27/04/16

Jura!




     Adesso ho bisogno di un goccio di pioggia che mi bagni la testa. Non ho il mio cappello, e quella nebbia fina che mi offusca la vista dipinge tutto in tremule sagome, ma mi racconta una realtà più tangibile di ciò che e' la notte che giunge. Abbagli di fari lucidi riflettono e si inseguono sull' asfalto mentre un motore rallenta per aggirare la curva. C' e' l' ultimo tintinnio distante di una coppia di amici che sta brindando dentro al locale, e per quell' istante mi volto e quei due rettangoli di vetro emanano una luce che mi ricorda ancora al palato il sapore del whisky bevuto.
La portiera si apre ed a stento riesco a sedere, controllo la chiave ed il quadro si accende, anche se tutto intorno quella stessa nebbia mi fa sembrare Gennaio una sera di Aprile. La chiave si gira e il motore si accende, e come nelle notti d' Inverno quel leggero tepore mi reca il giusto sollievo fra quell' umido e il freddo.
Angoli di un universo laterale adesso appaiono mentre il motore scalda ancora e l' ingranaggio sposta indietro la vettura. Come in un sogno una nuvola, inizio a fluttuare trafiggendo gli istanti con dardi di balestra scagliati. Piovono veloci come la nebbia e nell' immediato si perdono alla mia vista per poi trovarne trafitte le prede. Onde di sale che si ammassano ai lati di una strada nera come la pece. Piccole macchie arancioni che, cadenzate, accompagnano alla soglia di quel precipizio: la noia.
Vendica silenziosa la cerulea notte e tace. Bolle di liquidi deflagrano incoscienti per poi cospargerne le pareti. Umidità che mi accarezza fino a sentirmene responsabile come se fosse la stessa notte a celarne l' oblio. Cartelli stradali divelti da un Nautilus nuovo, che dal tempo arriva dritto ai nostri giorni e in una notte avvicina il trascorso al momento attraverso. Scorrerie fra la nebbia, di pirateschi istinti e di bramosa sanguinolenta conquista, senza mancar la battaglia e della stessa altro dardo che si conficca, stavolta nitido, fra l' albero e la bandiera di quell' avversario, scoccato dalla stessa balestra.
Incandescente mare di asfalto, nascono e muoiono vite fra le lingue di fiamme, mentre le direzioni consentono di ordire, di infangare, fino a tradire, mentre la nebbia disciplinatamente si dirada a rimaner lo specchio e l' ombra fra le sagome che, ora scomparse, fluttuano via come facevo io con quella bocca che ancora sapeva di Jura.
Cade altro liquido e si intensifica il lavoro sul cristallo, le spazzole veloci affrancano per poi spostare via crateri e fiumiciattoli dentro foschie incomprensibili ed inavvicinabili. Sciame, e' un fuoco che arde, onomatopeico suono che accarezza la capanna in movimento: schh, poi ancora schhh, e ancora più...schhhh... fino a penetrarne le carni, fino a polverizzarne i timpani ed impossessarsi della mente.
In una regola che disintossica da tutto il resto, come un cardiaco battito impellente agisce e domina. Sommo culmine di un suono che da diapason diffonde lento quasi fosse eterno. Intensità e struttura, guardo il cancello aprirsi e sono nudo al cospetto di quanto intorno mi accade ed io ora ascolto.
Piove, mi piove dentro, come una malinconica vasca da bagno accolgo quelle lacrime che dalle stelle scivolano via  come se fossero le Pleiadi a colpire Cassiopea. Un' altra volta ad Est quel sogno. E quella madida scintilla che produce appena fumo e non il fuoco. A poco o nulla serve se non ad infrangere il complesso piano del silenzio che la avvolge.
Danza adesso il liquido che mi bagna. Pioggia fragorosa, lampi e tuoni si abbandonano a una corsa che interrompe sotto il riparo di una tettoia ondulata. E' solo allora che esplode la bomba di quell' acqua che come una tenda il vento sposta quasi stesse ballando anch' essa con me.
Sciolto il nodo al cielo, con quelle nubi viola cariche di vuoto elettrico, adesso tutto si abbandona e si libera come se al solco rispondesse immane la catastrofe di qualche altro dardo scagliato, come se altra pietra calpestata scrocchiasse per divenire gesso friabile e mescolarsi all' acqua. Variazioni su temi ed incanti nitidi abbandonano alla notte ed alle poche stelle ghiaccio triturato giunto in terra e pronto a spezzare.
Ora il portone e' chiuso e del rumore che si allontana adesso conto gli ammacchi ed il fradiciume. Sono al riparo, fra le mura di casa, e di quel goccio di pioggia che mi bagna la testa adesso rilascio a terra profonde chiazze di pioggia caduta che scivola via.
Era pioggia. E' pioggia, e la sento ancora. E' caduta dentro per poi fuggire via portando con se tutta la malinconia di questa buia notte.
Magnolie lucide mi aspettano, e fogliame a terra. Vegetazione ed erba, ancora un' altra stella. Corde di una balestra appoggiata e dardi posti di fianco ad aspettare la giornata. Sia! Anche se una nuova notte passa ed io la guardo riflettendoci e pensando: Jura!



Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

20/04/16

La strada.




      Ambire, desiderare, fortemente volere. Prodigarsi per raggiungere lo scopo, sacrificarsi, impegnarsi ed alla fine fallire. Rialzarsi, organizzare di nuovo il tutto, cercare nuova voglia e ripartire. Sempre con un obiettivo in mente: giungere.
Cosa siamo se non grande elettricità che si distribuisce tutta intorno. Come piccoli sciami di fulmini le nostre azioni si concentrano sul desiderio insito in noi tramutando l' obiettivo in qualche cosa che ci rassomiglia. Passiamo il tempo alla costante ricerca delle delusioni, godendo dei nostri fallimenti perché ci donano un che di ciò che siamo e che ci e' familiare. Come mattoni rotti li disseminiamo per la strada, deponendone le polveri sui lati e percorrendola per frantumare il resto. Lo spazio per avanzare esiste e lo prendiamo, fissando ancora con un occhio il terreno e con l' altro l' obiettivo. E' in quel preciso istante che, come una fotografia racconta, noi ci allontaniamo, e possiamo osservare quanto accade. E' proprio di quell' istante il moto, la volontà, lo scopo. Come se un impercettibile minimo movimento giungesse a noi come trascorso e seguitasse lungo il foglio come una proiezione di quello che sarà.
Badilate al fato, scosso come siamo noi di un tremore causato dal vento. Aliti sommersi che riaffiorano per quella strada di frantumi sollevando polveri come concetti stantii che si possono rielaborare. Macerie di errori e di considerazioni sbagliate, e mille volte e più ricorrette, fino a sbriciolare il tutto in pezzi molto piccoli.
La siamo noi, dove il ricordo e l' esperienza fatta sono in grado di mutare il corso delle cose e del destino. La capacità nuova di raccogliere e di modellare alle nostre esigenze quanto già successo, e che ha lo stesso volto di un tramonto dove il sole cala per riemergere rapidamente all' orizzonte.
Azzerar le stelle, ovvero percepirle, non vederle. Come sacchi di sabbia decollati da una spiaggia, portano su mongolfiere rovesciate una zavorra, che invece di precipitare a terra, cosparge il soffitto di silicio riflettente, relegando nella mente una puntura di ricordo che riaffiora in tante sagome di spenti flash cui noi ci abbandoniamo in fase REM.
Costruire, o sarebbe meglio dire liberare. Macerie sgomberate sono metafora di fallimenti affrontati e vinti, superati. La catena di un NO divelta, i cui anelli sono esplosi sotto la tenace spinta delle nostre intensità emotive. Cuore, volitiva fermezza, raziocinio, metodo e magari un pò di fortuna. Tutti gli ingredienti di una ricetta che e' volta a sollevarci. Come pagine sfogliate di un buon libro noir che consegnano elementi nuovi a noi, lettore, per poter capire il senso e chi ha commesso il crimine. La mancanza di attitudine, l' assenza di costanza, le deviazioni e le volute giustificazioni. Facce, altro che facce. Maschere degli altri e di noi stessi, mutate solo per farci il piacere di non metterci in difficoltà di fronte ad un uovo fallimento. Le pagine strappate di quel libro, ma che, già lette, ci fanno assomigliare tanto a quel finale ovvio che racconta la sconfitta. Tanto vale non sapere, e convincersi stupidamente che non si può fare. Viene comodo pensare osservandone soltanto il titolo e la copertina che tanto a fare tutto e' stato il maggiordomo.
E intanto se mi volto indietro i miei passi non lasciano più impronte. Via la polvere, spezzate al minimo le pietre e allontanate via sul ciglio e sulle estremità. Continuo ad osservare con un occhio l' obiettivo mentre l' altro guarda sempre dove metto i piedi. Pondera ed avanza, avanza e pondera.
Pondero quando avanzo, e quando avanzo pondero. Via la polvere, via i ciottoli, ma ho le pagine del libro lette bene impresse, e mi rifiuto di pensare che a commettere il delitto possa essere soltanto e sempre il maggiordomo. Ove c' e' ricordo, v' e' destino. Calpestandone la strada questa direttrice appare nitida come se quella sabbia riflettente illuminasse d' un tratto più di tutto l' intero sole che si staglia nuovo all' orizzonte. Elettricità, nient' altro che le intensità emotive.



Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

17/04/16

Nascita e abbandono.




       Come fili di lana tenuti a milioni in tensione lungo la vita. Le due mani, milioni di mani sostengono, nascita ed abbandono, consentendoci di tanto in tanto, per periodi più o meno lunghi, di incontrarci come fili che si sovrappongono, e di contravvenire alla regola prima dell' universo: la solitudine intellettuale. Mescolandoci in incontri empirici o spirituali, si affonda dentro rapporti empatici dove trova nutrimento e comprensione, disincanti, illusione e persino la solita elettricità. Come scosse flettono e una corda pizzicata produce un suono, quel suono. E' la casa del benessere e dello stato emotivo quieto, quello che usa definire tranquillità, ma che e' concretamente soltanto l' immagine più nitida della gioia.
Un alveo di equinozi e precessioni scuote quel filo tentennante fino a farlo scontrare con altri, arrivando a vivere per degli istanti medesime esperienze ma da punti di vista sovrapposti e differenti. Immagini e corde, vigile razionale ipocrisia, sciolgono addensando i pochi elementi che suggellano ed in qualche modo blindano quelle frazioni di felicità incontrata e condivisa. E allora le noiose sponde di un confine che si vanno immergendo nei limiti dell' altro sfociano ed affogano nelle altrui realtà, proiettandole più lente sulla propria, dove il contesto della comprensione e del condividere si annulla aprendosi ad un riflesso basso di tono nel quale altra essenza convoglia iniziando ad appartenere come fosse propria.
Tessuto e riscontro, flette, stucca e si allenta sfibrandosi come l' infinita colla di esperienze che si susseguono nell' attraversarsi. Mani in trasparenza sorreggono e nel ricordo ascoltano percorsi dal principio all' epilogo. Polveri e ghiaccio, vento e fiati gorgogliano dentro storie di singoli che interessano a tutti e di tutti che non importano a nessuno. Pietire momenti e comprimere intensità di storie dentro parti compresse di tempo, così come abbandonarsi ad una raffica di vento che si lascia attraversare o che ci guida. Crepitii dell' anima e solerzie nuove verso intrinseci dilemmi che rischiarano il passaggio sul trascorso. Vergini attimi che come flash di luce attraversano nuove epilessie degli occhi mentre il respiro si stringe favorendo i canonici vortici di un dubbio che viene dissipato come nebbia che si dirada.
Quei passaggi silenziosi entro le nostre elettricità ci consentono di affiorare come ninfee sul pelo di un' acqua placida, un universo nuovo e madido di vagiti e dipartite che si inseguono come le pagine voltate di un libro che sono mosse dal vento. Attraverso le nuove consapevolezze affiora anche una lama d' inchiostro che come spada lede ed attacca e para, al cospetto del sogno rimasto osceno dentro uno spazio non compresso ove si abbandona. Persia, e sue sete. Come quegli aliti, come una leggera brezza che nemmeno increspa, ma che però nutrendo alimenta le speranze di un complesso micromondo che e' l' ego. Verità celate fra gli incontri di tessuto, come nodi di fiori che perdono petali e sostanza fra le righe di una stampa quasi evanescente. Sommità e disbrigo pratiche in un afoso umido incauto mescolarsi di necessità e chiavi di lettura. Vivide, liquide esigenze, che come tutorial si confronta e ascolta silenzioso la sua direzione ed il pizzico di quella corda insieme alla sua intensità. Quel suono, primordi, e riconoscere all' interno il domicilio di un pensiero coltivato e conservato nello scrigno del non detto mai che va incontrandosi con la voce sempre urlata.

11/04/16

Il sipario di un ghiacciaio.




         Fragile intuito nelle selve di scosse che disintegrano dove le intensità e la percezione arrivano gelide fino ad averne freddo sulle cuti. Come un frammento di ghiaccio che si stacca e che precipita nell' acqua gelida, così lo scivolo delle mie sensazioni va diffondendosi, e quelle onde che propaga raccontano di me che mi allontano per poi scrutare ancora il suo fondale fino a sorvegliarne qualche altro attimo di densa esistenza. Crepitii e permafrost che rumoreggia, comprimendosi e separandosi per ricreare ancora altro spazio per i cetacei che stanno arrivando. Rinnova vita e ne esalta il valore ossigenato per questi mammiferi che concentrici si stanno avvicinando. Sotto il richiamo della nuova stagione, e come se si divulgasse a tutto il contorno, quell' onda viaggia impercettibile quasi come pulsasse. Nei pressi degli archi remoti del cerchio prodotto, sordi tamburi che quasi come ricordi producono una messa in scena lontana e sbattono fra gli anfratti celati delle recondite singole esistenze come se fossero le pinne dei lamantini e dei beluga. Una sorta di coscienza collettiva che ci induce a dei comportamenti fatti propri in maniera automatica, passivamente subiti quasi fossimo elementi catatonici in balia di sgomento e di friabile intenzione.
Sciami di krill che accompagna e fa risplendere lo spessore marino quasi come fosse un riflesso della livrea dell' aurora nelle lunghe ore notturne. Un effetto di neon verdognolo e brillante che ha la forma di un sipario per tutta questa rigogliosa scena elettrica che ci si affaccia agli occhi. Il suono di quei cetacei, il friggere dell' acqua e quegli schiocchi di ghiaccio che si ricompone col favore del freddo notturno. Suoni come fossero un' amaca che dondola i pensieri e che fugge realtà per ritrovarsi nel tessuto di aurora. Luccichio che fra le verdi onde, nella luce dei milioni di puntini che compongono il soffitto, si riflettono spargendosi di nuovo nel riflesso al calmo mare fra la flotta di iceberg che rischiarano il confine dell' aria nell' acqua e viceversa.
Sommesse, emotive, commosse. Le onde percorrono la schiena ritornando negli aspetti e appartenendo loro. Suona il corpo come il suono del cetaceo che trasporta, suona il cuore e suona livida la pelle. Attende uno sciame che dall' aurora schiacci ridisegnando nuova superficie e nuove onde. Corsa di frolla e grezzo ghiaccio, e ancora ingente quantità di plancton che si offre. Vedo le bestie acquatiche favorirne e masticare stelle. Sonar e direzione presa, scelta e l' assestamento che ne deriva. Fugge via piano da quella luce fioca che da il sipario mentre un nuovo blocco di quel ghiacciaio esplode in mare rilasciando sporca schiuma mentre onde rabbiose stanno andando via a placarsi fra le infinite isole di zucchero filato e quelle sagome geometriche spezzate verso tutto l' orizzonte.
Immerso, in una gelida apnea fatta di spessa muta, brividi di freddo e pelle d' oca, l' opaca linea della maschera impedisce di vedere e un' altra volta ancora io la getto via, prendendomi sul viso quelle strane forme di ghiaccio essenziali, quelle che sulla soglia di un congelamento osservo come fossero cristalli sognati smarriti fra le frange di un destino sonnolento che di tanto in tanto si risveglia e fa rumore.
Amido di riso il ricordo, liquida intensità ed una voglia spassionata di appartenerle. Vìola le sbarre di un conosciuto affondando le sue unghie nel solco dell' intelletto e lacerando rilascia istinto puro. Freme osservando ariose verticali fra le note di quel diapason che e' l' aurora, e fra le note di un pentagramma di cetacei lentamente si addormenta per salire ad una consapevolezza successiva via da qua, fin troppo rumorosa consuetudine.



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