28/02/15

Tracciato.




          Il filo della vita e' teso. Se si potesse pizzicare produrrebbe un suono, mentre alle estremità si tende da ciò che non c' era a ciò che tornerà a non esserci. Pattino come la lama di ferro sul ghiaccio e disegno un filo. Lo attraverso come istanti di polvere gelida che si disgrega al suo passaggio. Pitturo ghirigori e direzioni strambe senza spezzate e senza quei bivi che l' esperienza che si vive di tanto in tanto pone di fronte. Morbido come le sicurezze e le decisioni prese. Fermarsi crea un cambio di velocità e nega l' intento. Solido come la decisione che ci metto, quella fermezza attinta all' evidenza che si possa proporre a se stessi qualcosa di diverso dalla routine. Liquido buio negli altri e cecità che si dirada tracciando le strade a più livelli. Luci per me che per altri sono altrove, ed angoli di nero pesto dove le mie mani non servono per aprire cos' e' soffitto, terreno o crepaccio. Cronaca di un presente senza pareti e di una luce in fondo che mi fa vedere bene le cose lontane e mi impedisce di osservare con l' occhio ciò che invece e' intorno. Percezioni, rumori di sensibilità, suono. Violate le tempeste offese, il pattino che passa stride sulla corda degli eventi. Mormorii e silenzio le negazioni di ciò che propone, al cospetto invece di una distruzione dirompente del sogno, che come cingoli in arrivo spaccano la piatta consuetudine di un nulla morto. Novità, elevate ascese, nebbie avvolte a soluzioni erte. Scaglio la pietra del mio sguardo solo lì dove non e' nessuno. Bramo lo scopo fino ad assaporare come fosse una vendetta il mio successo. Grido in un angolo muto la coscienza intervenuta e l' elemento nuovo, mentre la strada percorsa e' solo una sinuosa riga bianca nel bianco del trascorso. Masse di scivoli silenziosi, e spirali freddissime pizzicano l' arrivo delle idee. Grugniti di volgari limiti lasciano il campo all' eletta volontà. Belati di candidi incoscienti solcano oramai le acque di un andato mare. Arrivano le pianificazioni di strutture solide come nuovo marmo, imposte docili e violenta musica, in elegante condividere e riservato impianto. Solco e' creato, come la culla di un vigneto al sole che germoglia. Vite, intesa come Vitae. Se un ambiente persiste inquinato, lascio l' ambiente o quello che e' creato. Giuggiole e struttura organica, pilastro di un domani nuovo dove il pattino disegna traiettorie nuove in un ghiacciato scopo che nessuno vede ancora. Minimo affronto e gelosa protezione avvolge nuova linfa in un oblio di menti che ho lontane. Divellere quei limiti sarà forse impossibile ma lascerò dei nuovi ciottoli di crepe e nuovo freddo rifarà il disegno. Camminerò con chi sarà al mio fianco, tracciando l' idea senza un comando, ma accarezzando l' obiettivo di proporre vere novità ed antico garbo. Il mio suolo e' qui, ne sento le irregolarità e pacatamente mi ci siedo. Credendo nell' immobilismo dinamico la mia mente si sostituisce al corpo che riflette. La luce in fondo basta a tutto e viaggio ancora rimanendo fisso, senza il bisogno di osservare il mio confine quando quel nuovo orizzonte vi sia affaccia e lo disgrega.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

24/02/15

La lunga notte di Fochabers.




        Le prime avvisaglie c' erano già state all' arrivo, quando all' aeroporto di Prestwick le scorrevoli che portano al rental si erano aperte ed una folata di vento gelido ci aveva investito. Come se fossimo lenzuoli ci aveva sventolato all' indietro. Con tutta la buona pazienza, ci avevamo riprovato incurvandoci verso avanti e, bagagli in mano, a passo veloce c' eravamo diretti verso la nostra Zafira noleggiata. Eravamo in sei, la vettura era da sette posti. Saliti e coi bagagli messi nel vano posteriore, eravamo così fitti che passammo rapidamente da quel gelo ad una sensazione di calore intenso, tant' e' che spesi qualche istante per scendere di nuovo e togliermi la giacca.
Quel viaggio ci aveva diretto verso le Highlands Occidentali, le avevamo attraversate nei giorni precedenti per giungere sull' isola di Mist, poi, passata la notte, avevamo risalito un' altra parte della Scozia, fino ad arrivare ad Inverness, dove avevamo scelto di pranzare.
Una deviazione improvvisa ci fece mancare il bivio per il centro città, parlammo e, considerato che la direzione era giusta per il prosieguo del viaggio, e che oltretutto conoscevamo già Inverness, decidemmo di andare oltre. Il primo posto buono che non assomigliava a poco più di un villaggio era Nairn. La cittadina non era un granché, ma trovammo un pub carino dove pranzare e berci una birra. Mangiammo un bel pezzo di manzo con dei funghi e dei fagioli. Due ragazzi ubriachi con in testa dei cappelli da Tex Willer stavano giocando a biliardo. Il gioco era già di per se avvilente, con quelle buche gigantesche e quelle dimensioni ridotte rispetto ai nostri. Sembrava un giocattolo per bambini, ma il modo in cui i due ubriachi urlavano e si prendevano sul serio ci fece trattenere lì per una seconda birra, non senza sorridere delle loro imbarazzanti condizioni, né facendoci evitare commenti ovvi sull' assoluta inconsistenza di quel gioco.
Lasciammo il locale per riprendere l' auto. Avevamo visto sulle mappe che di lì a poco saremmo arrivati in una città, Elgin. Stava per imbrunire, pertanto decidemmo di eleggere Elgin a posto dove restare per la notte, ma dovevamo trovare un posto dove dormire.
E' vero che stavamo abbandonando le Highlands per entrare nello Speyside, ma rimaneva pur sempre il Nord della Scozia, non volevamo metterci in condizione di arrivare al buio senza aver trovato un Inn od un B&B dove riposare le nostre membra e confortare i palati. In effetti impiegammo meno di mezz' ora per giungere alle porte di Elgin, ma una ricerca infruttuosa e qualche tentativo respinto ci fecero decidere di proseguire ancora, direzione Aberdeen. "No Vacancies" era il cartello più gettonato da quelle parti, come se fossimo a Nuova York, eppure parliamo di un buco di città di fronte al Mare del Nord. Via! Ce ne andammo e fu in quel momento che la nostra serata prese una direzione diversa, forse una delle più folli di tutta la mia vita.
La "Main Road" permetteva un' andatura comoda, interrotta solo di tanto in tanto, dall' attraversamento di qualche villaggio che ci faceva mantenere una velocità inferiore alle 30 Miglia per ora, per poi ricominciare a trottare verso il villaggio successivo. Avevamo lasciato la costa e stavamo parlando, mappa alla mano, del posto che ci avrebbe potuto ospitare per la notte. Fu in quel momento che un nuovo "Speed Limit 30" ci annunciò il passaggio in un nuovo paesino. Welcome to Fochabers, leggemmo. Ero alla guida come sempre, alla vista di quel cartello, come di consueto rallentai, e disciplinatamente mantenendo i 29 orari passammo le prime case. Sulla destra si apriva uno spazio con un bel giardino ed un edificio che dalla conformazione doveva essere il municipio. Passato il giardino, sempre sulla destra, leggemmo, in mezzo a tutte le insegne, che nel Regno Unito ti fanno sembrare un pub anche un negozio di lavanderia od un ufficio postale, "The Red Lion Tavern", la taverna del leone rosso.
Accostai la macchina e feci per parcheggiare, sull' uscio c' erano due signori, entrambi con capelli bianchi lunghi e con la barba, bianca anch' essa. Iniziammo a scendere e queste persone, mentre stavano fumando la loro sigaretta, continuavano a vedere.
Dovevamo dare parecchio nell' occhio in quel paesino. Una grande vettura, sostava, cominciammo a scendere io, 1 metro e 90 per gli allora 130 chilogrammi, molti di muscoli ma parecchi altri di pancia, poi Federico, altro metro e 90, poi Fefe, un metro e 80 per un girovita parecchio esteso, e via Alessandro, 1 e 95 per due spalle da nuotatore, in ultimo Matteo, anche lui sul metro e 80, ed Angelino, il più piccolo, ma comunque nella norma.
Da lontano, vedendoci uscire tutti, i due fecero per sorridere, ma l' espressione mutò mentre ci recavamo proprio nella loro direzione. Sull' uscio, senza nessuna idea di spostarsi, il più anziano dei due, che doveva essere sulla cinquantina, ci chiese: "Italy?". Risposta piuttosto ovvia, considerando che Fefe indossava una felpa con uno scudetto tricolore grande come una noce di cocco, comunque rispondemmo di si, e ripresero le risate, stavolta rendendoci nervosi, dei due che borbottavano dicendoci che non poteva essere altrimenti. Alla mia domanda, per la verità abbastanza irrigidita, "Why?", ci dissero che non poteva essere altrimenti perché uscire da quella vettura da 7 in 6, e tutti grossi a quella maniera, poteva essere solo da italiani.
Non capimmo subito se ci stava facendo un complimento o era una "presa per il culo", restava il fatto che quello era un public house, noi volevamo una birra e loro la vendevano. Non eravamo partiti col piede giusto, ma pazienza, ci accomodammo.
L' interno del pub aveva il bancone immediatamente a sinistra, una piccola sala di accoglienza con dei divanetti, alcune sedie ed il solito, immancabile biliardo per bambini al centro della sala, poi si estendeva in un' altro ambiente più grande sulla sinistra, in direzione della quale si poteva svoltare per i servizi e per quella che sembrava essere una sala colazioni. Sul retro del banco una ragazza bruttina stava finendo di spinare una birra. Facevano parte del comitato di accoglienza cinque o sei individui abbastanza avanti con l' età, tutti loro si erano voltati a guardarci domandandosi palesemente chi fossimo e da dove venissimo.
La ragazza sul retro finì di spinare quella birra e si volatilizzò. Noi ci sedemmo ed il signore che ci aveva fatto la battuta sull'  uscio, che doveva essere anche il padrone, ci chiese quali birre volessimo. Finalmente si parlava una lingua comune, partirono immediatamente le prime sei birre, lui ce le fece per commercio, noi le prendemmo per goderne. Da quelle parti della Scozia puoi divertirti parecchio, esistono parecchie varietà di birre che non solo non troverai mai in Italia, ma neanche ad Edimburgo o Glasgow. Si possono assaggiare varie cose che non si conoscono, dai sapori nuovi, o comunque differenti. Già nelle esperienze precedenti inoltre, avevamo fatto la conoscenza di alcuni snacks che definire deleteri era poco, come i pork skratchings e gli scampi fries, dei croccantini al gusto di cotenna e di scampi che avevamo imparato ad alternare sapientemente, per la gioia di fegato e stomaco. Li puntammo ed iniziò la distruzione di quella parete di confezioni.
Alla terza birra, Gavin, il proprietario, ancora ci chiedeva di pagare le bevute, un proforma che avremmo abbandonato fra un altro paio di giri, cominciando un' interazione di mutua fiducia. Gavin era l' uomo dai capelli e dalla barba sale e pepe che al ostro arrivo ci aveva sfottuto. Il fatto che stessimo bevendo a ritmi anche più serrati degli altri avventori, ci fece guadagnare il rispetto che in principio i ragazzotti di Fochabers non ci avevano riservato. Fu a quel punto, una birra appena dopo le presentazioni ufficiali, che approfondii la questione. A noi serviva da dormire, dov' eravamo ci piaceva, e per la verità ci stavamo anche divertendo, ma avevamo bisogno di una stanza. Entrando avevo notato una sala colazioni, ma non avevo la certezza che fosse per chi dormiva nlla taverna, anche perché, andando in bagno, mi ero accorto che mancava la cosa fondamentale: le stanze. Non c' erano scale che portassero ai piani superiori, non c' erano corridoi che camminavano altrove, niente di niente.
Feci per chiamarlo e lui, che aveva preso il giro, si voltò per prendere un bicchiere. Io lo richiamai dicendogli che non era per bere, nel mio inglese un pò più che maccheronico gli spiegai che stavamo cercando delle stanze per passare la notte. Lui mi guardò, sorrise con quei suoi occhi languidi curvati verso il basso, e mi rispose in un inglese peggiore del mio che disponeva delle stanze che stavamo cercando, faceva 30,00 sterline per la notte e prima colazione a persona. Io, come detto, non avevo visto le stanze, ma incuriosito ed attratto dal prezzo estremamente conveniente parlai con gli altri, che subito mi diedero il placet per rimanere nella taverna del leone rosso. Io per la verità ero ancora parecchio titubante, senza che lui se la prendesse, perché da quelle parti si usa, chiesi dapprima se le stanze avessero i servizi interni, e alla sua risposta affermativa fui convinto di vendicarmi per il torto subito al nostro arrivo: gli chiesi se potevo vederle, che in quella strana sintonia che avevamo trovato, voleva dire dal mio punto di vista che adesso ero io a non fidarmi di lui. Gavin annuì ancora, parlò con una signora, verosimilmente la moglie, mi fece cenno di seguirlo e si diresse verso quella sala colazioni che avevo visto entrando nel pub. Gli altri rimasero al banco, io coprii la mia birra col sottobicchiere per far capire alla signora che non doveva riprendersela, e lo seguii.
Attraversammo la sala, passò dove il corridoio faceva un angolo e si fermò in uno stanzino. Le nostre scarpe camminavano sulla moquette rossa del locale, ma sotto il nostro peso, le doghe di legno che dovevano trovarsi sotto la moquette scricchiolavano ad ogni nostro passo. Aprì una porta ed uscimmo, per poi salire delle scale all' aperto che portavano finalmente al piano di sopra. Una fila di 5 o 6 porte mi confermava che le stanze c' erano eccome. Gavin aprì la prima.
Feci appena in tempo a ficcare la testa dentro la stanza che un ambiente enorme, almeno 10 metri per 4, mi apparve. I due letti erano ad una piazza e mezza, francesi. La struttura doveva essere stata rinnovata da poco, era nuova, ma la sorpresa vera giunse alla vista del bagno. Se c' e' una cosa che non sopporto dei britannici, e' proprio l' enorme pragmatismo e l' essenzialità che riservano all' arredo dei bagni. Puoi trovarci di tutto, dalla moquette sotto il water, alla cabina doccia tipo container. Quella sera facemmo bingo. Porta del bagno, dentro tutte piastrelle verde acqua, un angolo dedicato alla doccia con dei vetri almeno 2 metri per 2 ed addirittura il bidet. Diciamo che rimasi quasi sconvolto, gli dissi di si con la solennità che si ha di fronte ad un atto notarile, sorrisi e feci per scendere. Ero veramente impaziente di avvisare gli altri: Fochabers sarebbe stato il nostro posto. Sarà stata forse la positività intervenuta per quelle stanze ma l' aria all' esterno, riscendendo, mi sembrò subito più dolce. Gavin fece per riaprire la porta, io lo seguivo. Posò le chiavi dove le aveva prese, rifece il gomito di quel corridoio, e quando ritornammo nella sala tutti si girarono, guardando me. Io non dissi nulla, mi limitai ad annuire, solo Angelo mi venne incontro per chiedere come fossero le stanze. Io gli risposi che erano perfette, tornammo a bere e divorare scampi fries.
Passò il tempo di altre due pinte, avevo cambiato assaggiando dell' ottima Caledonian 80%, Gavin abbandonò del tutto la sua diffidenza ed aprì un conto sulle birre segnate per tutto il gruppaccio di italiani cui aveva dato asilo. Erano da poco passate le sei del pomeriggio, stavamo dimostrando sul campo che non eravamo lì per pettinare le bambole.
Tutti i giorni, in qualunque angolo del Regno Unito, alle 17.00 si stacca dal lavoro e si raggiunge il pub per una pinta. Quel Giovedì non era differente, infatti nuovi clienti iniziavano ad avvicendarsi. I signori che avevamo trovato al nostro arrivo andavano via, mentre una clientela più giovane stava giungendo. Molti degli avventori erano in abiti da lavoro, fenomeno straordinario il rapporto che questa gente ha col suo posto. Il lavoro per Gavin divenne parecchio serrato, ma riuscì abilmente a riservare un gran bell' occhio di riguardo per "the italians". Cominciava già a spinare e non segnare qualcosa, per la verità infatti il conto lo doveva soddisfare non poco, al punto da offrirci qualche pinta. Avevamo oramai fatto amicizia rispettivamente con: 1) Scott. Forse un ermafrodita del quale non riuscivamo a determinare il sesso. Capello corto, fulvo, e riga da una parte, nessuna traccia di un seno femminile né di barba, che poteva lasciar supporre una sua certa mascolinità. Un rebus, ma una vera macchina da guerra alcoolica che si nutriva solo di brandy; 2) Gary. L' altro coi capelli bianchi che ci aveva accolto sull' uscio. Musicista. Assomigliava al ragazzo con la chitarra che di schiena e sotto la palma si poteva vedere in un adesivo parecchio diffuso negli anni '80. Da un' accurata osservazione dei suoi sorrisi, era emerso come almeno cinque o sei dei trentadue denti di cui doveva essere stato munito mancassero all' appello. Una innata passione per il corteggiamento ed una discreta conoscenza della sua chitarra e della musica; 3) Sharon. La capogruppo di una allegra comitiva di giocatrici di Curling. Veniva, come le altre, da Ottawa, Canada. Ci mettemmo qualche ora per capire che eravamo incappati nel bel mezzo di un Tour della nazionale canadese di quello strambo Sport con scopette e boccini che scivolano sul ghiaccio, con tanto di accompagnatrici ed allenatore. Erano in Scozia, per affrontare una serie di squadre locali, quella sera incontrarono noi.
Stavamo bevendo birra, ma sebbene fosse di una gradazione alcoolica piuttosto bassa, il quantitativo di pinte consumate ci stava portando verso un' allegria parecchio rumorosa. Io e Federico avemmo anche il tempo per avventurarci, per la prima volta, in una partita al biliardo baby. Fu in quel momento che capimmo che stavamo arrivando a livello. Il biliardo, come detto, era davvero piccolo, mentre quelle enormi buche per miopi sembravano grotte, ma la partita assunse toni da Italia-Germania 4-3. Il biliardo era in piano, eravamo noi ad essere obliqui rispetto ad esso. I nostri errori suscitarono le risa di tutta la sala. Avevamo collezionato un nutrito pubblico di scozzesi che faceva il tifo per l' uno o per l' altro, ma i tempi supplementari furono interrotti dallo stesso Gavin. Gli avevamo chiesto di provvedere per la cena, e lui, per dovere di ospitalità, non potendola servire si era accordato con un ristoratore dall' altra parte della strada per farci cenare lì. Aveva detto per le 20.00, e le 20.00 erano arrivate.
 Lasciammo le stecche sul bordo del biliardo con somma soddisfazione degli astanti, mentre le palle restavano li in bella mostra sul tappeto pronte per la nuova coppia da accompagnare. Noi ci affacciammo fuori dalla taverna, con Gavin in testa, che ci indicò realmente il ristorante da raggiungere, ed in fila indiana ci incamminammo.
"One pint of Deuchars, please". Ci eravamo accomodati in quell' accogliente ristorante ed avevo subito identificato la mia nuova vittima sacrificale. Un birrificio di Edimburgo mi forniva una IPA da quasi quattro gradi, ma senza mettere nulla nello stomaco cominciava ad essere un pò troppo. Ordinammo ed il festival di bistecche cominciò ad arrivare. Usavano accompagnare il piatto con delle salse orribili invece di preferire della semplice insalata o delle patatine fritte, ma la mia esperienza mi fece anticipare il problema. Chiesi subito, e fui l' unico, "only mushrooms and Vegetables". Mi guadagnai gli sguardi di tutti gli altri commensali mentre allontanavano dalla carne insalata russa e sbobbe simili.
Eravamo in un' atmosfera anni '70, stavamo conversando amabilmente felici della scelta fatta, Fochabers si era rivelata una vera soddisfazione. Ripensavamo a Nairn e alla infruttuosa ricerca di Elgin, benedicendola. Avevamo trovato una cortesia ed un gran bel posto dove mettere la tenda.
Mangiammo in un' ora o poco più, avemmo il tempo di ricordarci qualche motivo per cui non chiedere un espresso in Scozia, ma eravamo già proiettati sull' ultima ora e mezza da vivere nella "Taverna".
Al nostro rientro ritrovammo tutto come se non fosse passato un solo minuto. Scott era lì, al banco, col suo ennesimo bicchiere di brandy. Gary suonava la chitarra al centro della sala, sui divanetti, mentre la nazionale canadese di Curling gli sedeva intorno. Gavin continuava a spinare. L' unica novità: degli operai avevano lasciato il posto ad altri ragazzi che adesso sedevano all' angolo del bancone, ma appena entrati noi fecero per varcare la soglia altre cinque o sei persone che dovevano essere sulla quarantina. Eravamo entrati accolti da un boato similstadio, evidentemente la voce della nostra presenza era girata per il paese, che non aveva più di tremila anime, e il nostro nuovo ingresso aveva dato conferma che la voce diffusa fosse vera.
Neanche il tempo di un nuovo saluto, noi ci voltammo verso Gavin ch stava già provvedendo. Pur sapendoci satolli di ritorno dalla nostra cena, per nulla disgustato dalle nostre performance con gli snacks, ci chiese se ne volevamo ancora, rispondemmo in coro di no, ma fu un no morbido, lasciando intendere che messo un altro pò di bevanda nello stomaco, non avremmo disdegnato affatto. Tant' e' che ricominciammo da dove eravamo rimasti: "Slainte Ma", si alzarono le pinte e brindammo tutti. Anche i nuovi astanti, travolti dal livello di confidenza, parteciparono subito al brindisi, ed approfittarono di noi per comunicare con "alieni" della nostra risma. Certo doveva essere curioso accogliere italiani appassionati di Rugby in un posto come Fochabers. Del tutto fuori dalle rotte canoniche di turismo, non era nulla. Appena fuori dalla zona dello Speyside, nota per l' ottimo whisky e fiore all' occhiello dell' economia scozzese. Non era Aberdeen, centro d' affari legato al businness del petrolio. Non era Inverness, tappa obbligata per chi decide di visitare Urquark Castle sul lago di Ness. Semplicemente un paesino di passaggio, quello che se fossimo stati in Lombardia, od in Piemonte, avremmo tranquillamente chiamato un "buco di culo" nel nulla. Ma era quello il bello...
Per come eravamo fatti noi, più era ignoto, isolato, lontano da tutto e dai passaggi obbligati, più ci piaceva. Fochabers, come altre parti, ci dava questo senso di "esclusività", pensavamo e ripensavamo a quanto pochi potessero essere gli italiani incappati in quel villaggio, e conseguentemente in quella taverna.
Quell' altro paio di birre volò via accompagnandoci fino alla chiusura. Gavin stava sistemando tutto per chiudere, ma poi mi fece l' occhiolino. Io capii subito che le sue gesta erano un "atto dovuto". Alle 23.00 per gli altri doveva chiudere necessariamente, ma forse non per noi. Tant' e' che mi rivolsi immediatamente verso i mugugni degli altri nostri, che di finire lì la serata non volevano saperne, e in italiano dissi loro di aspettare e di fare i "vaghi", perché Gavin mi aveva lasciato intendere che avremmo potuto continuare a bere e divertirci oltre chiusura.
Dopo tutto effettivamente noi eravamo ospiti, ma lo stesso non era per Scott, per Gary e per le canadesi. Suono della campanella, ultimo giro ed ordiniamo ancora, con gli "ultimi" snacks... Per la verità dovevamo essere proprio una vera attrattiva di turismo per quelli che avevano riempito il pub. Ricordo che Gavin faticò tantissimo a mandarli via, e ricordo anche che quando ebbe sbarrata la porta per una mezz' ora buona persone continuavano a bussare dall' esterno affinché gli venisse aperto. Quelle richieste quella sera non ricevettero risposta alcuna. Rasserenati e per la verità, intorpiditi dall' alcool, dopo aver moderato i toni di voce per un pò per far credere che lo spettacolo fosse finito, ricominciammo.
Gary coinvolse tutti con la sua chitarra. A qualcuno fu dato il tamburello coi sonagli, altri facevano ritmo con i cucchiai da caffè, altri ancora con la voce. Di lì in poi ritornammo alle nostre voci sguaiate, alternando "Volare" di Modugno a "The Wild Rover" dei Dubliners, fino a giungere a "Delilah" di Tom Jones e "500 Miles" dei Proclaimers.
Conoscevamo bene le partiture, magari toppando qua e la qualcosina sulla grammatica, ma in quanto a ritmo eravamo i migliori, ed il nostro tenore numero uno stava entrando in condizione tipo. Alessandro ricordo aveva qualcosa in testa, come di solito quando ci capita di alzare il gomito, la sua voce passo da baritono a contralto per poi trionfare come nessun' altro sul suo tenore possente. I sorrisi erano diffusi, Gavin con questi suoi occhi languidi di ubriachezza accompagnava e gli si leggeva in faccia quale fosse il suo sbigottimento nel vedere italiani così anglosassoni. Non cedevamo di un passo, conservando la nostra verve, ma mai scadendo in atteggiamenti che non fossero dettati dall' immensa felicità che stavamo vivendo.
Fu in una delle mie continue visite al bagno per perdere qualche liquido che tornando, la mia attenzione fu rapita da una vasca...si, letteralmente una vasca di uova sode.
Per la verità le avevo viste anche entrando, ricordavo, ma in principio mi avevano suscitato quasi un vago senso di ribrezzo. Ora tutto era cambiato, erano così accattivanti...chiamai Gavin e gli chiesi. Mi disse che erano sottaceto, e che erano usate come anti-sbronza quando si alzava troppo il gomito. Beh, io quella sera non avevo il gomito alzato, si era praticamente rovesciato, ero la cavia più adatta per testare la validità di quanto lui asseriva. Certo, le norme igieniche non erano il massimo, non doveva essere ISO 9002, lo capii quando mi disse di affossare la mano nell' aceto e prenderne uno per provare. Pensai che intere squadre di operai, ragazzotti del nord, impiegati non particolarmente inclini all' igiene personale dovevano aver appozzato le loro mani in quel recipiente, ma a quel punto... feci per mettere la mano nell' aceto e presi il mio uovo. Lo mangiai velocemente e sul mio esempio, anche altri dei nostri fecero lo stesso. Fu a quel punto che mi resi conto che Scott, l' ermafrodita, oltre a nutrirsi di brandy, poteva fare anche altro, perché seguì il nostro esempio. Stavamo tutti masticando voracemente queste uova sode sottaceto. Posso tranquillamente affermare che erano favolose, se non necessarie. L' aceto rinvigorì immediatamente il corpo e generò una ulteriore richiesta di pork skratchings, a quel punto tutto andava giù che era una bellezza...stavamo facendo una "passatella" nel nord della Scozia, e ridevamo, cantavamo e ci abbracciavamo tutti insieme, accompagnati dalla chitarra di Gary, dalle tenere voci femminili delle ragazze canadesi e da Alessandro che oramai, sontuosamente, aveva preso il controllo della regola canora.
Passò la mezzanotte, attraversammo l' una per giungere alle due. Nulla era cambiato, ci avviavamo facilmente verso il mattino seguendo le stesse regole dettate nelle ore precedenti. Non solo avevo finito di assaggiare tutte le spine che Gavin aveva a disposizione, avevo avuto anche il tempo di ripassare la lezione ed affinare il gusto, tant' e' che avevo eletto a birra preferita quella Caledonian 80% che, non essendo eccessivamente alcoolica, andava giù che era una bellezza. Ebbi giusto il tempo, dietro ai reclami dell' ermafrodita, di fare una variazione sul tema e fare l' ennesimo giro offerto da Scott a suon di brandy. Mi rovinò il gusto immediatamente, non apprezzavo i superalcoolici, ma fu un gesto di cortesia accettare. Più difficile fu non fargli o non farle capire che quel brandy mi aveva fatto letteralmente schifo. Era gentile, cortesissimo/a, cosa potevo fare? Tutti noi pensammo la stessa cosa, ed a turno cominciammo a portare lui sulla birra, ma fu subito palese che gli aveva fatto lo stesso nostro effetto, naturalmente al rovescio, così ci regolammo che chi faceva giri per gli altri poteva lasciare liberi gli altri di prendere ciò che volevano. Credo fu quello, quella notte, ad impedire che io mi vomitassi l' anima.
L' età delle canadesi variava. Andavamo dai 50 e più anni della babbiona allenatrice, scivolando sui 35/40 di alcune donne fatte, arrivando a delle ragazze più giovani, comunque sopra i trenta. Ad una certa ora, cominciammo a tentare approcci, dei più disparati, cercando di braccarle, ognuno con il proprio savoir faire. Tutti, eccetto Alessandro ormai perso in una disputa a tema canoro con Gary che, invece, da buon "sorcio" aveva, con la sua chitarrina, già sedotto una di quelle che spazzolava il ghiaccio...nulla che Alessandro potesse comunque comprendere a quell' ora della notte, e nel suo stato. Il suo "penso che un giorno così..." poteva essere avvertito nitidamente dall' aeroporto di Inverness ad Ovest e dalla città di Aberdeen ad Est. Evidentemente il nostro fumatore, Federico, doveva aver fumato parecchio, perché ad un tratto finì addirittura il gas dell' accendino. Fu in quel momento, in uno dei suoi ultimi barlumi di lucidità, che Gavin, con un gesto rapido come quello di un bradipo che attraversa la strada, si chinò sul retrobanco e ci porse degli accendini. Rossi, scritta bianca, ne aveva per tutti, e lo presi anche io che non fumavo. Lessi su un fianco "The Red Lion Tavern - Fochabers" e pensai che sarebbe stato un gran bel ricordo da conservare, poi, per eccesso di zelo, lo voltai dall' altra parte per vedere se ci fosse scritto qualcosa. Iniziai a ridere e alle mie risa anche gli altri cercarono di capire. Federico seguì con un' altrettanto fragorosa risata, e dovemmo spiegare a chi masticava poco di inglese, Fefe, il motivo. Matteo aveva capito, e rideva anche lui, Angelo aveva parenti in Canada, quindi chiese a Matteo perché ridevamo, Alessandro continuava a cantare. "Where's the Hell? I' ve just been Yesterday night!", letteralmente: "Dov' e' l' inferno? Ci sono giusto stato ieri sera!". Era vero. Stavamo passando una notte straordinaria ed infernale. Finiti dalle risa, ed oramai dall' intervenuta ubriachezza, continuavamo a mangiare quella merda di snacks, gli avevamo portato via una confezione e mezza...circa 45/50 bustine di quella roba, ed almeno un quarantina di Scampi Fries, il tutto condito da fiumi di varie birre, un brandy, delle uova sottaceto e, grazie a Dio, un pezzo di carne senza ne olio ne sale, ne nulla, che mi aveva pulito la coscienza per quell' ora passata al ristorante. A quel punto la mia determinazione si accanì verso una di quelle ragazze. Era mora, capelli lisci e a caschetto, ricordo che indossava degli occhiali ed aveva degli occhioni blu. Iniziai una lunga conversazione al banco con lei mentre già da tempo Angelo aveva preso il posto di Gavin a spinare le birre. Per un istante pensai che quello fosse il suggello al nostro trionfo, pensando oltretutto a come ci aveva accolto, ma immediatamente dopo mi rituffai nell' amabile conversazione con la fanciulla, che doveva essere intorno alla quarantina, ma che per educazione mi ero astenuto dal chiederle se mi fossi sbagliato. In sincerità non ricordo nemmeno il nome, ma dovevo essere stato piuttosto incisivo perché d' un tratto ricordo che mi mostrò delle foto dicendomi "Sorry, I can' t". Dopo vari attacchi mollai la presa, solo al momento in cui mi resi conto che quelli sulla foto dovevano essere i suoi figli. Io implosi in quel pensiero, ed in quell' esatto istante un enorme senso di colpa mi fece salire una stanchezza mortale. Mollai tutto e le augurai la buona notte. Dissi agli altri che stavo pensando di salire a dormire. Alessandro si fermò un istante, mi guardò, e riprese a cantare. Fefe e Federico concordarono con me. Ricordo Scott diagonale dirigersi verso la porta di servizio. Gary e la sua chitarra andarono a dama. L' allenatrice richiamò all' ordine tutte le altre e Gavin, oramai inconsapevole, lentamente annuì.
Guardammo l' ora, erano le 4.35 del mattino, meridiano di Grennwich. All' indomani ci avrebbe atteso lo Speyside e la regione dell' Angus. Vallo a spiegare il perché saremmo partiti tardi, vallo a dire a chi crede che i locali in Gran Bretagna chiudono alle 23.00, vallo a dire a te stesso che avremmo avuto solo 5 ore di sonno prima di ripartire. Quelle scale per salire al piano superiore furono come passi sul K2. Salendo pensavo alla montagna degli italiani, fu solo all' indomani che mi resi conto dei 16 scalini che avevo disceso per andare a fare colazione. Grazie a Dio la comodità del letto sul quale svennì, e la grandissima comodità della doccia che feci all' indomani mi fecero far pace con "l' inferno" dove eravamo stati la notte precedente. Altro discorso fu riuscire a svegliare Alessandro, mio compagno di stanza, solitamente molto incline a cullarsi fra le soffici mani di Morfeo, ma ci riuscii. Scesi per la colazione, le nostre facce erano facce di mummie. Ricordo che passammo tutto il tempo della colazione senza dirci nulla se non buongiorno. D' un tratto dal corridoio spuntò Gavin, feci per alzare la testa in segno di saluto, ma senza dire nulla, lui fece lo stesso. Eravamo tornati dall' Inferno.

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22/02/15

Alla piccola Lara.





       Il tuo papà ha il coraggio del leone. Venuto da quell' isola, la sua, con tanti sogni e tante sicurezze da confermare. Quella valigia era ricca di pensieri e di buone maniere. Poi conobbe un giorno la tua mamma. Di lei si innamorò perdutamente cercandosi negli occhi suoi e pensando di riuscire a ritrovarsi in quel che riaffiorava dal suo sguardo. Nacque prima tuo fratello, una schiena dritta in costruzione, un piccolo di uomo ricco di propositi stupendi. Poi arrivasti tu, con la sensibilità che ti contraddistingue, e la sagacia, palestra per quegli occhi azzurri che ti difenderebbero da terremoti ed esplosioni di vulcani.
In questi tuoi anni di giovane vita hai allenato il tuo papà a correggersi, a riconoscere e distinguere il vero e l' importante dal resto. Una ginnastica necessaria in un Paese che non era il suo, con altre abitudini, con altro tempo. Anche i momenti trascorsi e gli impegni presi appaiono differenti, e tutto questo quel leone lo ha imparato sulla pelle sua. Al tuo fianco, senza essere invadente. Il giusto spazio per la tua crescita, ma al tempo stesso l' occhio vigile di chi in te vede il suo amore, ed e' pronto a difenderlo appena necessario.
Ed e' così che stai crescendo, imparando a guardare le cose con gli occhi tuoi che sono quelli di tuo padre. Consapevolezza e dolcezza in un misto dove mamma ha avuto la sua parte più importante, pronta a gridare o al silenzio quando la situazione ne conviene. Palestra tu per loro, come tuo fratello, cui stanno spuntando le ali di uomo. Palestra loro per lui, e per te, che cerchi di comprendere attraverso il tuo equilibrio e la tua linea. Ora volteggi e come la libellula ti elevi, avvitandoti e allungando le tue braccia su quegli attrezzi che tu senti tanto tuoi. Corri e salti, ricadendo in gommapiuma e talco. La tua fatica, il tuo sudore, la tua voglia, sono la penna e quell' inchiostro che tu hai scelto per definire i contorni di quel che vuoi divenga la tua direzione.
Da cosa vieni, se non dall' amore delle due terre che in te si sono trovate. Una penisola ed un' isola mentre nel tuo rammarico per questo stupido incidente delusione monta. Attendi tranquilla, riposa ed elabora.
Tuo papà e' seduto lì, vicino al tempo tuo buttato mentre lecchi la ferita. Come nocciolo di un frutto copre e vigila, e tua mamma di te si prende cura al fianco suo, quando anche il cucciolo di uomo ha già compreso che ti occorre tempo, e che necessita di scivolare via tranquillo senza dare altri pensieri ai genitori che ti sono accanto. Riposa libellula, aspetta. Prenditi tutto il tempo che ti occorre per tornare in pista. Non sarà questa gara a fare di te un' atleta o meno, ne saranno questi momenti ad impedire che tu diventi quella donna che stai diventando. L' orologio della fatica ha rintoccato, mentre il coraggio del leone adesso e' vivo. In te c' e' tutto ciò che e' stato e che sarà, per te e per quel fratellone che sta divenendo uomo. Non parla molto il tuo papà, ma ciò che dice e' scritto nei suoi occhi, il suo pensiero e' in te che si rialza lentamente, magari un pò ammaccato, ma ancora pronto a un suo ruggito. Tu piccola libellula, sei figlia di tua madre e di tuo padre, e se la leggiadria ti dona in pista ed in palestra, ricordati che e' adesso il tuo momento di ruggire.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved


     

15/02/15

In caduta libera.




      Conosco bene quei pendii dell' anima. Quella marea di onde emotive che dai sorrisi portano alle lacrime affogando molle il volto come neve che si scioglie.
Scoscesi pensieri precipitano in un' evidenza connettiva che riflette come specchi di emozioni. Franano le voglie e in quei frammenti rotolano via le aspettative perse. Con esse io abbandono quello che non si conquista, in quel precipizio qualche premura deve essere fuggita via.
Bordi di tessuti soffiano comprensioni che col vento addosso sono velocissime. Vortici e capovolte, come ruggiti d' aria convogliano tirati verso terra da nuvole che si allontanano rapide come un soffitto solo immaginato. Altre sono spirali di ghiaccio tritato, accarezzano e gonfiano isole del mio corpo mentre il vento si impossessa di ciò che e' esposto, che in esso si crogiola e patisce.
Percezioni dell' istante e degli immediati attimi successivi, come nuotando fra dissonanze e sperimentazioni di breve che si confondono col medio lungo termine su ciò che accade. E' talmente tutto così repentino da non lasciare spazio alle riflessioni, come cavalcando gli istanti in piani, si accalcano, come pilastri di conoscenze soltanto accarezzate in un marasma di follia candida e gelata. Senza ramponi ne piccozze per aggrapparsi e sorreggersi, il cuore si dilata verso le ossa del torace a tergo. Mentre il terreno si avvicina, i laghi si ingrossano ed il verde della boscaglia sembra pronto ad inghiottire, croste di vette rocciose giungono con le loro nevi poggiate e battute dal sole come luminose torce.
Come un risveglio le emozioni sembrano  ridestarsi, accompagnano via silenziosi occhi lucidi con la pretesa di aver visto il vento andare via da loro.
Taciturno incassa ed il filo che ha tirato lo rallenta e frena, fino a far scendere le idee di ciò che era razionali, e pronte da dividere per esser valutate una alla volta. Raccolta la poltiglia di quel che e' frantumato, silenzioso si ritira. A quei vortici la cura non esiste, ma la liana che lo salva e' quella nuova idea di corteccia che ora affiora.
Irrecuperabile ciò che e' distrutto, perso ciò che penso andato via, raccolgo quel che resta e questa nuova voglia di provare ancora a risentirmi libero com' era allora.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

11/02/15

Rhondda.




        Graffia l' odore del carbone mentre il ciccione capelluto si dirige claudicante con le birre verso il nostro banco. Come altalene i suoi capelli grigi dondolano e parte delle pinte e della schiuma vanno via ma non diciamo nulla. Ci fa pensare ad un pendolo. Raccolto ciò che resta e ripensando al cotto coke, quel brindisi fotografa un momento in quella valle che diventa in bianco e nero come tutto. Pulviscolo nell' aria e malattie per gli abitanti, ma ci tuffiamo in questa dimensione respirandone il malessere. Sia per me che per Roberto non c' e' stata un' altra volta, quelle ciminiere di Cardiff sono ormai così lontane che la vegetazione le ha inghiottite insieme a tutto quanto. Esiste un qualcosa di magico in questa terra, forse le storie di eremiti e druidi, pensatori e maghi, affondano in una popolare convinzione che si svela piano adesso, anche a noi che la respiriamo appena. L' odore acre, e i pronipoti di una situazione prospera ci scaldano e ci fanno puzzare anche i vestiti, ma siamo ben felici di non aver trovato l' ennesimo posto di plastica, e allora riscontrando che e' diverso ce ne affezioniamo. Così come le orrende patatine che ci serve, che in Italia non toccheremmo nemmeno con i guanti. Le divoriamo e ne prendiamo altre, sanno di codica, altre di pesce, altre volte ci salva l' aceto, od il pepe, per poi rituffarsi nel maiale e nel pesce. Le prime due birre vanno via in qualche attimo e quel cenno universale convince il ciccione a farne ancora due. Stessa modalità, spinaggio ottimo, riaffiora il carbone e ritorna all' orecchio il rumore penzolante della sua andatura. Le poggia, e noi, per la verità, nemmeno le dovremmo pagare, ma lo ringraziamo e paghiamo lo stesso. Quel momento non e' in quelle due birre. Si imprime all' odore e alla vista, sono attimi che raccogliamo convinti di portarli per sempre. Focalizzi tutto, la strada ed i lavori in corso, fra scampi fries e pork scratchings, ripassi le colline e poi l' ingresso. La campanella suona e lui che arriva. Adesso eccomi qua, a raccontare del ciccione dentro al pub di Rhondda. Non ricordo il nome di quel pub ma ho impresso lui. Granitico come un bacino nuovo da grattare, come le nostre mezze birre intriso. Alcoolico e quasi osceno, ubriaco in tutta la grandezza e la profonda connessione fra quell' individuo e quella valle nera. Questo ci consegna, e val bene il prezzo di quelle due pinte pagate. Sigillato nello scrigno dei ricordi quell' istante che indelebile parcheggia gli occhi a quell' odore. Uscendo per proseguire una nuova consapevolezza ci rimette sulla strada. Per il valico non manca molto, ma al cospetto di quella valle appena passata quando siamo in mezzo agli alberi sembra passato il "sempre". Via da quella valle nera, via da quel campo da Rugby obliquo, via da quell' odore velenoso. Del ciccione cosa dire...credo che quelle mezze birre sono state sempre piene.

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10/02/15

Intensità.



Quando la voce trema mi trema il cuore
Sibilo di un vento muto nelle mie corde
Mentre le mani ghiacciano non ho parole
Scinde parti del corpo e la voglia morde

Troppi quei corridoi che si calpestano
Ghiandole di nudo ossigeno lanciate in aria
Valichi di alabastro poi le comprimono
Serrano e quei fondali fanno da balia
.
Naviga le intensità in questo estremo brivido
Non e' solo la schiena che ne risente
Percorre assestamenti di affanno vivido
Fremiti e nuove scosse fino alla mente

Di grigie nubi ciondolano i calori
Abbandonati al vento e alle brezze nuove
Deserti di aride energie di sali
Pronti a lasciare tutto ed andare altrove

Scuote e schiaffeggia gote mi espone al vento
Fra il candido rossore ed il mio imbarazzo
Mentre i miei occhi lucidi di gelo sento
Nella soffusa luce di quel palazzo

Navi e tempeste e lampi dense di schiume
Rendono l' orizzonte ancor più sottile
Da sfondo la luce fioca di un barlume
Nuvole di vergogna e un' attesa vile

Attimo di quella gioia che e' silenziosa
Di saperla vicina oramai si nutre
Affonda e afferra il bandolo di chi osa
Schiamazzo immenso e docile che si copre

Dal cuore osserva un fiore e in silenzio tocca
Intermittenti corde fra il suo volere
Funi sommerse assistono e quell' alga blocca
Solida la contesa allo strano mare

Vuoto di pesci e privo nell' interesse
Madide le emozioni e liquido bollente
Avverte quel disagio e si tuffa in esse
Scorge un' uscita intima ed incoerente

Voglia di andare avanti che esorta ancora
Per queste crude valli sottomarine
Dove dei sordi suoni lontani affiora
Abbandono i miei sensi su queste cime

Pressioni inesplorate affondando cingono
Fino ad implodere dentro loro stesse
Sbocciano di nuovo e candide adesso sudano
Liberano correnti che erano oppresse

Culle di movimenti d' insieme danzano
Osservatori aridi di comprensione
Nei desideri e fra le carni stagnano
Non lasciandosi ancora andare alla passione

Vortici stringono braccia dentro nel petto
Pulsa di sensazioni che sono prove
Mette da parte subito l' intelletto
E finalmente adesso nel corpo piove

Musiche nuove giungono da quei fondali
Quando le rocce cambiano scendendo ancora
Fredde si immergono e battono le ali
Rapide scosse portano fino all' aurora

Sorgive di calde bolle e sublime lava
Di incandescenti temi e cupi silenzi
Guardano gli occhi e serra la dove stava
Esplose nevi bianche cui presti i sensi

Fradici cunei spezzano cortecce e incanti
Vanificano essenze immobili ora lasciate
Statici hanno timore di andare avanti
Educa a renderle ancora emozionate

Cedono il passo e scivolano le finzioni
Dove la notte buia e' luminescente
Sorge la luce e accende quelle passioni
Onde di venti ghiacci aprono la mente

Vìola segrete stanze dell' esistenza
Sciolte le fantasie che ora sono mute
Raccolgo la sensualità dentro la tua stanza
Guardandoti e capendo che mi seduce

Dormi e nei tuoi movimenti io mi rivedo
Socchiudi gli occhi e lo sguardo tuo che incontra
Fondali e abissi di amore che io godo
E nuovo desiderio che adesso monta

Benché possa fare a meno degli orizzonti
Resta quel solo alito di confidenza
Toccare e riscoprirsi di nuovo amanti
Non voglio mai rimanerne senza

Accorgersi di accogliere quella nave
Vivido espressamente cuore lo chiede
Raccogliendone quieto porto di mare
Volano frivole favole che non vede

Lunghe le notti nell' aria sonnolenta
Di quel torpore che lento mi attanaglia
Lui si impossessa e le mie labbra annienta
Osservo gli occhi tuoi mentre e' la battaglia

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved





 

07/02/15

Profumo di Rugby.

 


          Grazie Alessandro. Leggo in questi giorni, in cui si approssima il torneo delle Sei Nazioni, tante persone che non sanno nulla di Rugby commentare in maniera negativa questo Sport o commentare il modo scelto dai tifosi del Rugby di seguire questo Sport. Come se il popolo del Rugby avesse chiesto di dispensare pensieri o commenti a queste persone.
Non ho certo l' interesse, questo sia chiaro, a convincerli a seguirlo, spiegarlo a chi non comprende sarebbe perfettamente inutile, ma ho apprezzato il fatto che tu abbia rimarcato come non ci interessino affatto gli aficionados occasionali, anche se questo, per carità, non significa che siamo tutti praticanti o profondi conoscitori, anche perché le regole di questo Sport sono soggette a continui cambiamenti da parte dell' International Rugby Board (IRB), la sua massima istituzione, ai fini di migliorare e rendere sempre più chiaro e determinabile questo gioco. 
Concordo anche con l' amico Runa sul fatto che e' inammissibile che la Nostra Lazio debba giocare il Lunedì ( oltretutto su un campo che sarà ridotto ad un campo di patate dopo oggi...) per lasciare spazio alla nazionale di Rugby. E' inammissibile, come e' inammissibile che per disinteresse politico od interesse economico dei soliti "palazzinari", lo Sport italiano che, in assoluto, porta più tifosi all' estero al seguito con la sua nazionale ( Calcio compreso...), e che fa arrivare a Roma una media, solo dall' estero, di 30.000/35.000 turisti ogni anno,concentrati in due o tre weekend, con tutti gli introiti che ne conseguono per il Comune di Roma, continui a non avere una sua casa nella capitale. E' assurdo. 
E comunque, se posso esprimermi, trovo assai curioso vedere come molte persone elogino l' attore Al Pacino per quello straordinario monologo fatto alla sua squadra nel film "Any given Sunday ( Ogni maledetta Domenica)" che esalta lo spirito di uno Sport come il Football Americano, quando leggo le stesse criticare il "Papà" del Football Americano. Il Rugby ha il medesimo spirito del Football, anche se forse sarebbe più corretto dire il contrario. Quello che viene raccontato in quel monologo e' lo stesso identico ardore che muove migliaia di praticanti a giocare ed appassionarsi al Rugby. Le uniche differenze, fermo restando che sono Sport molto diversi, stanno nel fatto che il Rugby e' più genuino, reso meno "industria", e che nel Rugby non si usano le protezioni che hanno i giocatori di Football Americano. 
Webb Ellis ci ha regalato un sogno. Probabilmente non ha la stessa eco di altri Sport come il Calcio, e per quanto riguarda i nostri confini nazionali, lo stesso seguito, ma per quegli identici centimetri 15 giocatori lottano fino a terminare i loro fisici. Oggi, come nei test matches di Novembre, come nei prossimi mondiali e nei Sei Nazioni a venire, il popolo del Rugby indosserà cappelli, maschere e parrucche, vestirà in maniera bizzarra e berrà parecchia birra e molto vino, per gioire della volontà che quei 15 nostri connazionali metteranno sul campo da gioco per cercare di conquistare quei centimetri. Se poi non ce la faranno, pazienza, bravi i fratelli irlandesi, ma avrà comunque trionfato il Rugby.
Potrei raccontare moltissimi aneddoti che mi hanno legato visceralmente a questo Sport, e per la verità mi riservo di farlo in qualche prossimo breve. Probabilmente il Sei Nazioni ha agito in maniera indelebile sul mio modo di vedere le cose da quindici anni a questa parte, ma preferisco concludere questo scritto con un' affermazione sentita in uno dei miei viaggi appresso al Rugby: "Una palla rotonda te la può restituire anche un muro, una palla ovale te la può passare soltanto un compagno". Buon Sei Nazioni a tutti. Viva l' Italia.

P.S. Ringrazio Alessandro, Leonardo, Riccardo e Runa per lo spunto.

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05/02/15

Quel viale.




           Voglio accarezzare per un attimo l' idea di essere libero. Ma cos' e' la libertà se non puoi neanche governare quelle poche ore di svago? Non ce ne accorgiamo, ma in tutto ciò che facciamo esiste qualcosa deciso da altri che ci propone concrete possibilità di scegliere con libertà fittizia. Un buon libro, certo, ma leggere un buon libro serve per sollevarci dalla quotidianità per poi piombare nell' assoluta inconsistenza di esperienze raccolte sulle decisioni di altri. Come una lista della spesa al supermercato. Parti per prendere quattro cose ma finisci inevitabilmente col prenderne una in più, quando poi ti volti intorno e ti accorgi che c' e' anche chi ha riempito tutto il carrello. Angoli di libertà strappata sono dappertutto. Ma bisogna riconoscerli rifiutando talvolta di evolvere da soli per tentare di farlo insieme. Fugge chi legge, od infila la testa sotto terra come gli struzzi. Ma fugge anche chi fa l' aperitivo tanto per. Oggi si chiama bere, un tempo esisteva una parola ben più raffinata per dare il senso a quel che vuole dire bere. Il simposio, la conversazione. Bere soltanto non permette di evolvere. La crescita si trova nel confronto, talvolta nello scontro, ma affrontare gli altri nella maniera adeguata presuppone che si sia prima vinto con se stessi, e se si beve per essere soli insieme questo serve davvero a poco. Il simposio dicevo, l' idea di condividere. Una produzione emotiva aiutata dall' allentamento dei freni inibitori che l' alcool provoca. Abbandonare le ovvietà e gettare via le maschere per ritrovarsi nudi, come si e', in una ialina trasparenza, una nitida schiettezza da ragionare.
E saper ascoltare. Ho sempre apprezzato, pur essendo un chiacchierone, chi tace. Saper ascoltare e' un gran dono, perché le parole non sono che l' involucro, il vestito che mettiamo addosso ai nostri pensieri. Studi di marketing e tecniche di vendita esistono per capire le reazioni dell' individuo. C' e' chi ne ha fatta una scienza per studiare come gestire le tue scelte. Non ce ne rendiamo conto ma andiamo quasi sempre dove vogliono che andiamo. Tutto e' "prodotto", anche il servizio, e come tale va venduto bene.
Liberarsi significa abbandonare, disincagliarsi da questa spirale che con un ulteriore giro di vite fra breve potrà renderci sudditi. Quello che fa male, quello che e' giusto, quello che non lo e'. Abbiamo un codice che ci e' stato consegnato quando siamo stati generati. Tutti, indistintamente, possiamo mettere mano a questo codice, quel libro da leggere che e' il nostro inconscio. I sogni, intesi come tali, e le nostre aspirazioni. Un obiettivo da raggiungere e la volontà. Crediamo di non capire ma capiamo, pensiamo di non emergere ma si può se lo si vuole. L' abnegazione, la costanza nel volerlo. Fissi su una cosa fino a diventare quella cosa stessa. Dipendere per poi mollare, dirigere per poi adagiarsi e poi dipendere di nuovo. La poesia della scoperta, quelle percezioni di onde lunghe come il tempo di un deja vu. Spezzando le catene delle dipendenze per elevarci finalmente insieme. Solo a quel punto il "prodotto" cessa di essere tale,. Il punto di vista cambia totalmente e la visione delle cose appare come uno schema pianeggiante dove ci sono voragini di sogni andati. Restano i fallimenti e le cose cui non abbiamo creduto. I rimpianti e quel che volevamo potesse essere. Ma la strada non e' faticosa perché siamo sul picco più alto dei nostri punti di vista. Filtrate le parole e liberi i pensieri planiamo sugli stati emotivi riconoscendo luci e direzione. Sono scavalcate le conche di una rassegnazione obbligata. La terra e' piatta proprio come immaginiamo un viale. Siamo a passeggio cercando un altro noi che ritroviamo al fianco. Nei viali dell' essenza ci sono le persone che camminano con me. Portiamo a passeggio la vita, raccontandoci che immensi mutamenti non sono più onerosi di una cosa presa in terra. Le novità spaventano come quel caramello denso di passato che fatica a venir via. Obblighi sul viale non esistono, né verità, né contese. Insieme si cammina facendo parlare le menti che in un incanto di incontro comunicano senza aver bisogno di parole. I cuori, benché provati da una vita sregolata, navigano a livelli che non temono oro né lusso. Le corde della comprensione sono tese e la vela e' issata sul più alto degli scivoli, quando cadere a terra non serve perché lo spazio e' assente. Oltre il tempo, saltarci sopra a piacimento, avanzare e vedere avanti per poi tornare indietro. La libertà di sentirsi in un istante gli uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello. Quando si può toccare la libertà vera, arretrare agli eventi passati, poi prenderli, riviverli e migliorarli, immaginando di essere ancora una volta lì, di spalle, su quella foto fatta da un amico e pensare che se lo potessi chiamare anche solo un istante, griderei. Quel volto girato verso altrove che non risponde lo terrei a me, cullando l' illusione di dargli un futuro diverso. Urlando io fermerei quel tempo parlandogli di tutti noi che siamo ancora su quel viale, e indicandogli la strada fra i sorrisi e fra le lacrime direi che e' ancora Sabato.

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