo lì, di fronte ad un nemico che già avevo conosciuto, di fronte a quegli stati d' animo dove tutto e' abbandono in bianco e nero, vento freddo e sabbia che se ne va verso il mare spinta dalla brezza.
Si, perché in fondo e' più comodo rifugiarsi nella grandezza della Natura. Osservarla ci da il taglio delle sue immensità, e di fronte a quelle non possiamo che sentirci piccoli e sbagliati. Ecco venir fuori il mio atteggiamento vigliacco di chi se la fa sotto magari per non dire un "vaffanculo" in più a chi lo potrebbe anche meritare. E ancora via con la favola del gentleman...si, Giulio, raccontati che sei un signore e che tutto passa... passa passa, passa un cazzo!! Tutto resta, anche una sola notte, lo sguardo di una donna amata, il suo sudore ed i suoi brividi, tutto! Altro fatto e' se ci si incontra. Si, perché scopare e' una cosa, altro e' cercare di immergersi nell' altro fondendosi fino a divenire un tutto. E non e' mica che ci riesci sempre con chi vuoi, anzi... A me e' capitato spesso che avessi una strana sintonia sessuale con delle persone che avevo prima odiato, e poi adeguatamente ignorato. D' un tratto era successo qualcosa, di li il fuoco.
Ero e sono un cercatore di sguardi e di gesti. La seduzione e' una donna vestita da accogliere lentamente e mettere a suo agio. Le sue mani, come le muove, ed il suo odore. Il profumo della pelle certo, purché non puzzi, poi morbida e sapientemente taciturna.
Eccomi qui. Era colpa mia. Cosa avevo mai potuto fare per ferirla in questo modo...? Non riuscivo a farci bene l' amore, questo si. Il compitino non era mai diventato, ma questo non implica che ci fosse una sintonia di quelle da urlo anzi, per la verità avevamo anche sperimentato, mai riuscendo ad incontrarsi sulle nostre affinità e sul nostro desiderio. Questo mi dispiaceva, perché lei era anche una brava donna, ma per uno stronzo come me ce ne voleva una parecchio più stronza, una di quelle che ti fa fregnone.
Niente. Ero andato via senza dirle niente. La porta dell' auto si era chiusa come se fosse il cancello di Paul e Nina, e dalla parte opposta chiudessi un mondo in bianco e nero che non avrei più ritrovato. Non c' erano state urla, ne dita puntate, solo la mia frase sibillina nel dirle "ci sentiamo", sapendo entrambi che assomigliava molto di più ad un addio. Il suono del motore acceso aveva tracciato una linea sopra l' accaduto non spezzando quello che era stato con quello che sarebbe stato poi. Quella strada buia e quel freddo mi avevano fatto accendere di nuovo i fari ed i riscaldamenti, rimettendomi sul serpentone di luci sull' asfalto che solo la Cassia fra S. Godenzo ed il GRA può regalarti.
Avevo freddo, un nuovo freddo dentro. Indossai la cintura, cosa che non facevo mai, solo per il conforto che mi dava averla addosso. Pensai che la radio mi avrebbe aiutato a non piangere, ma quando alzai, le note di Oro, la canzone di Mango, spentosi qualche settimana prima, mi bagnarono gli occhi di commozione, al punto da non riuscire a vedere bene la strada che fortunatamente conoscevo a memoria.
Stavo piangendo per lei? No! Assolutamente no. Mi dispiaceva, certo, ma non piangevo per lei. Allora forse piangevo per Mango? Nemmeno. Dunque? Stavo piangendo per me. Per quel tempo investito su quella persona che si era tramutato in una frazione di secondo, in un cestino pieno di rifiuti, e quei rifiuti erano i mesi con lei, dove ero stato bene e tranquillo, dove avevamo discusso e dove il nostro vivere insieme aveva iniziato lentamente a lacerarsi. Buttavo altro tempo dietro alla ricerca di quel qualcosa che non riuscivo più a trovare in nessun' altra vicino a me.
Eppure non ero una persona esigente. Auspicavo soltanto di vivere tranquillo il mio desiderio con la mia lei, raffinatamente ferendomi e guarire, per poi aver famiglia. E i suoi capelli lisci mentre accarezzando il viso con il dorso della mano misuravo le sue rughe, le mie, dando il taglio al tempo attraversato insieme, e comunque sconfitto dal nostro amore divenendone alleato. Volevo guardarla e tacere, volevo che lei capisse, e volevo capirla io. Sognavo di un fremito duale, un incontro di volontà, che ci avrebbe fatto vestire e spogliare in gran segreto, all' insaputa di tutti, come un rotolo di papiro da conservare in un comò per non rovinarlo facendogli prendere polvere, o un orologio fermo sulla stessa ora da parecchio tempo.
Giulio, hai quasi quarant' anni, guardati! Ripetevo sull' ultimo dei molti "per averti pagherei", forse e' il caso che lasci stare. Cerchi l' impossibile. Sistemati. Non puoi pretendere che tutto sia perfetto.
Ma come l' impossibile! E cosa sarebbe l' impossibile che cerco? La perfezione? Quando mai! Delle donne che ho amato ho amato soprattutto i loro terribili difetti, facendoli col tempo miei li ho corteggiati, e poi portati in alto seducendoli, e facendo di loro strumenti di stessa seduzione nei confronti miei.
No! Non smetto di cercare! Sei tu ad aver paura di restare solo, sei tu ad accontentarti del nulla pensandolo come se fosse tutto. Non smetto di cercare! Da qualche parte ci deve pur essere una persona come me, che ha abbandonato la sua patina e la sua maleducazione per un raffinato crogiolarsi in quel che lei desidera davvero.
Ho scavato, e sto scavando in me. Voglio e cerco una donna che m aiuti ed abbia il coraggio di non accontentarsi, proprio come faccio io. Se non la trovo pazienza, almeno non avrò posticipato a data da destinarsi le mie paure. Almeno non avrò il rimpianto di non averci nemmeno provato per poi trovarmi al fianco un' altra persona che mi faccia compagnia ma non conosco, per queste cose ci sono gli ospizi per la terza età.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved











28/12/14

Il coraggio delle scelte.




      L' amore immenso, insopportabile. L' amore che ti addolora, quello difficile e di cui si ha paura. Meglio quello dei vent' anni, frivolo, importante, senza vezzi ne confini apparenti ma con le maschere che ancora non l' hanno compromesso. Capirlo e' più semplice, guarirne forse anche, ma senza dubbio lascia meno sensi di colpa quando va via. Ecco perché e' più facile. Ci si innamora, poi l' amore o l' oggetto dell' amore arrivano a deluderci, ed in mezzo a drammi di cui non si delimitano gli argini, si soffre e talvolta si perdona. L' amore delle età avanzate si plasma su una base già mescolata che proviene da altro. Riguarda se stessi, perché nella maggior parte dei casi si ha già amato. Probabilmente la delusione ha già scalfito quella linfa dell' amore che infiamma. Il calore che lo avvolge e' diverso, come un ricordo di quel fuoco da rinvigorire e da riaccendere. Come brace giace dentro le nostre intensità, le percezioni. Dentro i nostri sguardi si insinua e si alimenta, dando significati o ragioni a comportamenti che ci tolgono l' ipocrisia, quelle maschere che indossiamo per timore di tornare ad amare. Arde pensoso e riflessivo, avvolgendosi ed arrampicandosi di nuovo su quel ramo di sogni che abbiamo tirato via quando tutto ci e' sembrato da perdere. Ed invece ancora lì, immobile e melenso, senza timore di apparire per com' e'. Esso giace voltandosi soltanto di fronte al non volerlo accettare non capendone la sua complessità. Irradia i nostri pensieri e di essi si nutre, non capendo quale direzione prendere per liberarsi. Forse si eleva in volo per poi ricadere a terra sbattuto dalle vertigini dell' età andata. Forse si poggia e si stringe a quella terra, impedendo a qualsiasi cosa di spostarlo altrove. Forse scava, finendosi le unghie nel terreno e scoprendo il sottosuolo per dar luce. Sotto i colpi anziani immobile patisce. Messo al vento e ai sogni il cuore ancora nasce. Fermo, torna giovane per poi cospargersi di ragnatele e polvere, fino a che le calde braci facciano il loro sciogliendo quell' attonita rinuncia in qualche lacrima caduta. Tutto tace, come dopo un terremoto. Tutto quel che resta e' ricordo, paura, e al tempo stesso il brusio qua e la di qualche superstite che di morirne non ne vuol proprio sentire. L' amore che resta dentro una persona sola e' più pesante ed aggressivo soltanto verso la stessa. Ecco spiegato il perché di tante coppie costruite su quella maschera. Persone che non vogliono esser sole. Matrimoni, figli e relazioni sono spesso il rifugio di chi non ha il coraggio di sentirsi vivo. Spostano su altri la virtù venuta meno e sugli stessi poi ricade il tomo delle colpe per le scelte che non si e' volute fare.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

27/12/14

Piatra Neamt.




    Volti di vetro e cristalli attraversano nuvole e nebbia, dove il freddo si adagia lasciandosi dietro pulviscolo e crepe. La virata del vento attraversa le giacche e dal ventre congela le ossa. Sono ibridi di sensazioni inavvertitamente confuse o rovesciate, dove il gelo fitto abbandona il corpo a percezioni di bollori e vapore. Mescola delle volontà e criteri capovolti per difendersi dall' ipotermia cerebrale, che attanaglia, che non lascia, fino ad avvolgere il residuo corporeo e le periferiche dita di mani e dei piedi. Vortici velati di brina come resina poggia al terreno ed agli alberi mentre gli occhi ormai rossi di madido freddo resistono e osservano per quello che possono. Lo scenario che si offre e' offuscato, quasi portato via. Come una foto sfocata lontano mi appare, coi contorni di nuvole grigie e tremante confine. Barre di neve si spezzano a tranci e slavine scendono pattinando e frizzando sulla neve in caduta. Un abete mi protegge, un abete mi tiene. A quell' abete io mi aggrappo cercando di non lasciarmi andare alla desolata e mistica visione di una polverosa notte insonne al cospetto del tuono di ghiaccio che osserva questo gelido cubo nel quale il mio cuore sta battendo lentamente.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

22/12/14

Taiga.




     Crepitii di neve fresca e ghiaccio friggevano sotto il sole che stava sorgendo. L' alba rinfrancava le bestie che avevano passato la fredda notte nelle tane ed alla spicciolata un pò tutti gli abitanti della foresta si stavano riaffacciando. Una pioggia colata dagli alberi si precipitava sul terreno bombardando quel soffice velo di granita limpida, mentre il ruscello ospitava quei piccoli insetti sulla sua superficie, e fra breve sarebbero giunti anche i loro predatori per bere e mangiare. L' alce passeggiava fra la radura colpendo il terreno con la bocca in cerca di qualche radice. Il suo manto aveva acquisito una tinta cenere causa la fitta neve degli ultimi giorni passati mentre la stagione degli amori si approssimava e, come tutti i cervidi, cominciava a sviluppare le sue grosse corna che gli sarebbero servite per duellare e dare il suo forte seme alle femmine per la continuazione di una robusta razza. Al passaggio il rumore degli zoccoli allertava gli uccelli sui rami che in coro di musica spiavano e avvisavano gli altri. Al terreno scoiattoli ed ermellini candidi saltellavano indisturbati ma vigili, così come faceva quel lepre bianco come la neve che in questo momento non aveva avversari.
Con l' orso in letargo l' unica insidia rimaneva il branco di lupi che batteva in lungo ed in largo il territorio in cerca di qualcosa da mangiare, ma quella mattina c' era troppa luce perché potessero tentare una sortita. Altre volte il branco aveva colpito sapientemente; strategicamente aveva atteso che la nebbia si abbassasse per attaccare, oppure la notte, col numero a favore, aveva tentato sortite anche contro prede parecchio più impegnative, e qualche volta aveva anche vinto.
La foresta aveva un' anima, nel risveglio fermo, il vento si piantava e sembrava guardasse, quasi rapito e per non disturbare timidamente si ritirava fino a non soffiare più. La danza di quell' acqua che si scioglieva tiepida accompagnava e le gocce che vi si immergevano come tamburi battevano il ritmo. L' uomo non aveva spazio in questo mondo fatto di immenso. La vastità del paesaggio come consuetudine regolare raccontava di distanze siderali dall' insediamento umano più vicino. Tutto appariva perfetto, intonso, nessuno aveva mai toccato nulla, ed a scandire le giornate erano solo il sole ed il buio, vergati qua e la nel loro trascorrere da qualche predatore e qualche preda che di tanto in tanto vincevano o perdevano per la buona o la cattiva sorte dell' altro. Le bufere arrivavano per spazzare e pulire. Gli alberi più vecchi sotto le raffiche crollavano e diventavano a loro volta tane per ulteriori bestie scampate, e tutto si rinnovava con un ritmo quasi immobile che attraversava il tempo. Bestie morivano ed altre nascevano, le prime diventando nutrimento per altre bestie, le altre attendendo che qualcuno gli portasse nutrimento. Non si udivano fucili, ne cacciatori, ne bracconieri. Non si udivano gli echi di elicotteri e di aerei che passavano per perlustrare. Non c' erano militari che avevano bisogno di difendere ne file indiane di esploratori in cerca di nuova fama. L' ovvia staticità di questo paesaggio, il suo silenzio assoluto, la sua straordinaria purezza sconcertava da una parte, mentre dall' altra dava il saggio senso del vero nelle cose: in Natura non si deve fare niente. Non  perché il pigro o l' immobile abbia ragione, ma perché nel lento scorrere alberga l' effettivo senso della vita, che non e' un precipitare a terra come un sasso ma rimane sempre un lento oscillare dolcemente su una zattera di piuma.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

17/12/14

La sedia vuota.



      Il Federale aveva chiamato a raccolta tutte le società che praticavano il Calcio a Roma. Non poteva ignorare la Lazio, la più antica, tant' e' che fu quella chiamata per prima. Foschi passeggiava su e giù per la stanza, e quel tavolo ovale aveva ancora i posti vuoti in attesa che quel giorno arrivasse, ma già pregustava tutti quei complimenti e quelle pacche sulla schiena: "ce l' hai fatta Italo, adesso saremo invincibili. Vedrà la Juventus e quei signorotti di Torino... non ce ne sarà più per il Genoa... la Pro ed il Casale saranno battuti da una squadra romana...". 
Chissà quanti altri fascisti lo avrebbero sostenuto, chissà quanti lo avrebbero invidiato. Lui, nato in un piccolo paese del teramano, adesso Federale di Roma, e ricordato per aver creato un sodalizio che farà piacere al regime conquistando titoli e dando lustro alla città di Roma. "Anche Mussolini si accorgerà di me!" pensava, "sto facendo questo per Roma, la città ha bisogno di una compagine nuova che possa guerreggiare contro le altre del Nord d' Italia".
Di tanto in tanto lo sguardo si concentrava sui movimenti delle persone, dalla finestra, che come laboriose formiche si agitavano per andare di qua e di la. E di qua e di la qualche guardia, a controllare che tutto fosse normale.
L' Aristocratico Club si era detto entusiasta, avrebbe volentieri messo a disposizione il suo campo, il "due pini", proprio sotto Villa Ada. Era comodo , ma meno capiente sia del Rondinella della S.S. Lazio che del Motovelodromo Appio, in concessione all' Audace Esperia. "Ce lo darà la Lazio, si, ce lo darà la Lazio!" pensava ad alta voce scrutando l' esterno delle finestre di quell' appartamento di Via del Vicario. 
Dal Roman di Scialoja arriveranno dirigenti del calibro dei fratelli Costarosa e Renato Sacerdoti, il banchiere di Testaccio. "Si, avremo tutto pronto a breve, e potremo finalmente vincere".
Il passo fece per rivoltarsi verso il centro della sala, il rumore dei tacchi di quegli stivali e quel passo militare sembravano cadenzarne i pensieri. "La Lazio ha il blasone, ma anche il campo, prenderemo dirigenti da tutte. Pochi! Soltanto i migliori, od i più facoltosi. Gli altri via! Non possiamo perdere altro tempo. Ho già fuso la mia Fortitudo, i leoni di Borgo, con la Pro Roma, anche i preti saranno contenti, da Borgo ce ne andremo ai Parioli".
In effetti aveva pensato proprio a tutto. Nel 1926, dopo la fusione del '24 fra Fortitudo e Pro Roma, anche Alba ed Audace Esperia si fusero per essere più competitive a livello nazionale, fondando così l' Alba Audace. 
Si stava insomma preparando il campo per questo grande passo: la nascita del club che sarebbe divenuto il più forte d' Italia. L' amministrazione e la situazione debitoria delle varie società appianate dai soldi dell' Aristocratico Club, il Roman, solido e sostenuto sin dall' immediato dopoguerra da larga parte della comunità ebraica romana. Il blasone ed il campo dalla Lazio, che da piazza d' Armi, in Prati, si era spostata al campo Rondinella, altri giocatori dalle compagini di Alba Audace e Fortitudo Pro Roma.

E' il 25 Giugno del 1927. Olindo Bitetti e' comodamente seduto sulla sedia di Presidente della Lazio, affaccendato fra scartoffie e telefonate, quando il postino bussa, entra e recapita una lettera raccomandata. Il rumore del tagliacarte occupa tutta la stanza, poche righe, una Convocazione da parte del Federale Italo Foschi presso la sede della Federazione Fascista. Scorrendo quell' inchiostro il volto di Bitetti si fa scuro, senza dire una parola vola via, verso la caserma della Milizia, in Via Magnanapoli. Varcata la soglia della caserma si dirige immediatamente verso l' ufficio del Capo di Stato Maggiore, il Console Giorgio Vaccaro.

Vedendolo entrare il Generale, anche lui socio della Lazio, e' sorpreso, ma non ha nemmeno il tempo di aprire bocca che Bitetti tuona: "siamo fregati! Foschi vuole farci assorbire, guarda!".
Vaccaro cerca invano di calmare Bitetti, ma vedendo fallire il suo tentativo, prende fra le mani la Convocazione ed inizia a leggere fra cento improperi dell' astante. Sembra non ascoltare quanto Olindo Bitetti sta contestando, quando ad un tratto solleva il volto verso di lui e leggendo: "Il Presidente della Lazio deve presentarsi entro e non oltre i due giorni...", poi guarda Bitetti e chiede: "ma perché anche la Lazio?". Alla domanda si vede rispondere: "l' idea di Foschi e' di creare una unica compagine che possa imporsi nel panorama nazionale, noi siamo forti ed organizzati, potremmo essere d' intralcio al suo disegno, e poi abbiamo il campo, cosa che loro non hanno, almeno non come il nostro". 
Seguono minuti di silenzio, alternati a poche parole, riflessioni ad alta voce: "certo due giorni sono pochi, cosa possiamo fare", domanda a se il Generale, poi altro silenzio. Al vedere Vaccaro pensieroso, Bitetti sembra quasi rasserenarsi, oramai rassegnato alla cosa, quando d' un tratto Vaccaro tuona: "Possiamo fare solo una cosa, nominare Presidente il Generale Varini e Vicepresidente il sottoscritto! Poi da Italo ci vado io. Tu pensa a convocare l' assemblea dei soci e fai subito le nomine". Con nuova speranza Olindo Bitetti domanda: "Varini accetterà?" e Vaccaro:" a questo penseremo dopo".
Scalmanato Bitetti fugge via, arriva in sede urlando "assemblea! assemblea!", gli altri soci dal principio vedendolo strambo non gli danno peso più di tanto, ma all' indomani l' assemblea si fa, e le nomine sono fatte: Generale di Cavalleria Ettore Varini Presidente al posto dell' Avvocato Micozzi,  il Console della Milizia Capo di Stato Maggiore Generale Vaccaro Vicepresidente, Bitetti Segretario.

Il giorno dopo, come previsto, Vaccaro si reca dal Federale Foschi. Bussando entra, e al vederlo Foschi gli domanda: "ciao, cosa vuoi?" e Vaccaro: "sei tu che mi hai mandato a chiamare". Foschi sorpreso domanda: "quando, scusa?" e Vaccaro: "guarda, la tua Convocazione...". Foschi replica: " Ah...si, ma e' per la Lazio, ho mandato a chiamare il Presidente...", Vaccaro risponde: "ecco, appunto, da ieri sera il Generale Varini e' il Presidente ed io sono il suo vice, dimmi pure".

Foschi attonito lo guarda e comincia: "stiamo creando una società ed una squadra forti, Alba, Roman e Fortitudo già sono d' accordo, mancate voi che siete organizzati ed avete anche un bel campo, il Presidente sarà la Medaglia d' Oro Ulisse Igliori...", nell' ascoltare quanto Foschi sta dicendo Vaccaro lo interrompe e domanda: " i colori?", a quella domanda Foschi replica: "beh, mi sembra ovvio che saranno i colori del Comune,  giallo e rosso". Vaccaro si irrigidisce e chiede: " come si chiamerebbe?", e la risposta di Foschi: "come vuoi che si chiami...Roma, sarà l' unica squadra della città". 
A quelle parole il Generale Vaccaro sbotta: " sicché la Lazio scompare...i colori del Comune, il nome della città, col campo nostro...giusto?". Foschi va per annuire ma Vaccaro rincara: " beh, allora caro Italo, ti dico che hai dimenticato che la Lazio e' costituita in Ente Morale, pertanto se di fusione si vuole parlare si può fare, ma col nome della Lazio!" 
Foschi fissa Vaccaro: "ho capito, non se ne fa niente."
Pochi giorni più tardi avverrà l' incontro fra l' Alba Audace, la Fortitudo Pro Roma ed il Roman. I dirigenti di queste società si incontreranno per siglare l' accordo di fusione e per dettarne le regole. Dalla Fortitudo la neonata A.S. Roma prenderà la Lupa Capitolina, dall' Aristocratico Club i colori, dall' Alba Audace il campo. 

Sono passati 27 anni dalla fondazione della più antica società di Calcio romana. Negli uffici di Via del Vicario, il Federale di Roma Italo Foschi, di Corropoli, un paesino in provincia di Teramo, sta tenendo a battesimo questo nuovo ed importante sodalizio che sta nascendo.

Seduti al tavolo ovale ci sono i dirigenti ed i rappresentanti delle più forti società di Calcio romane. Con la nascita dell' Associazione Sportiva Roma almeno una dozzina di piccole società sportive che praticano il Football nel tessuto sociale di Quartieri e Rioni di Roma muoiono, non potendosi sostenere da sole al cospetto di quello che il Calcio sta diventando. Unica eccezione la Lazio, grazie ad Olindo Bitetti, a Giorgio Vaccaro ed all' inconsapevole Ettore Varini, un Presidente che non sapeva di esserlo, che ad un tavolo ovale ha lasciato la sua sedia vuota.
Per sempre grazie, per sempre. Grazie.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved 








    

L' orgasmo.



   Suggere nettare come una laboriosa ape. Sentirne il profumo come di un fiore, poi spingere come uno schiavo ansimante, uno schiavo il cui sudore mescola alla polvere la sua corteccia cotta al sole.
Assaggiarne il gusto, ed averne fino a che i fremiti non ne rendano difficile la presa. Serrare e cominciare ancora, di nuovo, come un moto ondoso vederne il corpo torcersi fino a perdere l' ultimo briciolo del suo controllo. Bramo quella scossa elettrica che la paralizza, la osservo perché arrivi. Voglio che crolli sotto i colpi dell' amore e nei miei occhi avere la certezza di saperla ardente. Il fuoco e la sua pelle ruvida d' un tratto lasciano per poi ricominciar la danza. Allora ancora lì, cullandola in un alveare bollente, dove alle ali sbattute da migliaia di api si sostituisce la dura abnegazione di chi la tiene in se scaldandone le membra.
Crepitii liquidi dalle pareti chiuse affiorano alla foce, le rosse gote ed un fiatone anomalo segnalano che il fuoco e' lì. Con la mia mano, con la lingua e tutto ciò che posso vado a scontrarmi con la realtà di quell' istante in lei. La guardo e la tengo a me, volendone ancora. E nel momento in cui il suo sguardo incrocia il mio, mi inchioda. Quell' attimo giustifica il resto del giorno che attraverso nella sua immagine, proprio in quell' attimo la privata e sensuale schiena di chi la vuole si scioglie in una ultima spinta che dai reni e da muscoli fino ad allora sconosciuti si abbandona in un lago di solitaria tristezza per averla purtroppo soltanto immaginata.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

15/12/14

Castello.




       Il glicine sporcava a terra. Quell' immensa mole rosa e violacea di campanelle si era liberata dal suo guscio ed aveva prodotto una montagna di bucce sul terreno. Noi eravamo passati facendo attenzione a non scivolare, la pioggia delle ore precedenti aveva rammollito questo tappeto sul quale, senza attenzione, i nostri corpi non si sarebbero di certo adagiati. La sosta a destra e la fila ci permetteva di sentire quei rumori di ferraglia sbattuta, mentre il costante friggere accompagnava come il rumore di una cascata dal letto ampio. Il capanno si apriva a noi con le sedute in ordine e quello sporco rurale che ci sapeva di casa, poco importava se ai lati la tenda era aperta e ogni tanto il vento soffiava. L' affaccio sul fiume e quella pellicola antica riaffiora. Quegli attori degli anni '70 e lo schiaffo di una eco mostruosa, mentre adesso quell' angolo e' il nostro, nessun' altro all' affaccio si posa. Esclusivo ed ultimo, o meglio, degli ultimi. Goderne a pieno era un vanto, e come un segreto di pochi, a pochi altri si tramandava. Sedute di legno e un biliardo che pende e accompagna giornate lievi. Un camino bollente e poltrone, poi una voce: e' il padrone. Quella barba e la strana andatura, un sorriso, fratello e cognata, il saluto e uno spicchio di sole che sta entrando dalla vetrata. Qualche passo e mi affaccio al balcone, molti alberi piante e una riva. Guardo in basso e il rumore del fiume mi dondola, ipnotico come quel fuoco. Seduti alla tavola arriva, scorre il fiume, entra a Roma, si ammira.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

09/12/14

Cheers.




     Portane un pò anche a me, e' giusta e quel colore ambrato mi fa venire voglia di toccarla e farla mia. Fammene accarezzare il fianco, lo voglio fare con il dorso della mano mia, quell' elegante fianco. Fammi baciare le sue labbra fino a sentirne il gusto, e quando lei comincia a prendermi, io prenderò lei. Falla muovere meno che puoi, perché e' a me che tocca, voglio pensarci io, scaldandola con la mia mano, respirandola e che il suo buon odore si avviluppi intorno per donarmi ancora un desiderio in più di averla li con me. La sorseggerò piano, come se fosse un' emozione ogni momento, ma la gusterò per tutto il tempo necessario, fino a quando la mia lingua avrà smarrito anche il pensiero di quello che lei era, fino al punto di farmela desiderare ancora e prenderla per farla ancora mia. Fredda la scalderò sapientemente, e le mie dita non creeranno solchi ma direttrici entro le quali come vetro il corpo suo si lascerà cullare, quando il suo gelido sembrare scioglierà gocce d' acqua fino a terra per poi perderle in silenzio.
Già, il silenzio, silenzio e sorda sta, ferma in attesa di una nuova mano da cercare, quella mano va a cercare, e quella mano arriva. Di nuovo un impeto che muove, ali di rumori si allontanano e le luci fioche danno una contezza di fiabesca visione. Guardami mi sembra dire, prendimi, fino alla prossima non posso essere che tua. Cullo lo sguardo profumando le narici del suo olezzo, di nuovo ne prendo, e la mia bocca da serrata s' apre, per nutrire ancora il gusto di colei che giunge. Il tatto e' coinvolto perché e' presa e non va via. Sarà per quell' attimo così sublime che cerco intorno un altro interprete di questa voluttà di sogno, un complice con cui condividere l' istante in cui quel tintinnio completa. Due vetri che si incontrano fan si che anche l' ultimo dei sensi si coinvolge e con gli altri e' a chiudere quanto già di più perfetto non accade.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

Brividi.




         Come in una piscina di acqua termale sono in montagna e mi immergo quando fuori dall' acqua si gela e sta nevicando. Il calore ed il fumo mi fanno sudare e la fronte madida accoglie i cristalli di ghiaccio soffice che si poggiano mitigando il freddo nel caldo ed il caldo nel freddo. Le stelle celate da un piatto cielo grigio comunque sono lì, più vicine, come quella Luna immaginata, ela cornice di quel quadro e' la montagna, e quel colore grigio e blu che appare luminoso con la neve. Punto i piedi bollenti per sentirli e ricordare che ci sono, poi mi abbraccio e mi immergo un centimetro in più per godere di quei sensi. Ho cura di me in questo modo, come i fon di una stanza rotonda concentrati nel caldo e nel letto, sempre brividi e crude lenzuola. Asciugando morbidi tessuti accolgono e riparano da un alito di vento che giunge dall' esterno, e altri fon per scaldare e altri morbidi sospiri per accogliere il calore.
Ermetica visione di un mondo solitario e silenzioso dove tutto avvolge e protegge dalle forze che da fuori montano. Resto lì in quell' idea di sospeso già provata e poi cercata ancora e ancora. Mescolo le soglie di quei mondi paralleli alla realtà, con quegli ingressi che da quegli attimi ritornano alle prove empiriche del quotidiano. Lo schema rimane quello, come il tentativo di gestire la possibilità di esserne dentro oppure fuori. Tintinnii di ricerche sbagliate e delusioni sorde si mescolano al sontuoso trionfo di un rinnovato calore che dona quiete. Tutto resta immobile, l' unico aspetto che la staticità d' insieme non avvolge e' al solito la mente. Picchetti di libertà e reti di desiderio. Vette, freddo spirato, tessuto cutaneo protegge e non sente. Calore abbraccia, mentre la mente danza in un vortice di movimento che in una bolla di delirio muove le immagini bloccate di una foto andata via che resta fissa.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

05/12/14

Beacons.



        I nibbi danzavano in quel cielo di mercurio mentre i tagli ordinati spogliavano qua e la qualche parete di quelle colline. Alberi erano segnati, mentre altri erano già stati scorzati e portati via per le segherie della regione. Il vento dellle Brecon Beacons sferzava ma quegli ovini gonfi di lana sembravano non interessarsene. Brucavano il terreno nelle parti più alte, facendo attenzione a non calpestare i ruscelli d' acqua che dalle vette scendevano a valle. Interi fiumi rumoreggiavano cascate versandosi in altro fiume. Il suono costante era rotto di rado dal passaggio di qualche vettura. Lo sguardo rapito ed inerme, come fermo, sul volo di quegli straordinari uccelli, sulla loro caccia, e staccavo su quei monti dolci come una playland per bambini enormi. Il ghiaietto e l' ardesia, ciottoli e briciole di pietra, raccontavano gli anni trascorsi immobili di quelle terre al nord delle valli. Una lingua di asfalto catapultava i passeggeri in una fiaba di talco e fruscii, sospendendo il tempo e facendo assaporare il gusto di quella Terra straordinaria.
Sembrava spesso il volteggio di una ginnasta impazzita di musica, toccava corde di un intimo remoto e quasi sconosciuto, abbandonato. Per poi mutare in un brivido di freddo e calore al cuore, riflesso di quel dolce ondeggiare con dei fiumi dondolanti anch' essi, a fare da cornice. Assaporare gli istanti e assaggiandone le parti più lontane, questo e'. Il senso di fine che si prova alle Beacons, quel termine delle cose di chi vuole esserci quando cala la scena e le luci si abbassano fino a sparire. Un terzo occhio primitivo allora si dischiude, sbocciando come un tulipano ed aprendosi al mattino ed al sole che non c' e'. Sente cose di altre frequenze del corpo, avverte istinti e primordi raccontati come "deja vu", quella sensazione che nulla deve essere toccato, così perfetto, così semplice, ma maturo e schema.
La Natura e' lì che si lascia guardare, quei monti uno specchio oltre la collina di Hereford e Ross on Wye. Discendere da Brecon verso Merthyr e incanalarsi nelle strade laterali fino a perdersi nella convinzione non di scoprire ma sollevare polvere su un libro scritto da secoli. E quelle parole amiche che tornano nella mia testa quando tutto questo spettacolo si mostra al mio istinto: "non devi fare niente", diceva e dice il mio amico Guido. Non posso fare a meno di pensare che vorrei lui fosse lì con noi in quel momento, in quei precisi attimi, per nutrirsi così della soluzione che non chiede domanda, dove il silenzio sono urla e gli aliti di vento sono note musicali sulle singole esistenze, dove ci basta per comprendere la vera essenza, sollevare un pò d' erba e capire che si può volare anche da seduti.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

    

04/12/14

Victor.




     Laceri vessilli tornano da una campagna al Nord. Barbare scuri hanno colpito e scudi hanno protetto mentre urla disumane accompagnavano una immonda battaglia. La ferraglia scossa masticava suoni fin dalle valli più vicine e polveri e sangue si mescolavano in un terreno madido di colore grigio. Fiamme e odori freschi di olio mentre l' elsa della spada era ferma e leggera intorno alle dita. Lo sguardo vigile evitava e l' arto deciso colpiva sferrando vortici di lama e parando colpi ove il sudore esplodeva via con un vigore inconsueto. Mausoleo della violenza gli occhi, dove flash intermittenti raccontavano a se stesso quanto visto. In un assurdo tentativo analizzare quella vergogna che aveva vissuto, udendo e respirando. Poggiato l' elmo ed affondato l' otre il movimento era quasi meccanico. Voleva bere, ma non solo dentro di se. Voleva bere e lavare anche l' esterno dopo quanto accaduto. Lo sporco di una inaudita violenza non si lava via nemmeno grattando con la pietra ma provava. E ad affiorare erano altri ricordi, altri dettagli. Il fumo nero dei corpi caduti mentre l' incendio li mangiava, oppure il pianto di chi non si era rassegnato a tutto questo. Denti serrati e versi di fatica, marcia e scudi che assettati si sfioravano. Poi gli sguardi, quegli sguardi. Persi di chi non vive più in se stesso, privi di chi ha perso e giace. Volitivi e ragionati in chi ancora e' pronto ad affrontare, complici di chi lo osserva e ammira ancora la sua vita. Esplode, ignaro, lo sdegnoso impulso di sopraffare o di resistere ferendo. Quegli sporchi lunghi capelli e quelle pelli di bestie sulle schiene. L' incomprensibile rumore di quelle strane voci gutturali. Divide il senso dal colpire, la regola abbandona e viene sopraffatta da una barbarie ulteriore che trasforma il trascorrere di quel tempo in una ultima possibilità se non speranza di essere civile. L' epilogo di quei momenti in una mano che si stringe in uno straccio di bandiera raccolta dal terreno che per lui ha significato Roma. Victor.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

01/12/14

The frog is joking.



    Was in a perfect world since I' ve been stalked from a frog. It starts to speak with my ideas, and step by step divided my way of thinking in many sides. If it rains, it gave me warmth all around my body as if you are in an Hokkaido snowing spa. When the sun was high, it touched my skin and made me really slow, finishing to be cold in a sunny hot day. The balance of this frog gave me everything unreal. The front should have been the back, and the back the front. In my opinion, the frog still moking me as if I am living in a circus where anything is not as I saw before. Clouds and rain, with just one "cra", this frog drives me to my real opinion and not to the dark side of my way, that I watch when I am in silence. Rest in peace old Roberto, a new Roberto is just growing up from the plants of the river where a small green frog starts to sing his noise...as you did from the moment where you are reborn in a tear of a lullaby.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

Sottosopra.




      Vascelli capovolti adagiati su soffitti d' acqua increspata. Dondolo su un terreno di nubi grigie e la burrasca si solleva dal basso mentre i lampi sono scosse accese che si liberano nell' aria. L' inerzia non esiste ed i corpi fluttuano trasportati da un vento caldo che arriva dal nord. Pilastri di ghiaccio bollente e tegami fumanti abbassano idrometeore. Tempeste e vortici di silicio in sabbia feriscono e lacerano i tessuti delle nostre vesti, mentre possenti dromedari hanno il peso dei viaggi e delle pene sotto i loro zoccoli, limando il terreno con una soma gonfia di otri di sale aperti che piovono luce.
Altre dune passano mutando dall' ambra al cinereo, come tendaggi antichi dipingono un sipario di polveri e grani, mentre il salto di uno sciacallo ammette roditori in un terreno di vetro fine e curve cangianti. Galoppa una libellula nella sottile frontiera del cielo, facendo attenzione a non allontanarsi troppo dal calore diffuso da quel soffitto. Lacera quel tendaggio una pozza di liquido sospeso che, come un' oasi da speranza, lima le identità di chi l' attraversa nel rigore di chi ne obbedisce le ardue regole.
Accolgo in me lo sguardo tondo che giunge da sud. Chiedo al mio inconscio di interpretare quanto non vedo, e di quel che vedo quanto non torna. Un rovescio silenzioso alberga nelle mie idee soluzioni che altri non posseggono. Capovolto il mondo nutre l' intensità dell' essere e perde monete cadute come pioggia su terreni di aria tersa. Se l' Inverno portasse la neve scioglierebbe dubbi ed altre inerzie, fino a far giungere le intenzioni davanti alla porta delle scelte nitide, fuori da ogni rango di celere conformità al paesaggio ed al tempo che stiamo vivendo.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

27/11/14

Il Pane.




       I profumi salivano dal forno. Il pane doveva essere pronto. Mia nonna mi chiedeva di scendere e mi dava dei soldi, io contento obbedivo. Quelle rampe di scale erano volo, ogni tanto incontravo qualcuno, e frenavo, per poi riprendere la discesa fino al parcheggio. Erano altri anni, una volta passato il cancello ero in strada, l' occhio a qualche macchina che non passava, ed allora passavo io. Dall' altra parte quel profumo fortissimo e quelle tendine all' entrata. La mia mano sinistra passava quasi per tagliarle e la signora, vedendomi, prima accennava un sorriso, poi mi porgeva una pagnotta croccante. Era vero, il pane era pronto.
E' difficile spiegare quell' umidità mista al calore quando si tiene in mano la busta del pane appena cotto. In quella sensazione tantissimi ricordi della mia infanzia, ma allora non ci badavo, la gustavo soltanto registrandola nell' elenco delle mie sensazioni. Una volta pagato, ricominciava la corsa, stando sempre attento a che quel nessuno attraversasse la strada, e allora passavo di nuovo. Il cancello e di nuovo il parcheggio, quei due pini che sembravano immensi, si apriva la strada al pianerottolo e via, su a destra, per ripercorrere le scale di mille volte. La salita era più faticosa, ma correvo lo stesso, era l' ultima rampa a fermarmi e guardare le scale, arrivato alla porta la aprivo e immediatamente la richiudevo.
Andando via non avevo sentito il profumo che adesso invece trovavo, percorso il corridoio svoltavo a sinistra ed ancora per entrare in cucina. Trovavo mia nonna ai fornelli, altre volte al lavandino, o chinata a cercare qualcosa nel frigo. Sentendomi arrivare si voltava e quel sorriso riempiva le mie mattinate d' Estate.
Il mio cuore era caldo come il pane che le avevo poggiato sul tavolo. La felicità, l' affetto ed un segreto. Non le ho detto mai che quando ero fuori dal forno la vedevo affacciata al balcone a controllare che non avessi problemi. Questo suo avere cura di me in modo silenzioso mi lusingava, essere suo nipote mi lusingava. Io la abbracciavo e lei restava in silenzio, poi tornavo a giocare seduto in salone, ma pensando ai suoi occhioni scuri lucidi come l' ardesia percorsa dall' acqua.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

24/11/14

Interior.



   Esiste un angolo di me in cui sono solo. E' un angolo dove quaderni di mille pagine vengono scritti da pensieri fugaci e considerazioni che si estinguono mentre nascono. Una parte che naviga distante da tutto quanto il resto, ma che non chiamo inconscio perché assolutamente razionale. In questo angolo possiedo e manovro le mie sensazioni elaborandole così come vengono e non abbandonandole alle maschere che l' ovvio impone. Appare come una baita in un bosco isolato ove si apre una radura, ed il calore di un camino scalda, ed il tepore di un pensiero abbraccia.
Un insieme di istanti, gelidi e bollenti, dove lo specchio dei pensieri si immerge nell' oblio del disordine, riuscendo a riflettere elettricità di sentimenti mescolate a colpi meccanici di sogni rapiti altrove. Candida corre la linea delle sinapsi sulla scossa e ondeggia, fino a fremere danzante ed elastica sugli aspetti volitivi di ciò che non riesco a riconoscere se non percependolo come istante di emozione. Una spirale di gradini si erge di fronte agli occhi quando sono chiusi e le crepe sbriciolano, mentre il passo delle idee avanza e sale una vetta di nulla con un volume vuoto di spazi e profonda luce.
Fossili volontà, desueta rabbia, vivono in me nei movimenti immediati che immagino. Ringhiano riflessioni, mordono errori di comprensione, fino a schiarirsi in una supernova esplosa e detonante che saggia un terreno che non esiste in un tempo andato già via. Vedo l' uscita da quell' istante in un sipario che si chiude nella mia mente che si spegne.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

19/11/14

A chi giova?



     Questa sera sto guardando l' incontro di Calcio Italia-Albania. Si sta giocando allo stadio di Marassi, a Genova. Ad una prima occhiata ho subito notato qualcosa di anomalo, poi col passare dei minuti, ho preso coscienza di quanto non credevo di poter vedere. Uno stadio in una città italiana di 600.000 abitanti circa, quasi interamente occupato dai tifosi della squadra ospite.
Sono stato per molti anni un assiduo frequentatore dei catini di tutta Italia, oggi seguo la mia squadra solo nelle partite all' estero, ma ho una certa esperienza per quel che riguarda dinamiche che riguardano il Calcio e le sue molteplici sfaccettature. Se avesse riguardato una squadra di club avrei anche potuto capire una situazione del genere, e l' avrei compresa anche se avesse riguardato due squadre nazionali con un divario di tradizione calcistica abbastanza marcato, ma quello cui assisto questa sera ha davvero dell' incredibile, e allora lo interpreto secondo il mio punto di vista.

L' Italia ha una tradizione di Calcio invidiabile dalla maggior parte dei Paesi di tutto il mondo. Per la verità le squadre che possono vantare una storia ed un palmares simili a quello italiano si contano sulle dita di una mano. Per questo motivo quanto sta succedendo ritengo sia davvero un' anomalia, soprattutto in virtù del fatto che stiamo incontrando si, un Paese molto vicino (appena dall' altra parte dell' Adriatico), ma con una tradizione calcistica pari quasi a zero. Dico questo ovviamente con il massimo del rispetto, ma e' innegabile che per decenni, affrontare l' Albania per l' Italia, ha spesso voluto dire incontrare una squadra di quelle cuscinetto, come il Lussemburgo, le Isole Far Oer o la Finlandia, insomma il classico compitino per marcare la presenza.
L' analisi di questo "evento", va pertanto fatta ricercando altre motivazioni, di carattere culturale o che so, sociologico, con una evidente attenzione al particolare periodo storico che la nostra Nazione sta vivendo.

Si gioca a Genova, città che proprio nelle ultime settimane e' stata sotto l' occhio di un "ciclone". La popolazione ligure e' ovviamente provata da quanto sta patendo dal punto di vista climatico. Il disastro idrogeologico accaduto ed in svolgimento avrà senza dubbio spostato l' attenzione dei cittadini su cose molto più importanti, serie, piuttosto che su una partita di Calcio. E' ragionevole pensare che possa essere per questo, ma sinceramente credo che non si tratti soltanto di questo.

Per come la vedo io, dentro questa partita ci sono tutta una serie di fattori che possono spiegare lo straordinario disequilibrio fra presenze italiane (di casa) e presenze albanesi (ospiti). In questo momento storico, tutti noi cittadini italiani siamo "offesi" dal comportamento e dall' immobilismo delle nostre Istituzioni. Assistiamo quotidianamente a tavoli di lavoro, meetings, brunchs, salotti televisivi, di questo o quel politico che in maniera metodica fanno ospitate a destra e a sinistra, in lungo ed in largo, su tutte le reti TV, private o pubbliche, nazionali o locali. Ma un politico non dovrebbe fare la politica invece che raccontarla con dedizione quasi ossessiva? La capacità di un politico e' fuori discussione, ma l' impegno e' fondamentale, e come fa un politico ad impegnarsi se me lo ritrovo sempre tirato per la camicia dalla Rai o da Mediaset, da SKY o da MTV, o La7? Più che una tribuna politica sembra di volta in volta uno spot autocelebrativo per dire a noi quante cose sa ma senza farle. E poi esiste l' aspetto ciclicità, come se determinati esponenti di partito andassero di moda a periodi. Perché?
Perché Veltroni mi fa danni per 8 anni a Roma e poi sparisce per 2 per poi ricomparire in qualche presidenza di Ente o Commissione? E così Gasparri, e Prodi...che fine ha fatto Visco? E Padoa Schioppa? Dov' e' Scajola? Li mettono tutti a riposo. Come se ci fosse una mente superiore che definisce i ruoli di questi signori per poi farli sparire e ricomparire, sulla base delle esigenze del momento.
Poi ci sono le poltrone, le cariche, i doppi incarichi? Io non riesco a fare bene il mio di lavoro, per la verità dall' impegno modesto rispetto alla conduzione di cose della Pubblica Amministrazione. Come fanno questi signori a fare bene un lavoro così complesso e di responsabilità, avendo più cariche, qualche presidenza e qualche vicepresidenza, incarichi in Italia ed a Bruxelles, come?
Ovvio, non possono farlo! Non e' possibile essere impiegato come Senatore della Repubblica a curare gli interessi di una regione italiana e poi recarsi a Bruxelles al tempo stesso per incarichi comunitari, non si può. Le loro giornate dovrebbero essere di 50 ore e non di 24, senza considerare il fattore stanchezza.

La metafora di quanto sta accadendo in Italia insomma, sta tutta dentro questa partita di Calcio. Da una parte le problematiche relative all' immigrazione selvaggia, ad esempio, che ci stanno facendo sentire ospiti a casa nostra, con notizie oramai quotidiane che raccontano di aggressioni, scippi, rapine, non rispetto delle regole, menefreghismo, delinquenza, da parte di tanti immigrati irregolari presenti sul nostro suolo. Dall' altra la compiacenza dei nostri governatori fa si che stia venendo meno anche la fiducia nei confronti di chi ci organizza le cose. E c' e' da dire che di persone che delinquono ne abbiamo già abbastanza da par nostro.
Si ha spesso la sensazione di dover pagare per forza per ricevere in contropartita tutta una serie di servizi che in realtà non vengono mai dati. In ultimo, ma non per importanza, la totale inadeguatezza delle persone cui abbiamo deciso di demandare l' organizzazione dello Stato, dal Parlamento all' ultimo degli enti locali, fa si che spesso ciò che paghiamo venga concentrato per supportare aree di individui che sono i medesimi che ci creano problemi. Sfociamo quindi in una pericolosissima guerra fra poveri, dove l' unica legge che esiste e' quella del più forte (o del più numeroso).
Poi c' e' la comunicazione, con tutti quei colletti bianchi di YES MEN pronti ad eseguire ordini e a raccontare cose cui non credono non solo loro, ma nemmeno gli dice di dirle. E' sparita la cronaca, e con essa la veridicità della notizia, ed e' partito il festival dell' interpretazione. Oggi il giornalista fa opinione, non cronaca (con buona pace di Thierry Meyssan, Ilaria Alpi ed altri 1000 coraggiosi e più che hanno scelto e stanno scegliendo di non scendere a patti nella loro professione).
E ci sono le banche. Per un euro di ricchezza reale creata, il volume del danaro che gira e che deve fruttare e' pari a dodici volte quell' euro. Come si può remunerare? Ovvio, indebitamento degli Stati, cravatta delle banche ai singoli Paesi ed impossibilità di emettere moneta. Così si e' costretti all' indebitamento verso la BCE (dev' essere un gioco inventato dalla Federal Reserve negli U.S.A., gran bella imbeccata, soprattutto se si considera che e' privata...).
E' il turno dei farmaci, delle malattie, della gente che si ammala e non guarisce e delle industrie farmaceutiche, ma forse dovrei cambiare l' ordine.
L' ebola e' di attualità, una F.E.V. ( febbre emorragica virale), degenerazione di qualcosa di simile all' Antrace ( che la CIA negli anni '50 rilasciava in valigette sotto le metropolitane di città di media grandezza americane per vedere che effetto avevano sulla popolazione...). Non vorrei mai pensare che l' ebola, come la suina, o l' aviaria, o... venga utilizzato per tenere sotto scacco i vari sistemi sanitari nazionali che devono stanziare somme di danaro per le "emergenze" e far confluire queste somme verso le casse delle industrie farmaceutiche che detengono i vaccini ( chi ha il brevetto?). Anche perché dopo arriva il Lassa, il prossimo, che dicono sarà perfino peggio dell' Ebola.

E' curioso, perché come nei farmaceutici, capita spesso anche in alcune guerre lo stesso sistema...
Qualcuno fa una guerra a qualcun' altro sulla base di un qualcosa. Oggi non si uccidono i nemici, si feriscono. Così lo Stato sotto attacco (di una guerra di pace...s' intende), sposta l' attenzione sui suoi feriti distogliendolo dal rispondere in campo bellico, concentrandosi su quello sanitario. Esistono le armi LL (Less Letal), che ironia della sorte significa meno letali. Non ti uccidono, ti provocano orribili mutilazioni che si debbono curare, gli ospedali si riempiono e via...la guerra di pace e' spesso "lampo". Quando il nemico insiste al limite c'e' il fosforo bianco, vietato dalla convenzione di Ginevra sulle regole di ingaggio in battaglia...ma tant' e'.

Poi controllo, controllo, controllo ed ancora controllo. Esasperatamente controllo, con telecamere, ed ove non con telecamere con intelligence, e con le tessere. La tessera della banca, il primo di tutti i mali, non soldi, ma un paniere di soldi. Poi la tessera dell' autostrada, e la tessera della benzina. Dove vai e quanta strada fai quando te ne vai... Poi la tessera del supermercato, per controllare cosa mangi...e poi la tessera del tifoso, per controllare come passi il tempo libero, e chissà quante altre tessere, che vediamo, e che non vediamo. Italia-Albania, tutto lo stadio e' rosso ed ha l' aquila bicefala.

Salto le farneticazioni ascoltate sul clima, sull' H.A.A.R.P., sulle scie degli aerei e sulle polveri d' argento e sulle nuove tecnologie prossimamente in uso ai militari U.S.A.(ma poi anche in Europa) come dissuasore su psiche durante manifestazioni in caso di tumulti.
Tutto questo e' Italia-Albania per noi, come anche altri Stati hanno già avuto il loro Italia-Albania, e se non lo hanno avuto lo stanno per avere.

Il problema che rimane e balla, secondo me, e' in una domanda, la solita, che oramai come un' ossessione mi pongo ogni qualvolta che io mi relazioni a fatti relativi alla pubblica amministrazione: "a chi giova?"

Per quanto riguarda la nostra Italia sarà mica che ci vogliono così, disgregati e litigiosi, gli uni contro gli altri?
Del resto, anche Caio Giulio Cesare affermava: "dividi et impera". Hanno fatto la sinistra e hanno fatto la destra. Ci hanno dato una sinistra più estremista per chi si doveva fare il nodo allo stomaco per votare un "compagno" che governava con Letta o con Monti, ma anche con Buttiglione e tutta la masnada di ex DC. Poi ci hanno dato una destra poco più radicale, dove potevano confluire i voti di chi non voleva che i suoi voti andassero ai Casini vari piuttosto che ai Publio Fiori o agli Antonio Martino ( quello per capirci del "si campa bene con 1000 euro al mese a nucleo familiare..."), dove quindi, la DC ce l' hanno messa proprio dentro.
In un quadro del genere una piccola percentuale di cittadini definiti pazzi a prendere denunce e a spaccare piazze per gridare in qualche modo il proprio disagio a questi signori, senza rendersi conto di essere essi stessi carburante da inserire nel serbatoio di questa grande macchina.
Allora Italia-Albania. Una sera in cui i cittadini lasciano solo lo Stato, simbolicamente passando per una partita di Calcio. Dove ad essere lasciato solo e' il Calcio, con una Nazionale che nessuno vuole, perché non e' della gente ma della FIGC. Dove ad essere lasciate sole sono le Istituzioni di tutta la Liguria, gente che parla anche stasera alla TV ed ha morti sulla coscienza da rispettare col silenzio e qualche lacrima invece che con le consuete parole vuote ricche di propaganda e nullità. Dove ad essere lasciato solo e' il sindaco di Carrara, e tutta la sua giunta. Carrara fa autogestione, questo e' l' elemento nuovo, perché demandare ad altri se possiamo fare tutto tutti insieme? E allora non andiamo allo stadio a Tor Sapienza, dove una periferia abbandonata a se stessa urla la sua voglia di libertà tacciandola di essere razzista,. Abbandoniamo il sindaco Marino, inutile carica per una città di cui non conosce nemmeno i problemi più atavici. Lasciamoli soli tutti, votando per tutto ciò che non sia "loro", e riprendiamoci ciò che e' nostro, lo Stato, prendendo spunto da quanto sbagliato o non fatto. Riprendiamolo insieme, senza destra, senza sinistra, senza ricchi, ne poveri, ne uomini, ne donne, ne giovani, ne anziani. Il nostro voto vale uno, la nostra protesta vale uno, la nostra mente vale uno.Abbandoniamoci tutti insieme ad una nuova partecipazione cui non siamo più abituati, svegliandoci da questa narcosi indotta per non farci ragionare. Seppelliamo le regole decise da questi criminali in doppiopetto, e dei loro amici, e degli amici degli amici, ma votiamo, votiamo tutti, perché il voto e' davvero l' ultimo grido di libertà che ci rimane, come dei cittadini di Tor Sapienza, come quelli di Carrara, come quelle urla che ci sono state in tutta la Liguria ed in Piemonte, o in Lombardia, o a Venezia. Ricominciamo ad urlare la nostra libertà, quell' urlare che i governatori non ascoltano, quell' urlare che questa sera li a Marassi... NON C' E' STATO.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved






18/11/14

Confine.




        Corri, corri bambino mio, corri fino a sfiorare il vento, e che lo stesso vento ti abbracci e ti sollevi cullandoti in un vortice ove ritrovar te stesso.
Corri, e ancora corri, fino a farti mancare il fiato, dove la fronte si imperli di sudore ghiaccio e dove il polmone esploda in bolle dense di velluto.
Friabile e' l' emozione che si cela, nebuloso sintomo di razionalità, affidati all' istinto senza avere alcuna remora, sfida il tuo limite e combattilo con la tua dignità.
Null' altro può porsi fra te e te stesso, niente e nessuno incide sulla tua anima, purché tu non lo conceda, purché tu non lo voglia, ove possibile esamina.
Sapida mano scorre sulla riva di una spiaggia, confine e stesso limite di due elementi, corri bambino, corri come il vento, e sfida anche lo iodio che respiri, serra i denti.
Prendi e sorpassa quelle onde, le stesse di cui tu sei padrone, scuoti col tuo passaggio, e le tue impronte, le tue orme diventino polmone.
Grani di sabbia si alzano e rispettosi poi si poggiano mentre la schiuma frigge e si ritira, per poi tornare intensa e rumorosa a rimirar quello che lasci sulla riva.
Sognala come la prendi la tua vita, e vivila, tocca ogni istante di te e distruggi per ricreare, inciampa e cadi, fatti male e poi rialza, fino a far tutto per tornare.
Aliti ovunque come pianeti ed orbite si avvolgono e si liberano tutti intorno, sposta i tuoi capelli e i tuoi pensieri finché i sensi più nascosti affiorino, e come uccelli che osservi in uno stormo.
Fino a che ciò che sogni sia tangibile e l' energia di ciò che sogni tu la possa prendere.
Conquista te stesso attraverso le tue idee, fai di esse dogmi e regole per come interpreti il tuo tempo. Apri le braccia come quegli uccelli, torna ad accarezzare ancora spazio e vento.
Magiche scintille luminose irradiano i tuoi auspici, corri bambino, corri, corri e rendili felici.
Ti solleva il desiderio, è percezione, è cosa tu possiedi, cercalo in quel che non trovi e salvalo da quello che non vedi.
Il pontile della vita e' sempre pieno di foschia, la nebbia bassa di un lago stanco e una panchina umida i tuoi occhi porta via.
Solleva le tue gambe come fossero astronavi e lanciati in un destino universo e viaggia fino a prenderne le chiavi.
Sii sempre tu a decidere se fiorire o camminare sulle cose, ponendo sempre l' attenzione però sull' importanza della prospettiva, come rose.
Corri, bambino, corri, senza fermarti mai, la vita e' un dono troppo ricco per sedersi e osservarlo mentre passa via per giungere ad altre rive ed altri mari.
La barca aspetta al molo dei pensieri, non solca mari o laghi ma gratta sulle rocce e sulle nevi.
Alberi di foglie arancio e vegetazione incontra le tue giornate, come le mie che sono adesso, come le mie che sono state.
Arrangia un pò di musica con il tuo corpo, purché tu ascolti il vento, il sole sorto.
Nutre la nuova luce di quell' alba, tutto illumina come le gocce di rugiada, umidi i prati, umide le piante, pretendi la tua mente, salva.
Non c' e' spazio per noie e rimpianto, corri bambino, corri, veglio il tuo pianto.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved



09/11/14

Volumi.




    La notte ascolta e la notte è colpa, mentre io resto qui di fronte a questo schermo volendo dare forma ai miei pensieri. Come rondini le lettere mi volano nella mente, per la verità immaginandole alcune volte e temo possano uscire ed andarsene via. Ma come vespe ronzano, ed il sibilo noioso non mi abbandona tant' è che sospetto che siano loro a seguire me e non io ad accompagnare loro. Beffarda sorte per chi vuole raccontarsi. Beffardo il disegno di chi col favore del buio mi dipinge su carta più spesso ed altre volte su una pigra tastiera di battute ritmate e parole comparse mi appare.
Vuoto il sacco su quello che sento, in maniera irregolare e forse monotona, ma ciò che del comunicare mi affascina è più la forma delle parole e delle lettere, arrivare ad esplorare la punteggiatura e gli spazi. Vedo scivolare via concetti come un pneumatico circola mangiando lingue d' asfalto, cosparse, di tanto in tanto, di pozze d' acqua che nutrono e rinfrescano dalla bolgia che ne fuoriesce. Una colata di termini sufficientemente densa e calda che via via si va costruendo per divenire roccia e raffreddare, dentro la quale altri termini lava incandescente riscaldano ed aprono vie fino a far diventare grotte ciò che prima si era raffreddato pietra. Quel vapore, quel fumo, grigio, bianco, grigio e bianco, gli schizzi dell' acqua trascorsa; e le nuvole cupe nel cielo, ispessite dal fumo che sale e minacciose si gonfiano fino ad esplodere pioggia.
Eccola lei che raffredda e precipita regolare su ogni terreno. Aiutata dal vento maestoso e solerte arriva come i veri contenuti di una pagina o di un capitolo, raccontati e fatti immaginare come piccole parti di un tutto che confluisce in un rio di altri pensieri mentre inizia a scendere a valle. Così le altre pagine, in piccole drenate nel terreno, blocchi e altre pozze, che più forti di ogni barriera altre pagine mescolano dando un senso d' insieme che altro rio giunge ad essere fiume.
Ripida è la discesa dal monte, lontano è ancora il senso compiuto di ogni periodo di quel contesto. Aggiungi altra pioggia all' impeto di un fiume che si sta rigonfiando, sognalo quel fiume, ed ascolta. L' espressione della natura da la risposta a domande che nemmeno mi sono posto. Con buona pace di un eccesso di cemento, quando il fiume giunge all' epilogo del suo viaggio da nube che era, tutto il resto si collega come un' operazione perfetta che, per quanto aggrovigliata e confusa, raccoglie una mescola di quelle rondini che volano, mentre cominciano a tacere i ronzii fino alla prossima volta che vorranno accompagnare. Mura di cinta, contenimento, nulla serve ahimè, per questo genere di caduta. Una "L" oppure una "D" possono più di un intero mare, consonanti e vocali allagano intere zone di me fino a farmi spalare del fango. Sporco rimedio al problema che non ha rimedio, e altra pagina volta e altra virgola o punto.
Tremano i pensieri alla sola idea di recintarli. Depositati su una valle di pagine, neri, allagano di caratteri interi libri, interi quaderni riempiti di vile inchiostro, sagome di congetture e ripetute grida di aiuto ad una copertina che non è custodia, men che meno confine. Esplodono parole e pensieri da quel libro, che sia romanzo o aforismi, tumulto dell' anima e sogno di un angolo quieto, sbatte e si dimena come sollevato da un vortice muto, alitando al vento ed al cielo tutto quello che dal vento e dal cielo è disceso pian piano costruendo quel che altri possono chiamare racconto.
Un percorso, fuori ed in me. Tutto è esondare, tutto è uscire dagli argini. Se ci fosse sufficiente distanza, dell' equilibrio e la consapevolezza di volerne esplorare il volume, molte persone, molte cose, sarebbero salve, dentro e fuori di loro. Cosa importa la copertina se il contenuto è sontuoso? Cosa importa al tatto la superficie se gli occhi ed il cuore ne possono gioire attraversandolo? La direzione sarà l' essenza ed il piacere, l' amore sarà possedere quelle pagine ingiallite, e pazienza se la storia sarà ormai lontana o riguardante un altro tempo, pensiero viaggia su tutto quanto quello che è riuscito a smuovere altro pensiero al punto da comporla. Volume alla superficie, scorrere all' esondare, programmare al rimediare. Le soluzioni sono tutte di fronte ai nostri occhi, il problema è: " siamo davvero in grado di vedere?". Un libro, soprattutto quando buono, è molto più di un' insieme di pagine rilegate confinate in una copertina. Aiuta spesso a scoprire dietro quale pagina fuligginosa abbiamo deciso di parcheggiare i nostri veri occhi.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved




01/11/14

Le colpe di Stefano.



     Esiste un posto dove le anime sono felici. Dove le disuguaglianze non esistono e le disparità sono bandite. Vola lieve l' anima tua che vaga oramai nell' infinito. Le ferite sono guarite ed i lividi passati, come i tuoi sbagli. La livrea dolce ti appartiene mentre un vento di giustizia dondola e il sensibile interesse culla su nuvole di zucchero e di foglie. Le mani assassine dei tuoi aguzzini sono recise di netto, mentre l' inferno non li aspetta e ad essere puntate sono le loro proli, pericolose ed inconsapevoli come i viscidi intenti di chi si adoperò per farti andare via. Non colpe, difatti non punite, ma suoni. Quei rumori di calci, di grida e di pugni che giungono lontani, dentro quel nuovo sogno sono muti. Più nulla possono al cospetto tuo che sei nel regno dei giusti e dei corretti. Diverse anime ha l' errore, e diverse facce ha colui che poi lo giudica. L' insolenza e la vergogna invece hanno un volto soltanto, le solite espressioni labiali di una sentenza mossa da altri fili, alla quale possono essere mutate espressioni e toni, sguardi e raccapriccio, ma mai quel contenuto squallido e colpevole di chi tacitamente la sostiene, men che meno di chi affonda il suo rimorso per profanare la giustizia mentre legge. Anche i tuoi sbagli erano tali, forse la tua strada ti stava portando verso quel destino, ma chi decide cosa il destino deve fare e quali sorti debba avere per chi commette degli errori?
Un uomo nuovo, quello che sei ovunque tu sia. Cammini, ma molto spesso fluttui, rimani sospeso osservando la mediocrità che ti ha condannato alla gioia, la stessa mediocrità che ha salvato dal destino tutti quelli che si sono adoperati affinché il tuo trovasse la sua fine. Epilogo denso di rammarico e senza responso, dove l' imbarazzo deve essere di tutti e diventare forza per isolare chi sceglie. Nell' occhio lontano e luminoso sempre le nostre scelte, diffamanti, complici, puntando il dito senza porgere la mano, accettando passivamente che qualcosa sia deciso da qualcuno senza appartenerci. Possiamo nulla se non lo vogliamo. Fin tanto che saremo questa specie che si disinteressa quando le cose non riguardano, non cambierà nulla.
Potevi essere salvo, potevo essere salvo. La responsabilità di una sentenza cade sopra tutti noi e sulla nostra noncuranza. Anche colpa mia, per le mie scelte, di tutti. A farne le spese la tua famiglia, che dietro allo straordinario coraggio di tua sorella si sostiene. A farne le spese il tempo che adesso non dovranno più investire, almeno per tutelare la tua dignità quando non più la tua vita. Avranno altro tempo, file di attimi dove si potranno realmente raccogliere le macerie di tutto quanto successo. A farne le spese loro, nei momenti vuoti e senza più combattere, e tutti noi, colpevoli di disinteresse ed apatia. Ma a farne le spese soprattutto quel ghigno sorridente di tutti quei maiali che guardandosi allo specchio la mattina penseranno: "l' ho scampata!".

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

26/10/14

Due Popoli.




     Gli occhi aperti su una Domenica, mentre l' odore del caffè e del latte che bolle si diffonde per le stanze di casa. Mia madre e' in cucina alle prese col pranzo, e lo sa, alle tre la partita, devo andare via. Si mangia presto la Domenica in casa mia, o quanto meno ci si prova. Lo stadio grazie al cielo non e' lontano, saranno 5 km al massimo, ed il motorino mi aiuta. Il risveglio e' comunque un pò lento. Quel biscotto inzuppato nel caffellatte, la odio la schiuma, perfetto. Mia madre che aspetta il verdetto, poi un sorriso felice per aver accontentato il suo pargolo di un metro e novanta. A tredici anni ero già una colonna, ma a tredici anni era papà a portarmi allo stadio. Ora vado da solo, e quando giochiamo in casa mi prende un' ansia che vorrei essere lì la mattina alle sette.
La mattina trascorre lenta, fatta una doccia, quasi bighellonando fra cosa mi chiede di fare mia madre ed il televideo. All' estero giocano prima, alcuni anche al Sabato. Da noi non e' così, tutti insieme alle tre, alle quattro quando giunge l' Estate. E allora giù coi risultati, sognando di incontrarli un giorno. Scorro di fretta gli esiti sognando di volare sull' Europa. Spesso l' atlante mi aiuta, ed e' così che sono a Madrid per vedere il Real, poi volo via a Barcellona, schizzo su per raggiungere Lione, poi Parigi, poi Londra. Arsenal, West Ham, Chelsea, ma anche Aston Villa e Liverpool. Aston Villa non e' una città, allora scopro che esiste Birmingham, un buon esercizio di geografia, ignorando che fra qualche hanno mi sarà utile. E allora United e City, poi Leeds. Di nuovo giù, verso Londra c' e' Norwich, la squadra dei canarini, e via dall' isola fino ad Amburgo. "Mainz cos' e'?" mi domando, e mi accorgo che esiste Magonza. Ho già sentito parlare del Colonia, così come del Borussia Moenchengladbach, una squadra che per scriverla penso, ci metti sei giorni. Verdeneri, non come quelli di Dortmund, che ricordano le api. Poi il Bayern di Monaco, per poi scoprire che Monaco ha un' altra società, più antica, che ha i nostri stessi colori ed e' del 1860. "Ma il Bayern e' nato nel 1900" penso, allora pareggio e proseguo per tornare a quello che sarà.
Oggi la Lazio gioca col Toro. La nostra storia e quella del Toro hanno degli aspetti che le fanno assomigliare. Non tanta gloria, se si esclude l' immediato dopoguerra per loro, ma voglia da vendere, determinazione, mista ad altrettanta sfortuna. Con dinamiche assolutamente differenti, carpito rose bellissime e punto spine molto dolorose. Sono poco più che un adolescente, ma amo la Lazio, e conseguentemente tutto quello che la riguarda. Non posso non sapere della tragedia che colpì il Toro nel 1949, quando quel maledetto aereo stava rientrando a Torino e si schiantò sulla collina di Superga: tutti morti. Anche questo mi riguarda, anche se non ero ancora nato e mio padre aveva un anno. Così come mi riguarda l' assurda morte del nostro "Angelo Biondo", in quella maledetta gioielleria del Fleming, oppure la lunga speranza vanificata dalla dipartita del Maestro. Io non potevo ricordarlo, se non dai racconti di mio padre. Lui, laziale come me, come mio nonno, come disse a me di Re Cecconi e Maestrelli, nonno fece lo stesso con lui parlando del Grande Torino.
Il Calcio non significa molto per me se non c' e' la Lazio di mezzo. La Lazio e' "anche" Calcio, ma ho sempre pensato che oltre le squadre di calcio, ed allo straordinario gioco cromatico delle casacche, esiste qualcosa di differente. Per carità, in ogni Paese probabilmente, ma nel mio, l' Italia, ho sempre pensato che Lazio, Torino e Genoa sono qualcosa di differente, forse Popoli, forse Famiglie, comunque non solo tre squadre.
Il Genoa deve questa mia considerazione al fatto che i seminaristi inglesi che nel 1893 decisero di fondarlo, fecero del Genoa CFC la compagine con più storia della Nazione, e questo vuol pur dire qualcosa.
Per Lazio e Torino il discorso e' diverso. Un attaccamento timido, quasi isterico. Un tifoso della Lazio, del Toro, non parlano di Lazio o di Toro, spesso nemmeno con altri laziali o granata. Un tifoso della Lazio, o del Toro, custodisce, sorveglia, accarezza la sua storia gelosamente. Strana gente il laziale, il granata, non deve convincerti di nulla, non vuole parlarne, e' una cosa che vive in cuor suo, e questo fa si che l' affetto divenga tempesta, se non uragano.
"Preparate la tavola, e' pronto", mia madre dolce avvisa. Mi risveglio dal sogn(n)o sportivo in cui mi ero adagiato, per vedere l' ora, scattare in piedi e prendere la tovaglia. "Ottimo, sono ancora le 11.30", bicchieri, posate, piatti e tovaglioli volano sul tavolo della sala da pranzo, seguiti dall' acqua, dal vino e dal pane. Tutto e' pronto mentre mamma arriva sostenendo il tegame con le pattine. " Attenti che scotta", accompagna sporzionando la pasta. Altro sguardo all' orologio, 11:37, tutto a posto, la Lazio mi aspetta. A tavola si parla, neanche a dirlo, di Lazio. Papà mi chiede se gioca Ruben Sosa, se si e' rimesso oppure non ce l' ha fatta. Fra un boccone e l' altro, ci si sposta al secondo, ed al Torino, con buona pace di mia madre che oramai ha smesso da anni di tentare un cambio di conversazione e di genere. Tutti a casa sanno che se c'e' la Lazio altro posto non c' e', siamo pieni. Sono forti, quel Lentini poi... non pensiamoci, oggi c' e' il sole ed il cielo e limpido. Oggi di sopra fanno il tifo per noi.
Il pranzo mi ruba quei venti minuti, mezz' ora. Quando gli altri sono al caffè, io comincio i miei riti. "Roberto, accendi che e' pronto", in cucina rispondo ed eseguo, ma se possibile nell' altra mano ho già lo spazzolino da denti. Plano sul bagno per ottemperare alle ultime necessità igieniche, sono fuori ed il caffè sta uscendo. Il rumore della nostra Bialetti non tradisce, ed e' quello che fa scattare la molla della partita. Torno di la, tazzine e bicchiere per me, zucchero, cucchiaino e verso il caffè, neanche mi siedo. La camera aspetta, e quello e' un momento tutto mio. Sono disordinatissimo, ma mi accorgo che mentre ero sotto la doccia mia madre ha già provveduto a rifare il letto. Calzini, Jeans e camicia, il bottone non entra nell' asola; pullover indosso e giacchetto sul letto, apro il cassetto. Le mie cose della Lazio sono tutte lì; "si, la sciarpa, ma quale?" penso, "l' ultima a bande con la toppa o quella NON OMOLOGATI? O magari quella degli Eagles, Uniti per Vincere...".  Per me già a quel tempo la Lazio aveva valore "1". Non esistevano gruppi, o club, esisteva soltanto Lei. Legare i lacci delle Clarks cenere era facile, mettere i jeans a sigaretta all' esterno di queste affinché scendessero bene lo era meno. Fatto questo, passavo alla scelta cappello. Da pescatore celeste bianco celeste con aquila stilizzata e scritta Lazio, o cappello a visiera del Chelsea F.C. blu con righine bianche che scendevano e visiera rossa? Oppure ancora anonimo col cappello da pescatore "Barbour" che tanto mi piaceva col mio giacchetto di pelle aviatore "Schott"? Fatto sta che con questa vera e propria vestizione annullavo totalmente l' effetto "pranzo anticipato" per accorgermi che era un quarto all' una. Altra consuetudine, salutavo tutti di fretta e mia madre: "sta attento", per poi chiudere la porta e rientrare immediatamente a prendere qualcosa che avevo dimenticato, fossero forse le chiavi o forse il portafoglio, ma mai l' abbonamento.
Il mio EsseAcca volava via fuori dal cancello, e quello che vedevo da quel motorino con la mia sciarpa al collo erano sogni, non strade e palazzi. Guidavo con una certa attenzione alle altre auto per poter vedere qualche sciarpa fuori dal finestrino. Altri motorini come il mio passavano qua e la per poi raccogliersi al semaforo, chi con la sciarpa al collo e chi no. Qualche istante e mi gettavo giù per la Cassia Nuova, verso Corso Francia, qualche radio parlava di Lazio e nel traffico che dovevo sviare c' era tempo per sapere cosa aveva detto la mattina il nostro Mister. Salito sulla tangenziale l' ultimo incanto: quel tunnel sempre troppo buio che quando si bagnava di bianco e di azzurro diventava un turbinio di clacson assordanti. Giunto alla quasi completa cecità, avvolto da questo festival musicale rumoroso, l' uscita del tunnel era quasi mistica, e quello che appariva di fronte, se possibile, lo era ancora di più. Quella Statua, la carraia, la mia Curva. Svoltavo a sinistra per aggirare il ministero degli esteri, ma puntualmente il pezzetto contromano per andare a mettere il motorino giù, in fondo alle scale. Un mare bianco e azzurro si affacciava dall' edificio del M.A.E., travertino puro, candido come le nuvole. Maestoso lo guardavo, e vedendo quel bianco, lo sguardo non poteva che scivolare su quel cielo terso, azzurro, perfetto, che con quell' edificio era quasi un' altra bandiera, la più grande. Scendevo verso la marea umana, dove cercavo ed incontravo i miei amici al solito posto, ai "paninari", per passare due ore insieme aspettando Lazio-Toro.
Lo stadio distrugge in un attimo estrazioni sociali, professioni, interessi. La Lazio e' "1", si parlava soltanto di Lei e di come poterla aiutare. Naturalmente il nostro tempo scivolava verso l' ingresso allo stadio, dove tanti volti e tanti cenni d' intesa insieme ai "permesso" ci accompagnavano prima verso le tre rampe di scale in salita, poi, dalla vetrata, una rapida occhiata ai granata, di la, poi allo striscione più bello, e via, sui gradini che ci portavano al di sopra del boccaporto. Giunto al mio posto salutavo chi non avevo ancora visto e chi non mi aveva ancora visto salutava me. Cominciava il nostro lavoro, tutti insieme, io e i miei amici, a sostener la Lazio.

L' appuntamento era con loro. L' appuntamento era con Lei. Loro ed io eravamo Lei, Lei noi.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved












    

24/10/14

Movimento.



     Taccio perché lo trovo più funzionale del parlare quando i punti di vista sono talmente distanti da non potersi incontrare, ma se resto in silenzio mi sento dire che evidentemente ciò che penso e' privo di contenuti seri, dunque parlo. Se parlo non va bene perché noto cose che i più non vogliono sentirsi dire, ma l' ipocrisia non alberga in me e allora parlo. Essi si sentono attaccati da ciò che dico perché non sono abituati a combattere per le proprie idee, quando incontrano qualcuno che invece e' disposto a morire per le sue, si spiazzano, e non comprendono. Resto in silenzio ed e' perché evidentemente quello che ho da dire non e' importante. Parlo e vengo tacciato di essere un sognatore, un esaltato. Ascolto, e tutto quello che vedo e che sento non lo ritengo meglio di me, ne di quello che penso. Sono uno snob? Mi abbandono nelle chiacchiere o sono uno che preferisce star zitto? Comincio a non avere più la libertà di essere come sono?
Sta crollando di fronte a me tutta la certezza costruita su basi di polvere. Io lo vedo. Come pesci agonizzanti si dibattono in discussioni che neanche cerco. Abbandonano la livrea che si sono messi sul capo e tutta intorno da soli, e parlano una lingua vetusta e di situazioni obsolete, strutture di muffa radicate oltre le quali non riescono a vedere, pur di non comprendere che tutto e' in movimento. Accettare il cambiamento, recepire lo scossone, il grande terremoto che sta avvenendo in maniera silenziosa, li lascia sbigottiti e privi di qualsiasi razionale capacità di pensiero che non siano parole vuote dette a se stessi più che agli altri. Tacitamente accolgo la loro staticità, mi aspetto che facciano altrettanto con il mio movimento.
Termino questo pensiero con uno scritto, e mi viene in aiuto la disciplina nipponica dell' intendere le cose: "Corpo che pensa, Mente che danza". Forse ciò che sembra fuori inganna, e' un panda, un bradipo o una tartaruga, ma dentro c' e' un bisonte che punta gli zoccoli a terra e non ha voglia di fermarsi. Una bestia di una forza esplosiva che non si ferma di fronte alla menzogna perpetrata da chi ha colonizzato oramai anche le coscienze di chi si e' fatto abbindolare.
Potrà sembrare presunzione, ma non lo è affatto. Non sono certo il depositario della verità assoluta. Affiora solamente la stanchezza per qualcosa che come un nastro si ripete, un qualcosa di cui mi vogliono convincere gli altri, tante soluzioni offerte per un qualcosa che non e' un problema. Ho le mie idee, e non ho bisogno di essere salvato da nessuno.


19/10/14

Pelle.




      Morde e respira l' odore mentre nel buio il suo corpo si accende e si volta lento. Lo sguardo comprensivo raccoglie ed il dorso accarezza fino ad averne brividi. I piedi bisticciano mentre le ginocchia strofinano per fare un po' caldo. Il fianco si volta perfetto, la coperta si adagia e lo vedo sul letto.
Una spalla si muove in avanti e flette fino ad allungare la schiena con la sensuale insenatura a dividerla in parte, un' arteria pastello che vomita crine fino alla nuca. Il collo e la mano che passa, attraversa i trapezi ed i seni scendendo alla pancia. Come un fiume di lava che monta è il calore che sale, la radura gestita che accoglie e accompagna le dita. Sfiora colli di forme incantevoli, quasi sontuose, come rose si poggiano petali e voglie latenti.
La notte risveglia passioni e ricordi di pelle. Sanguigni desideri muovono corpi ad unirsi, e lo studio dell' uno e dell' altro scientifici prendono. Come le mani che cercano, dorsi e palmi, dita ed unghiate di dita. Avvolti e gli sguardi, e le mani e il sudore. Si cingono e vogliono, e l' intesa e il risveglio dei cuori che palpitano. Minuti diventano tempo, spesi come studio l' uno dell' essenza dell' altro.
Ovvie pulsioni e tessuto si tira e si arrotola male. E quel caldo, e quel freddo, e la pelle s' infiamma e si scioglie, come l' uno che morde, come l' altro che lascia il terreno per trovarsi in un' estasi muta. Crudo racconto di notti annoiate, di coppie svogliate e di mani che frugano vuote. Cruda istantanea di un risveglio confuso, di una bolgia che infiamma e rovina, volontà che d' un tratto si china. Poi resta il piacere.

All Right Reserved - Roberto De Sanctis

18/10/14

Confuse.




    Tace mentre scivola via lenta la notte. Fuori la pioggia cade densa come fango. Sarà forse la cena pesante o forse è il pensiero di cosa sarà domani ma non riesce a prendere sonno. La tazza è colma di una tisana bollente che diffonde profumo, ma gli occhi suoi sono fissi sui vetri della finestra che guarda all' esterno. Il davanzale è di gelido marmo, forse il calore o forse l' umidità annullano la possibilità di vedere, dunque una mano passa a raccogliere acqua. Rimane in piedi in quei pochi momenti che l' umidità impiega a riappropriarsi del vetro, poi di nuovo una mano che passa.
Strana malinconia nella mente, e i pensieri viaggiano attraversando il passato. C' è nei suoi occhi e nel cuore. Capire cosa successe senza analizzarlo, senza dividerlo in scomparti per riflettere su dove si sia persa l' opportunità ed un confine stabilito fra l' amore e la noia sopraggiunta. Come quel fango che scende via il freddo si impossessa di tutti quei momenti singolarmente, spezzando la routine di quello statico periodo dove egli esplora, dove egli affiora. Le luci sono esplosioni di nuvole, quei lampioni di cui non si vede la fine al terreno sembrano aliene, come sospese sollevano polveri d' acqua. Edifici come colonne, analisi del prospetto ed i confini si dilatano metrici. Giova un sorso di liquido caldo per uscire dal torpore che l' oblio consuetudinario incatena. Crepitii di grondaie accompagnano piogge a caduta, persiane socchiuse come le idee lasciano entrare un lago nero di pensieri di ieri. Un luminoso cielo assume toni violacei per poi scatenarsi in un gutturale suono cupo che sembra vomitare e poi ringhiottire ciò che fu. Scende insieme e gonfia canali e rii, agglomera suggestioni fuggendo dal vissuto reale per gettarsi in un' alba che dal viola insedia l' arancio. Madido di sudore e di sabbia, carico come un masso, una pietra dai contorni di nuvole salmone. Si accorge che è quasi giorno, pizzica e poggia, sfiora e si cuoce con quella tazza che adesso è più fredda. Adagia le labbra sul vetro ed un simbolo pioggia protegge. Si lega all' elemento trasparente affinché possa credere anche solo per un istante di poter uscire e riuscire ad essere tutto. Ciò che ha osservato adesso lo vede, solo adesso che è giorno l' entità eletta che lo stava guardando si apre, e dei suoi destini incontra il sogno di quel che si aspetta. Pensarsi attraverso le cose, un riflesso è un pensiero, un riflesso è uno specchio, un riflesso è scoprire se stesso.

All Rights Reserved - Roberto De Sanctis

15/10/14

01 Febbraio 1998: Napoli-Lazio.




       L' ennesima trasferta. La più strana.
Forse perché quel giorno avevo chiesto a Maria Grazia di accompagnarmi alla stazione. Lei non aveva esitato un istante, aveva annuito e con la sua Peugeot bianca eravamo andati a Termini. Mai avrei immaginato di ritrovarmela, dopo averla salutata a Via Marsala, mentre stavo prendendo un caffè al bar.
-Vengo con te- disse. -Non se ne parla- io risposi. Lei non sapeva nulla di pallone. Doveva desistere dai suoi propositi, per forza.
Era Domenica 1 Febbraio del 1998, la trasferta era a Napoli, ed i tifosi partenopei non erano fra i più accoglienti nel novero nazionale. Va detto in realtà, che anche a noi laziali loro non erano affatto simpatici. Questa antipatia affondava le proprie radici in questioni lontane due decenni e più e, se ce ne era bisogno, ad aggiungere benzina sul fuoco c' erano stati anche svariati anni di gemellaggio fra loro e quei simpaticoni dell' altra sponda del Tevere. Non era esattamente una partita da affrontare in treno portandosi appresso una fanciulla, anche se col carattere di Maria Grazia.
Quello che dissi non servì a nulla. Lei aveva già fatto la sua scelta, prese dei bocconcini di pollo e si recò a fare il biglietto. Io mi rassegnai. Ci stavamo frequentando da qualche mese, lei piaceva ad un ragazzo che conoscevo. Una volta capitammo in discorso ed io tentai di sponsorizzarlo, però, come spesso accade, gli argomenti precipitarono e ci ritrovammo a vivere una relazione.
Era terribilmente cocciuta, e questo mi piaceva da morire. Sapevo che mi sarei caricato un fardello impegnativo per quella trasferta, ma non avevo modo di controbattere alla sua decisione.
Il treno partì puntuale. Circa un migliaio di laziali si erano accomodati su quella diligenza gusto cuoio. Mentre salutavo i ragazzi che conoscevo che si avventuravano nel via vai del corridoio, ero profondamente imbarazzato da quella presenza femminile. Per me era la prima volta, e sarebbe stata anche l' ultima.
Ero preoccupato e pensavo a cosa avrei potuto fare una volta giunto alla stazione di Campi Flegrei. Ero stato a Napoli parecchie altre volte e gli arrivi, il cancelletto verde da passare uno alla volta e quel tragitto che portava alla rampa del settore ospiti lasciandosi a sinistra i padiglioni della Mostra d' Oltremare erano stati sempre parecchio turbolenti.
Il quartiere di Furigrotta, in altre occasioni, aveva preso le sembianze di un alveare dal quale queste operose api, gli scugnizzi delle curve A e B, si dimenavano rumorosamente, lanciando di tutto come si fa con il riso ad un matrimonio. Quando questo succedeva, di solito un nutrito e compatto gruppo di nostri tifosi rispondeva staccandosi dal corteo e caricando e ricacciando questi piccoli insetti nelle vie dalle quali erano apparsi. Sinceramente sperai che quella sera non scoppiassero tumulti, e mi arrovellai il cervello su cosa avrei dovuto fare nel caso per proteggere Maria Grazia qualora fosse avvenuto.
Questi miei nebulosi pensieri mi sollevarono da tutto. Forse anche per questo quel treno volò, tanto che mi accorsi di essere a Bagnoli, qualche centinaia di metri prima della stazione di Campi Flegrei. L' apatia che mi donò quello stato mi stava tutt' ad un tratto abbandonando, e col suo venir meno montava l' ansia quando voltavo lo sguardo e mi rendevo conto che lei era li per davvero.
Lo stridio dei freni e quella puzza di ferro e carbone succedettero ai cori contro il Napoli ed a quelli per la Lazio, intonati dalle nostre leve affacciate ai finestrini. Un treno di mille persone e' lungo a fermarsi, vedevo negli occhi di Maria Grazia lo stupore per una situazione nuova. Per alcuni istanti sembrò affascinata da quanto stava succedendo, ma dovevo prepararla a quello che sarebbe potuto succedere: un velocissimo vademecum sul da farsi in caso di problemi.
Volevo godermi un pò di Lazio anche io, mi affacciai in un piccolo spazio che si venne a creare su un finestrino, gli insulti volavano mentre il treno non si era ancora fermato. Maria Grazia mi chiedeva cosa stava succedendo. Era più bassa ed oltretutto non le avrei mai permesso di mettere la testa fuori, qualche bontempone avrebbe potuto tirare qualcosa verso il treno... Vidi un plotone in tenuta antisommossa in attesa del nostro arrivo. Qualcuno era nell' atto di indossare il casco, altri sbattevano i loro manganelli nei palmi delle loro mani coperte da guanti. Era come se ci stessero dicendo che ci stavano aspettando, mentre i funzionari, distinguibili dagli abiti civili e dalle radio, sebbene indossassero i caschi anch' essi, si voltavano nervosamente impartendo ordini alla rinfusa.
Era la prova del nove, la prima situazione critica. Cosa sarebbe accaduto alla discesa dal treno dei nostri tifosi? I laziali pretendevano spazio, la Polizia ed i Carabinieri spingevano per non darlo. Iniziarono le danze. Immediatamente le frange più vicine dell' una e dell' altra parte iniziarono a scontrarsi, la Polizia arretrò quel tanto da poter permettere ai tifosi di incanalarsi nel sottopassaggio che portava all' uscita.
A quel punto gli animi si placarono e l' ingresso nel sottopassaggio dei primi tifosi avviò il passaggio del resto delle persone. Il buongiorno non era stato buono, pressato nella masnada di gente guardavo lei, che aveva lo sguardo preoccupato di chi aveva iniziato a considerare le conseguenze che la scelta di seguirmi avrebbe potuto generare. Era senz' altro la prima volta che Maria Grazia aveva assistito a dei tafferugli, sebbene fosse stata una manciata di secondi. L' espressione del suo viso, ad un tratto, era mutata totalmente, ed allora ero io che in quei momenti cercavo di mantenerla calma. Altri agenti erano fuori, sul piazzale antistante la stazione, Piazzale Tecchio. Quella era la testa, coloro coi quali c' erano stati problemi, la coda.
Il corteo iniziò a muoversi solo quando anche l' ultimo laziale fu uscito dal cancelletto verde laterale, a destra, rispetto alla struttura della stazione. Facemmo per andare e la solita "L" che porta verso la Mostra d' Oltremare. Avevo detto a Maria Grazia di mantenersi sempre vicino a me, e lei, dopo aver visto quanto successo prima, aveva annuito. Ci approssimavamo all' altro punto critico dove negli anni passati c' erano stati problemi, prima della rampa che sale al settore ospiti. Spesso dal viale al fianco della Mostra d' Oltremare si erano affacciati dei tifosi del Napoli in cerca di paga, ma tutto sembrava tranquillo, quando l' esplosione di una potente bomba carta sull' altro versante, ad una distanza di duecento metri circa, alla nostra destra, fu il biglietto da visita di un folto gruppo di tifosi napoletani, che stavano cercando di rompere il cordone di Polizia che faceva da cuscinetto dal loro lato fra le due tifoserie. Alla vista della scena, quasi a voler difendere l' oltraggio dell' accesso al castelletto, i nostri cominciarono a fare altrettanto con la schiera di agenti che presidiava il nostro fianco. A quel punto l' intero corteo iniziò a muoversi come una massa magmatica senza pace in tutte le direzioni, io presi Maria Grazia sotto braccio e le misi il mio cappello sulla testa, temendo lanci di pietre o monete. Lei obbediva silente a tutto quello che le dicevo, ma in realtà avevo anche un altro aspetto da considerare: i napoletani avevano preso un pò di campo, ed i nostri avevano fatto lo stesso. Le due frange si erano avvicinate notevolmente e ripetevo a me stesso cosa avrei dovuto fare qualora i due gruppi fossero venuti a contatto, il rischio era concreto, ma ragionare fra quelle urla, le manganellate degli agenti, questa massa agitata che si dimenava in un senso e nell' altro, era difficilissimo. Del nostro migliaio almeno trecento avevano deciso di ribattere all' onta di essersi presentati dei partenopei, e volevano giungere a loro per poterli ricacciare direttamente. Di la lo stesso, si avvicinavano agli agenti, ingaggiavano scontro, per poi riparare indietro e ripartire. Arrivò uno dei momenti di stanca in cui la grossa parte degli agenti a noi dedicati ci pressò verso la parte alta della rampa, dove allo strappo agli inservienti era stato ordinato di aprire i cancelli e, letteralmente, buttarci dentro lo stadio. Questo avvenne con qualche ultima carineria che ovviamente coinvolse persone in testa al gruppo, cioè le ultime a voler cercare scontro coi dirimpettai. Il bilancio fra i nostri fu qualche testa rotta, parecchie braccia livide ed una sudorazione nervosa dovuta allo stress sopportato. Anche qualche agente si fece refertare per qualche colpo subito: entrammo.
Maria Grazia era seduta e rimaneva in silenzio. La prima cosa che le dissi, ovviamente, fu che l' avevo avvisata che Napoli-Lazio era la partita meno indicata per decidere di seguirmi. Stava riflettendo, ma iniziò subito a commentare quanto avvenuto, e la cosa strana e' che lei comprese, pur avendo un occhio critico, che quanto successo era accaduto per estrema volontà di mostrare agli altri quanto l' affetto per la propria squadra fosse maggiore, e avrebbe spinto "oltre" le singole velleità, pur di raggiungere lo scopo.
Devo dire che in quel momento mi spiazzò. Avevo parlato molte volte con delle persone che mi chiedevano i motivo per cui io mi ostinassi a seguire la Lazio nonostante gli incidenti che Domenica dopo Domenica si susseguivano sui vari campi d' Italia. La risposta più carina che ricevevo dall' interlocutore era che evidentemente piaceva menar le mani anche a me, o comunque trovarmi nei problemi. Non solo Maria Grazia non si era fermata alla squallida facciata, ma oltre ad aver ragionato, aveva anche capito, tant' e' che fu proprio lei a suggerirmi quella sera, mentre aspettavamo l' inizio della partita, la metafora del Forte.
"Tu hai un Forte, e il tuo avversario ne ha un altro. Tu parli del tuo Forte come se non ce ne fossero di uguali, l' avversario fa altrettanto. Se i due Forti sono sufficientemente lontani da ignorarsi allora può darsi che non accada nulla, ma se così non e' l' uno vuole mostrare all' altro che il suo è migliore, ed e' disposto a tutto pur di farlo.".
Nello stadio ci fu un tifo incessante da parte nostra, loro avevano i soliti , radi, boati, ma la partita ebbe solo sussulti inutili. Quella sera la Lazio giocò bene, ma la sfida fra Casiraghi e Taglialatela fu vinta da quest' ultimo, il quale parò tutto, anche l' indicibile. Alla fine del match portammo a casa un punto e, come da copione, rimanemmo nel settore chiusi e presidiati come carcerati, in attesa del deflusso dallo stadio S.Paolo dei tifosi della squadra di casa.
La noia e la stanchezza affiorarono e qualche scaramuccia e qualche insulto fecero da corollario all' apertura dei cancelli per riportarci verso la stazione dei treni. A presidiarci gli stessi agenti dell' andata che, visto quanto successo, non permettevano il minimo accenno a qualsiasi richiesta che subito alzavano la voce se non il manganello. Il ritorno in stazione fu tranquillo. I tifosi partenopei evidentemente si erano ricacciati nell' alveare da dove li avevamo visti uscire. Arrivati ai treni però, un ulteriore parapiglia divampò fra agenti e un nutrito gruppo di tifosi, che rimproverava ai primi di aver colpito nel mucchio senza avere contezza di chi faceva cosa. Gli agenti ebbero il loro da fare per far risalire tutti sul treno, nel mentre io e Maria Grazia ci eravamo impossessati di uno scompartimento, avevamo chiuso le tendine e stavamo pregando che nessuno ci venisse a bussare. Era tardi, eravamo stanchi, ed avevamo voglia di dormire.
Il treno partì e quello fu il segnale che noi eravamo riusciti nel nostro intento, la velocità non era sostenuta. Dopo poco si fermò di nuovo, noi pensammo ad un semaforo sulla ferrovia, altri sostennero nei giorni successivi di un freno tirato, eravamo ancora troppo lenti per comprendere la natura della nostra sosta. Fatto sta che al sentire i cori dei ragazzi sul treno, dai palazzi di fronte persone cominciarono ad affacciarsi ed a gridare improperi contro gli occupanti. Fu il putiferio. Si aprirono le porte di vari vagoni, la gente inviperita da ritardi, manganellate ricevute e trattamento, si accalcava in prossimità delle uscite. Iniziò una fittissima sassaiola da ambo le parti, volarono tavole di ponteggi e pietre ruppero finestre. Furono 10 minuti di pura follia. Io e Maria Grazia ci guardammo. Iniziò una corsa a ritroso di tutti i ragazzi che erano scesi. Dopo qualche istante cominciarono a salire sul treno degli agenti, mentre le grida dai palazzi continuavano. Il loro lavoro era aprire gli scompartimenti e manganellare qualunque cosa si muovesse. Fecero così per tutto il treno, non risparmiando nessuno tant' e' che ci fu nei giorni seguenti, anche un' interrogazione parlamentare dell' On. Martini perché fosse giustificato l' operato delle FF.OO. Furono picchiati anche dei disabili. Tre persone furono ridotte in gravi condizioni ed a Pozzuoli, quando il Reparto Mobile di Napoli ci consegnò a quello che ci avrebbe portato a Roma, vidi discutere a male parole i due responsabili, quello che ci prendeva chiedeva spiegazioni di quanto avvenuto alla vista delle tumefazioni sui volti delle persone e sul numero delle teste rotte. Pazzesco.
Quanto a me e Maria Grazia, fummo probabilmente gli unici su quel treno ad essere graziati. Quando la porta dello scompartimento si aprì, il manganello era già alto, ma fortuna volle che alcuni attimi prima simulammo un bacio per tentare di sfuggire a quella che fu definita dai giornali nei giorni successivi "una mattanza" . Funzionò. Un altro agente tentò di entrare, ma il primo, vedendoci così, richiuse la porta proseguendo la processione. A quel punto ci baciammo davvero.
Quella sera tante persone maltrattate e stanche presero altri colpi ingiustamente. Quella sera Napoli Lazio divenne uno scontro città contro città come per la verità mi era già capitato di vedere in passato, anche se mai così pesante.
I poliziotti non furono leggeri, ne tanto meno giusti. Se non hanno mai risposto a nessuno per quella sera credo sia uno schifo, perché ciò che vidi quella sera, e ascoltai e lessi nei mesi successivi, mi allontanò parecchio dal concetto di tutela del cittadino.
Il treno fermò alla stazione Tiburtina alle 04.20 del mattino. Non era ancora finita, degli autobus navetta ci riportavano alla stazione Termini, dalla quale eravamo partiti. Raggiungemmo la macchina e Grazia mi accompagnò a casa. La salutai e mi avviai, con la promessa di vederci a lavoro l' indomani.
Sul portone di casa pensai a quello che avevamo passato, personalmente feci il paro con quattro anni prima. A casa mio padre e mia madre dormivano, io aprii la porta piano per non svegliarli, mi spogliai, raggiunsi il bagno e lavandomi le mani mi guardai allo specchio. Ero stanco, passai le mani piene d' acqua sul viso ed espirai forte, ripetei il movimento insaponandomi di nuovo il viso e risciacquandolo. Mi voltai per prendere l' asciugamano e riconobbi di fronte la sagoma di papà che sottovoce mi disse: "bentornato". Io lo abbracciai ed andai a dormire.

All Rights Reserved - Roberto De Sanctis