15/12/15

La precessione degli equinozi. In me.




        Milioni di scintille brillano sotto le palpebre, dipingono figure geometriche che si allontanano e mi raccontano di un nuovo cosmo dentro il quale perdersi come se fosse pece mescolata a marmellata. Aliena rapida contesa sfregia e lacere contuse vesti si abbandonano a quella schiera di quadrati e cerchi che ne esplorano distanze. Ciondolandosi fra quanto e' andato e quanto invece resta a fare mucchio, un monte di ardesia grattugiata sembra mina pronta a scrivere destino, e al tempo stesso pala di sibilla illumina offrendone un percorso valido per una uscita quieta e senza ansimi. Tremori di setacci agiscono per sezionare e far disperdere, mentre al contempo nuove sabbie di colori affiorano, come nelle migliaia di mandala dove monaci si spendono per dare immagine a una corsa verso il raziocinio, e a quella stessa disciplina dalla quale l' uomo spesso corre via adagiandosi sulle fragilità dimenticate come dogmi e contro tutta la sua nuova paura di cercare.
Scoperte come tombe egizie, dove gli indizi oramai vuoti si solfeggiano come una musica che giunge piano dalle cavità di mastabe remote. Mai viste e senza scossa alcuna, a ragionarci per avere nuove traccie di una mappa andata via, col vento sotto nuova sabbia che per nuovo tempo cela, resta nel mistero di piramide a gradoni, come Zoser, il sommo faraone, volle fosse eretta per portarne ricordo alle generazioni che sarebbero venute dopo.
Impianti di coscienza e conoscenze late, pareti illustrate e sagome di semidei con teste di animali e scettri, vivide speranze di tesori ed intuizioni, lasciano lo spazio angusto di un ambiente sotterraneo per elevarsi al cielo come Horus, il Dio falco, ma consegnandone quella scoperta arcaica che di densa polpa e ricamata intima perla ci sofferma sulla fiaccola che adesso ci permette di osservare.
Un Dio che vola via ed officia la morte, e una rinascita volta verso l' eternità. Sali di stelle come cristalli allineati verso il mito, simboli di un vetusto privato piacere di conservare, abbandonando il lacero tessuto della mummia e tutto l' oro coi gioielli. Il vero tempo, la vera ricchezza alberga nel valore donato alla rinascita, ed e' lì che si racchiude il dono. Ed a quel nuovo dato di sapere che ci informa di quanto trascorso ha lasciato più che traccia di cometa.
Sothis, Iside, la Madre. Colei che e' sposa e che e' sorella. Colei che e' donna ed anche stella. Bramosia di un ricordo di umidore che si incontra al Sole, sfere di brillanti esplose nubi come inganni e sciami nuovi di pulviscolo che si diffonde.
E nello stesso cosmo dove mi ero perso anch' io ritrovo finalmente ragione ed inerzia, pensando di sorreggermi sul manto erboso delle stelle e sulla Via che adesso ci si offre fra dilatazioni geometriche affini e magmatiche ellissi sulla volta celeste.
Il faraone resta fermo ad impartire. Non c' e' bisogno che la voce si diffonda, ne che ordine sia consegnato: il grande Imothep già saggia quanto del creato non ha ancora appreso, e nuovamente studia. Cardini e piombi, distanze e matematiche ricorrenze. I calcoli del più esperto di sempre nulla possono se non nel riscoprirsi schiavo di fonetiche resistenze verso il cielo e di ritorni dentro vani sotterranei che svuotare vuole dire anche disperdere.
Ed e' allora che ricordo i moti cui siamo soggetti. Ed e' allora che la precessione degli equinozi e la nutazione riaffiorano come ricordi ancestrali sotto le palpebre di un' agitata fase R.E.M.
In quell' esatto istante incontro Imothep ed osservo Zoser, il faraone, mentre il soffitto si agita furioso, come fosse un terremoto cui tutto, tranne il mio mondo, ora appartiene.
Trascorre in pochi attimi la storia del destino della Terra, potendo rimirare in queste scosse il corso delle cose che e' descritto nella geometria dipinta nelle stelle. La volta del cielo appare lì, come l' ellittica, dentro una nuova stanza di profondità che non riesco a misurare. Horus il falco torna a cospargere il terreno delle spoglie di Osiride, così come la luce dentro gli occhi apprezza e nello stesso istante spezza questo mio faldone di istanti vissuti al fianco delle più grandi entità del tempo andato.
Tefnut, Nut, Amon Ra. Li ho visti in pochi istanti succedere alle stelle e diventare al tempo stesso immensi mondi dentro gli individui che al confine dipingevano la completa totalità. Dei e semidei, faraoni o semplici architetti costruttori di infinite informazioni e conoscenze. Avidi di loro stessi, e sensibili percezioni di un tempo che si insegue per poi tornare ad essere il solito trascorso nel presente che noi attraversiamo. Vesti di un passato anomalo dove quel buco nero che attraversa il tempo ci possiede e ci consegna ad una nuova possibilità di vita inconosciuta. 13000 anni per una stella polare, gli altri 13000 ad aspettarla ancora, e in tutto questo un cielo che si ripete, notte e giorno, stagione dopo stagione, ad intervalli regolari come se tutto fosse stato sempre uguale e come se nulla fosse giunto poi da quando tutto avvenne..



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09/12/15

Cordoglio.




       Abilità intrinseca racchiusa dentro un ego semisordo e' l' amore. Non ne vuol sentire, e adopera sapientemente le sinapsi per produrre nebula che non ascolti o che non veda, se non all' infuori di quanto prodotto sulle lame di un' aspettativa destinata ad essere comprata a poco prezzo dalla delusione. Pareti di ovvietà e ricci capricci si aggrovigliano fra il fato e la ragione, curve di atone espressioni musicali si concentrano su quelle curve mute, mentre istinti e possibilità si mescolano dentro quell' idea che come sogno giunge a destabilizzare, quando non arrivano a distruggere.
Ripide e salate delusioni bruciano le carni nell' assolvere al primario compito dell' illusione. Cinta attraverso i fendenti di un cilicio colmo di libertà che si rapprende come fosse carne esposta al sole per intere settimane, così le sue pulsioni ed i suoi battiti rifriggono allentandosi al veloce correre del plasma ed avvertendo tutti i tratti di un percorso già denunzia di un malcapitato schiavo delle sue emozioni false.
Come sindone madida riespone, e come cencio immacolato e lacero si oppone, mentre nelle falangi racchiude dolorosa quella sica del suo egocentrico equinozio di pressioni, ed abbandona le mentite spoglie entro maschere di sale e vetro che lo fanno assomigliare ai centomila dentro il doloroso passo sopra il solco della presa di coscienza. Argini, e blanda corrente, assurgere al livello superiore dove tutto e' nulla, ed in quel nulla furibondo grida. Metalliche bollenti verità si lasciano attraversare mentre le sue idee riaffiorano nutrendosi delle sue instancabili meningi il prodotto. Carsiche come porose immagini, riflettono dentro quegli antri bui di cupa mente il suo intero ricordo, fatto di sagome e disegni, di anfratti polverosi e schemi abbandonati e rotti.
Un sigillo tuona come effige e scaglia verso il basso ruvide reazioni, che in pochi istanti disgelano quell' emozione esplosa dentro un viottolo di seta e raso, che come lingua corre lungo il perimetro di quella fiamma che ribolle. Simboli e sensazionali percezioni si diffondono entro le false idee per ridipingere il contesto dentro cavernose intensità latenti. Inerte resta il piano che alla vista continua ad offrirsi, e spento, e immobile, groviglio di schiumose sagome recondite fuoriescono per dilatarsi altrove. Alveari di secolari oscene voluttà come un aliante si sollevano per poi trovarsi nuovamente a perdersi dentro confini immacolati di tessuto candido, che agli occhi di chi osserva appare ancora fregio di un' idea con varie corde a misurare le sue varie pile di desiderosi piani.
Livelli, altro che livelli, come pagine sfogliate e come sangue che pulsa. Sgravano le nebulose essenze per accarezzarne testa e coda in un offrirsi soffice dentro gli opuscoli di un divagante senno. Raccontano di fiere e crimini commessi, di duelli e di scontri fra creature alate, ma anche nel terreno affonda l' unghie, fino a scavare soverchiando il piano di un costrutto intonso che va lacerandosi. Cingoli e mutanti vanità frapposte fra lo scandire di un esatto istante in un granello di clessidra e rovinose capovolte fra le scene di un selvaggio vorticoso anfratto che si placa dentro un' iride di vetro. Somme razionalità si riabbandonano all' oblio di quel disordinato esistere che insegue senza liberare un attimo di lui come si pensa e naufragare dentro l' anima di idee ispessite che come tomo di un buon libro si raccoglie fra le file di carnosi impulsi.


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08/12/15

Elementi: il Fuoco.




        Non resta che prendere un altro pezzo di legno e adagiarlo alla brace che sta già bruciando. Lingue di fiamme che esplodono in vari colori accartocciandosi per poi liberarsi come fossero di tessuto, mescolano colori fra il bluastro del cherosene ed il verde sulle parti esterne, per poi andarsi ad espandere ed assottigliarsi in un arancio tendente al nero lucido con sigilli in segmenti di lava che spezza le anime di quel legno che arde.
Ipnotico come un argomento che interessa, mi lega al suo muoversi placido gridando all' oblio, di tanto in tanto percorrendo la strada delle microesplosioni di corteccia che e' raggiunta dalla fiamma, mentre quelle scintille che si propagano tutte intorno vanno, fermandosi sull' opaco confine di quel vetro che le separa.
Sale e silicio esposti al calore dell' anima, aggrumati, trattati per non dilatarsi fino a che il nulla si diffonda ed il calore si raccolga scivolando fra le gambe di un astante. Egli rimane immobile ad assistere a quel desertico sublime esperimento di movenze toniche, dentro una vasca incandescente di braci luminose e rotte.
Energie silenti come sibille danzano avvolgendo quella sagoma di legno fumoso che si espande. Meraviglia di gettoni fusi fra le pietre divenute cristallo già sollevano fra le numerose lingue e l' odore acre, avvicendandosi alla danza e al comandare quel disordinato incanto dentro il vortice di fuoco che avviluppa.
Crepitii e rotture dentro, come una schiena con le vertebre esplose, fuoriesce lava scivolando via fra le emozioni e il razionale impeto. Da un calore intenso dentro il limite che e' la distanza da quel fuoco acceso. Sapida masticazione e labbra secche bramano la voglia antica di appartenere a quella fiamma, diffondendo fino a che spazio ne colga il fuoco mistico, che come liquida vernice abbraccia superfici esposte fra colate ed essiccati argini.
Gravida di viva luce e di sostegno assale, volgendosi all' intensità che dentro il tempo fu dimenticata. Muta osserva dentro il tattile esperimento di assaggiare calda fiamma, come per rendere in un momento solo, eternità di docili ingessate fiamme, al cospetto di quell' individuo e i suoi pensieri, mentre monta in una nuova idea di libera assonnata quiete, ricacciandosi dentro la scena di una brace oramai cotta, che da cenere diviene unica ingegnosa strada.
Attraversa, e come perle si dissemina fra strati di cute e sconosciuti schemi. Indaco e colori tenui vanno mescolandosi ad un nuovo tipo di colore acceso come se l' inchiostro a propria volta scivolasse dentro fogli concavi, diradandosi in un vertice accartocciato per destare tela nuova verso l' asciutto di una scena ricordata solo allora e mai più vissuta nei momenti che ci son caduti dentro da quell' unico momento in poi.
Geometrie assalite e traiettorie di calore che si liberano intorno, miste al solo incanto di un colore intenso dentro il buio del legname che si asciuga, fra quell' umido di pioggia giace fino al fondo di una nuova scia di luminose fiamme che son pronte ad avvolgere di nuovo in un riflesso che come specchio ci racconta di un presente appena visto e poi già andato via.


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03/12/15

Il viaggio di un' idea dentro un istante.




        Le idee prive di scheletro non si sorreggono da sole. Esse, senza supporto, si appiattiscono su loro stesse per poi dilatarsi sul terreno e precipitare in basso, in attesa che qualcuno le raccolga per rielaborarle e tirarle su di nuovo. E' così che, in assenza di un essenziale sostegno, esse si disperdono come parole dette o come tanti dei momenti andati via. Sfuggenti, mentre una foto sigillava. Ma in quell' istante esatto il flash che non funziona, invece di disperdere o dilapidare, impianta in altri alcuni dei pensieri, costruendoli sulle macerie dei pensieri propri. Una feroce mano di vernice oscura il senso di un' idea che ai più sembrava folle e che accarezza, asciugandosi nel tempo che attraversa come un' arida escrescenza di polveri essiccate e messe lì di lato. E in tante piccole esplosioni dei colori si rimescolano a ridonare intensità disperse a quella trama. Come fili da un gomitolo di cui si nota il principio, così le essenze di un tessuto sottile giungono tese e come corde pizzicate producono il canto dell' aria, e quasi come fosse il vento in una gola di sforzati echi.
Bagliori illuminano vani chiusi e cupe steli restano in quegli attimi di luce sopite garantendo nuova eternità dentro un istante di chi le sta osservando.
Nuove idee che si sollevano adagiandosi al costrutto, che come nuove ossa si compongono a protrarre quella voglia di pensare differente dentro un clima di sorniona levigata noia. Racconta di una dea della racchiusa stella, che solleva e che sostiene dentro un acido solerte sguardo di un pensiero nuovo che raggiunge senza mai fuggire via. Come un impianto di traverse e pietre angolari, sta prendendo forma e finalizza quella sagoma che in un disegno agisce e mostra quel suo intero repertorio di nozioni e danze immaginate, vigliaccamente sfiduciando il senso, dentro un vortice di sopito desiderio di pensare andato via. Allontana le crude scelte fatte per assecondare le altrui sostanze, rapendosi dalla sua ritta schiena e chinandosi a quella accolita di esseri che la mente può produrre per avvicinarsi a chi non rassomiglia. Come cristalli di salgemma affondano per poi riflettere e replicare immagini in un infinito, così lo spazio di un' idea resta celato per poi diffondersi come in un' esplosione che deflagra. Ascoltano le musiche stonate e lo stridere del ghiaccio sulla lama, mentre curiosi ciottoli accarezzano quel suo metallo lustrandone quel filo che in quell' attimo si scorge.
Sciami, altro che sciami. Nebulose polveri che si avvicinano per poi riprendere quel che notava. Ruderi e rovine di un destato istante che risveglia nella luce di pressioni minime e flebili costanti battiti.
Sondano il terreno dove il pensiero dilatato e' poi raccolto, e in una gabbia di strutture rigide lo cinge impedendogli andare via. Nuove escrescenze e livide poesie, pennelli madidi ed inchiostro sulla carta che si tinge. Lo vedo mentre scivola e va via per poi finire impresso come fosse immaginato.
Riaffiora, come della clessidra antica il tempo conta, come l' innamorata musa canta, come la voglia stridula che monta, come la mano sfiora e resta attenta.



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21/11/15

Un sipario lacero.




           Intensità dai toni critici stridono come ricordi intorno ad un fuoco mentre dentro il lago dei pensieri posso osservare quel volto che torna ad affacciarsi. Noor e' lì che mi osserva con un' espressione che non lascia trasparire nulla, ma nei suoi occhi vitrei posso leggere gladioli di ceramica e perle nere lucide perfette. Ascolto quella immagine recondita che stagna ferma come fosse una ninfa delle acque. Tutto tace ed anche il vento intorno sembra fermarsi, mentre zampilli nuovi di fresca pioggia iniziano a colpirle il volto e ad agitarla.
Una trasposizione dell' immagine che io ho di lei, adesso la dipinge vivida su un grande albero, il cui fusto, come tela, ne definisce i perfetti contorni e in chiaroscuro mi fa pensare al volto di Salomè in un quadro di Tiziano. Crogiola una danza che colpisce dritta senza fare nulla, e candida l' immagine senza cornice mi attraversa come fossi di cristallo. Frane di sensazioni affogano dentro quel lago che adesso e' tornato placido, ma Noor rimane ad osservare ed io la immagino dentro le lingue di fiamma del solito fuoco dei primordi che mi ossessiona dal momento che fu acceso.
Coordina male i movimenti pensando ai dondoli di corda che li sorreggeva. Al soffitto delle stelle li allontana e scarta come un cavallo senza monta che va via, per poi fermarsi a brucare la stessa erba che fu di quelle sere germoglio dentro un errore che sapeva di commettere senza pagarne il prezzo. Onde e strisce luminescenti come fossero aurora avvolsero scaldando il cuore e immaginando tiepidi intrecciati istanti, ma il flusso di lava che sembrava il sangue dipinse come pastelli allora la mia tela che per esplodere dovette solo scardinare i ranghi di un ordine mai ricevuto e mai messo a tacere.
Cervidi rappresentanti e cupi versi, copioso legno e istanti di un sogno notturno, ma anche pragmatico desiderio ed inciampi in un bon ton oramai lontano, ritornano all' istante avvolti in esplosioni di zucchero filato e sesso, che come ragnatela intrecciano le voluttà portandole alla fonte dove un tempo bevve quell' equino.
Allori e cinture di rossi petali raccontano una storia che e' di altri, mentre Noor, adesso sorridendo, ridisegna, riavvolgendo il nastro, in un disordine complesso di quel treno che fischiava e che strideva nei pensieri di un capostazione andato via in muto silenzio. Pagine sfogliano come pellicola e quel fusto dell' albero muove quasi sviscerandosi dal terreno. Precipitando, le radici di quel sogno si dirigono verso l' alto capovolgendone la corteccia e frantumandone un desiderio che si ricrea però senza evolvere e privo delle sensazioni necessarie affinché sembri reale. Crimini di pressioni fossili fra me e l' immagine di quella sagoma. Contenuti esplosi di un sipario lacerato nel tessuto e nelle foglie. Miti acque dolci divengono in un attimo tormentati correnti ravvivando l' idea di una musa lontana e del non senso, mentre il contesto avvolge e il freddo aiuta a far sembrare quel fuoco lontano e pronuncia di sibilla sottovoce. Lo spazio di radura accoglie e non dissemina momenti laceri in una schiena madida. Mentre un candore si dissolve fra le scosse di un torrente avvelenato pioggia poggia fra le vele e si raccoglie dondolando dentro un tempo sigillato dalle sensazioni. Oltre lo sguardo fermo di un' immagine che ritorna sovente ascolto fra le righe un poema del non detto che però non e' sepolto. Noor, in attimi che zampillano come i vulcani di fango del Gobustan.



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19/11/15

L' esplosione del cielo.





             Piccole tessere di un mosaico che va a comporsi come una iride dinamica che osserva. Tasselli di un tutto che come un emisfero riesce a scrutare sigillato nei suoi occhi, reconditi fondali di un' anima che lentamente si allontana. Volge al sogno gli interessi primi di geometriche stratificate immagini, mentre la lancetta corre scandendo il tempo come fosse un battito di ali. Fioca luce quel che resta, come sagome liquide che si disperdono su un piano lucido.
Sonde all' interno misurano pressioni e intensità emotive, come se fossero rigogliosi prati dove correre per poi distendersi a guardare il cielo. Sublimi essenze, ed in quei fiori si racchiudono i profumi, che lo inebriano in quegli attimi dove non c' e' più spazio, se non per l' assoluta sospensione entro la quale sta brillando. Brezza accarezza fra gli steli mentre il fruscio produce suoni come note che diffondono. Raccolte le impressioni di quegli attimi solleva e l' anima gioiosa torna ad esplorare il manto di orizzonti in movimento, mentre l' iride rimane pulsante come fosse una supernova pronta ad esplodere e a ricacciare tutto indietro come esperienze assimilate e fatte proprie.
L' ego trionfa sul confine, candide bocche di leone si mescolano ai campi di lavanda. In un tratto il cielo esplode come divenisse tutto sole, per poi tornare indietro a quei lamenti soffici di nuvole danzanti. Attraverso il disegno di un creato cerco ancora, credendo di poter trovare altro me intorno. Saliva e brama di una nuova linfa, con raccapricciante e inusuale vigore provo, sentendo che la sagoma dilata fino a premere sul vento, e come se io fossi bollente, in questo alveare di correnti ascolto il propagarsi di quell' aura che io sento.
Mescola il confine all' orizzonte e come supernova anch' io dilato per poi esplodere coscienza in una capovolta di espressione. Le percezioni sono movimenti, e i movimenti disintegrano gli attimi. Come impulsi di primordi conoscono direzione, inizio e fine. Viaggiano sospesi e indipendenti come rette che attraversano le nostre fasi rimaste a librare, per darci il senso di un ricordo appena percepito e ritrovarci a vivere qualcosa che ci sembra già vissuto.
Passano, allineate e perpendicolari senza tagliare e senza creare traumi. Disciplinano il tempo attraverso la quarta dimensione della materia, creandosi nel movimento e ricreandosi nell' impulso come un' onda di magnetismo che sovrappone due parti dello stesso corpo in istanti diversi nello stesso punto. Simboli e strane coincidenze, ricordi di immani drammi e grandi esplosive felicità.
Deflagra come una bomba percorrendo gli equinozi che abbiamo dentro, la dove siamo tutti pianeti, e prima di giungere a compimento per poi rigenerarmi, per qualche attimo e' tutto antimateria. In quei pochi istanti ricevo gli impulsi del nulla così da poter assistere alla manifestazione dell' assoluto. In quegli esatti istanti vedo, ed una comprensione strana, laterale, da il taglio alla consistenza che e' del resto.
Come assente la osservo ammirandone bellezza e complessità, potendone delimitare sagoma. Torno in quella tessera che come un mandala tibetano va a comporre un disegno superiore, e mi accorgo che e' ancora tutto sovrapposto in altro tempo. Vestiamo gli attimi come indumenti per la sera, ed in quell' occasione noi scegliamo di proporci in un esatto modo. Sfioro l' idea di essere altro tempo ed io mi cambio, l' iride osserva il mutamento dentro tutte le emozioni ed all' interno mutano veloci come ho visto esplodere la luce in quel disegno.


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18/11/15

La libertà che brilla.




        Mi assento spesso, e accade anche da me stesso. Per poi tornare a getto, e un nuovo impeto travolge come un fiume in piena. Così le cose, che come vanno arrivano, ma sempre inaspettate, e con sorpresa io raccolgo oggetti levigati cui non so dare una forma.
Cosa significa se accade...e se succede, e' mai per caso? Come una liquida malinconia che mi attraversa, osservo splendere la goccia di rugiada in mezzo a quello strano effetto che mi fanno le notizie altrui. Soggetto a quella sola parte interessante che accompagna, con egoismo mi disinteresso del mondo che pur mi lacera, fra morti ed esplosioni poco chiare.
Ma in tutte le deflagrazioni c' e' la mia, la più insistente, che non e' un fulmine ne un lampo, ma che fa contenere vuoti di animo compressi come fossero di antimateria.
Risorgive e risacche di tessuti si ammassano per cautelarsi dagli effetti di sorpresa. E torna quella sensazione di quel libro antico impolverato dove ho letto la mia vita in altro tempo. Dove tutto e' già stato vissuto, e di cui resta al tempo mio solo un lamento.
Sordo rumore lontano di una via che ho già percorso e come pagina già scritta non c' e' andata per chi e' solo di ritorno. I tremori di una foglia mi ricordano che la passione e' tutto fuorché statica. Dimena quella foglia come succube di ambito mostruoso, per lunghi istanti il vento la accompagna mentre l' albero la cinge a se che l' ha voluta e che la vuole ancora.
Partire e andare via soltanto per morire sul terreno. Lo strano fato di una foglia, e come foglia anche io mi agito nell' impunita storia in questo luogo e questo tempo. Lacero nei tessuti di un vestito oramai liso, e dentro l' anima complessa di una storia che non e' successa a me, ma mi riguarda.
Fra le foglie secche adagiate sull' asfalto, qualcuna vola via, placida o con grave diversione, fra queste madide folate di umido, qualcosa si risveglia nelle strane pareti e porta le mie mani ad allenarsi nuovamente nel dipinto di una soglia antica che ritrovo quasi come fosse andata. Sciolti i colori e stesi, senza assoluta tecnica mi immagino percorrere la tela della vita come fosse quella mia.
Fra inciampi e sollevate fra scudi e spade, fra braccia tese e voglia di aiutare chi non ha ancora capito. Sciolti da diluente e salubri passeggiano su quel tessuto, incrociandosi con la maestria assente di chi ne può scrutare l' anima attraverso. Robusto legno sorregge una dozzinale tela fino a trascorrervi l' intero scorso che riaffiora. Ancora un fiume, ancora un' altra ora, si dota della necessaria curiosità di chi vuole scoprire, ma al fianco si distende un vecchio saggio che ricorda anche le cose andate via. Sciami di sismi lontani interessano le cose nostre come fossero accaduti accanto, mentre la mia giornata guarda e l' attraverso come foglia che si dondola sospesa per cadere e andare via.
Cosa credere? Cosa pensare? O e' meglio evitare di porsi domande? Pensare alla scossa senza occuparsi di cosa l' ha provocata. Rispondo tacitamente assentandomi esattamente in quell' istante. Vedo le mie lacerazioni apparire sui volti di altri che noncuranti anche se preparati se ne vanno verso una realtà che e' solo ovvia.
Flette l' asse della bussola inventata, mentre strugge e porta avanti il conto di una molle livida realtà. Il passo incede come un paziente che deambula in un ospedale, ma la corsia e' per chi non ha rimedio e chi non sa più cosa cercare. Tremule corde di una nenia che addormenta, determinate ore, e pasti che si officiano come sentenze o messe. Il cuore batte e siamo in grado di ascoltarlo, ruggisce e non e' sazio di comprendere le strane informazioni. Filtra col passaggio di un setaccio buono di complessa verità, entrando in contrasto con quello che ci stanno disegnando addosso, addirittura dichiarano guerra a quell' abito di menzogna preparato per quest' occasione.
Crepitii e briciole di libertà noi le lasciamo a terra, come quei corpi fermi e gelidi di quella notte brava. Le corde dei nostri tessuti sono spezzate e non possiamo nulla fra le vigne di questo casale ormai distrutto. Dunque restano gli sciami ed i ricordi, che come tali giungono dal mio passato di egoista, che come incudini mi pesano sul cuore, ma come ali di gabbiano mi sollevano portandomi lontano da questo dolore.
Riflettere e' pensare, come se ci svegliassimo da quel torpore replica che somministra il tempo. Follia del vento e quella foglia a terra mi ricorda che per ogni foglia sola sempre un albero mostruoso e' stato madre. Vagiti di suoni e strani rumori ancora echeggiano come per raccontare che non e' così, ma mentre provo a definirli, a dargli forma, il quadro di quegli altri e' già sul tavolo per essere osservato mentre la tela mia rimane ancora col passaggio di un pennello che distende altro colore da far essiccare.
In quel tratto di pastello ascolto, e nello stesso tratto vedo che la vigna rigermoglia pronta per la nuova libertà. Assaporando il vento, io nel vento confido affinché possa brillare ancora quella goccia di rugiada che per un istante sulla tela adesso riesco ad imprimere come se fosse stato lì da sempre.



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17/11/15

Il guardiano della montagna.



   
        Redini di un percorso che si fa tortuoso, nel pieno possesso delle idee e consapevole di nuove mete da raggiungere. Quando tutto si fa chiaro giunge un elastico a dilatare le sensazioni fra il rollio di un secchio di molecole e le perle liquide di un sudore che da pressione. Alianti attraversano il sangue giungendo fino al freddo rinfrancante di una gola che si offre ad un crepaccio. Ed io, e  i miei respiri affannosi, dove mi preparo a porre la vasca dei pensieri sedendo ad ascoltare il vento che mi avvolge fino. Cumuli di immagini e macerie. Ciottoli precipitano come se fosse spenta quell' idea di cielo che dal valico sorregge. Nuvole affiorano per poi accarezzarsi con la vetta in alto, mentre resto ad osservarle in questa loro sinuosa danza attorno a quella pietra. Il cartello delle mie volontà raccoglie in se nuova fatica e nuova voglia. In un impeto sono in piedi, pronto ad una nuova salita e a un' altra fetta di reazione alla ragione con l' istinto. Sciami accarezzano la foschia lasciando indietro la vegetazione, e quando la scena si apre, lo osservo, mentre lui resta fermo a guardare l' insolita sagoma. Fiero e una roccia sostiene, fra le piaghe del tempo assonnato la casa difende. Le sue pallide macchie di bianco pelo lasciano spazio al sontuoso manto di re della sua elevata e complessa struttura. In uno stambecco si rinchiude una montagna intera e la sua storia. Sul ciglio e sul dirupo ascolta con medesima tranquillità, nutrendosi di ceppi d' erba rigogliosa e fresca e nutrendo il vento stesso e quell' inerzia che sconfigge ogni momento. Lo guardo passare e la valle ne mostra altri ancora, ma il suo pascolo e' solo metafora di una meta nuova. Negli occhi lucidi mi scontro con l' essenza di un momento, mentre le brune espressioni mi percorrono attento per lui che di quella terra e' il signore. In un cortile silenzioso ascolto il vento e nei suoi occhi mi ritrovo ad osservare quel che vede lui, nei suoi pensieri semplici e nella sua richiesta di esistenza mite. Battaglie, vigore e forza assaggiano le mire di suoi simili per poi riabbandonarsi alla sua libertà di animale della montagna. Così mi sento, in lui, ed e' in quel preciso istante che abbandono questa idea del possesso, perché dalla montagna e' posseduto, e così anch' io. Bruno cielo, copre piombo e inizia a gocciolare, ma mentre il suo pelo isola e' la mia tenda a fare da riparo. Sebbene io abbia tutto non comprendo, e nello spazio di uno sguardo attento e' semplice capire che, fra i due, sono soltanto io che non ho nulla. Lo stambecco resta, e quella e' la sua casa e non ha tetto, mentre anch' io resto fermo li, ad assaggiare il profumo della pioggia, e ancora mi abbandono all' idea di essere un pò lui. Considero quel buio cupo mattutino e quel copioso liquido che cade come una nuova linfa che mi nutre. Pensando a ciò che avviene a valle, per la verità, deduco che e' piuttosto semplice capirlo, ma non capisco mai. Fiume e pioggia, e verde flora e fauna. In un groviglio di vegetazione tutto nasce in due elementi primi, e in quel momento sto osservando entrambi coi miei occhi timidi di ospite incapace. Parla di lampi e di tuoni e genera come una madre quella pioggia, mentre uno scivolo naturale nei suoi ghirigori le permette di scendere a valle dalla montagna con la stessa inerzia che uno stambecco, quello stambecco, sconfigge con la sua esistenza provata. Come un guardiano delle cime innevate o delle pietre bagnate lo stambecco osserva tutta la vita ricrearsi al di sotto della sua dimora, fra rivoli d' acqua ai quali si abbevera e sulla prima verdura che germoglia e, fresca, mangia. Crepitii come solerti impetuose promesse dilatano e restringono con quell' elastico che rischiara e fa tornare il sole. Il solito elastico che come i tendini di quella sacra bestia osserva il mutare dei colori che la Natura offre ai suoi discepoli ed alle soglie che un uomo soltanto di rado riesce ad attraversare senza che abbia dubbi sul percorso offertogli e sulla direzione da percorrere per poter tornare indietro. Abbandonandomi a me stesso adesso lo comprendo.


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05/11/15

Il muto canto ai quadri di Averin.




       Quella fila di mandorli in fiore ci spingeva diretti dentro un quadro di Alexander Averin, che con le sue tonalità impeccabili di un tenue dolcissimo ci accarezzava tiepidi in quell' abbraccio evanescente proprio di un ambiente impressionista. Come in un quadro passeggiavamo fra le onde che si increspavano e il rumore del vento e del mare, cercando una cornice rigida dentro la quale confinare il senno docile ed abbandonarsi alle conquiste del primordio più grave e intollerabile. Dentro la vernice agli alberi e ai giardini si frapponevano gli ombrelli di signore elegantissime mentre a quei fiori di lavanda si mescolavano dei prati lucidi accarezzati dal quieto alito di morbide colline. Immaginavo le mie voluttà nei piedi scalzi e nelle impronte che lasciavo sulla sabbia. Decise si imprimevano l' una dopo l' altra, come una fila di emotive e sconvolgenti verità per poi velocemente essere sommerse dall' impeto di una matrice nuova che dal mare si lanciava a cancellarle. Ascensori come petali caduti riaffioravano in un rotolarsi livido sotto folate nuove di quel vento che arrivava. Erano golfi dentro un chiuso e placido alveare al cospetto di vallate ricche di ametista e di raccoglitori di lucenti pietre. Come mitili quando marea si abbassa, o come lacero fogliame a terra fa fanghiglia, l' ibrido dei sensi e delle percezioni divagava per accaparrarsi un posto quieto dove madido terreno gli fornisse torba. Ardesia e lame di lucente pietra nera sconvolgevano un immenso carico di duro legno di parrozia. Avido di appigli e crepe, quel duro confine racchiudeva il morbido fluire del mio sangue chiaro, senza che potesse liberarsene o addolcirlo prima di cadere. Scosse elettriche mi dilatavano lo sguardo come se un terremoto mi prendesse per fiaccarmi un pò, leggevo nei suoi occhi tutta quella pena per i miei, come se coppe di vino e calici fossero scorsi ad ungere la mia espressione donandole quell' agitato oblio. Perle, sulla fronte e sulla schiena, scivolavano in rigagnoli di umida rugiada distruggendosi al contatto coi tessuti. Mentre scorgevo ancora gli occhi suoi, di lei, cercare di affogare il mio riverbero dentro i pensieri di un nuovo pennello che passava, per descrivere altro senso ai quadri di Averin. La completezza in quegli istanti, dentro lo sciame candido di tutti quei colori a tratti cardine di dimensioni e pure profondità. Il vertice di quella sinergia fra silenziose curve e dannazioni di quei liquidi essiccati, esplose sulla tela come fossero struggenti attimi di un ricordo andato via, e per quegli attimi restare a contemplare ritrovandosi e torcendosi fra ciò che lo cattura. E quella foto, mnemonica, rimane lì come una stampa di giornale racchiusa dentro la cornice dei miei sogni, che e' il confine fra un disegno ricco di colori impressi e la rigida struttura che sostiene. Si infrange in emozioni vivide di quello spettatore o questo che la osserva. Provo la sensazione di cadere nei pastelli, di fondermi per poi ascoltare il vento che racconta. Mi guardo intorno come se un oblò chiuso mi arginasse l' impeto spingendomi verso pareti di colori mescolati, e poi d' un tratto la sua mano mi raccoglie ricordandomi che l' opera non e' la mia ma che la sto guardando come se volessi viverla da me. Mi abbandono alla sua mano che accarezza, volgo lo sguardo a lei che proprio in quel momento mi innamora.


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29/10/15

Violacea notte.




          Che strana notte. Dove un esercito di gocciole zampilla a terra deflagrandosi in un solo istante. Dove quel cielo buio e nuvoloso d' un tratto viene illuminato da una viola intermittente che si accende e spegne consentendomi di vedere dei frammenti sulle nubi di color vinaccia. Dove una tremula fiammella scarica fra fitta pioggia connettendosi col cielo la luce necessaria che da vita ad un percorso isterico di lampi e fulmini caduti sul terreno. Che strana notte.
Ed io nella vettura timido percorro e poi rincorro questi fulmini che a terra infiammano gli istanti per poi perdersi nel buio di uno scroscio liquido. Garante della mia esperienza quella gomma a terra che la scarica raccoglie ed isola. Ed intorno un mondo osserva me mentre si fa osservare, con tutti i crismi di una elettrica tempesta avvolge Roma in una notte buia che di tanto in tanto si fa giorno.
Dilatate essenze di un crinale scosceso, mentre quei pini madidi patiscono tacendo il vento. Foschie che come aurora muovono il lento danzare delle piogge e in una mistica danza avvolge il siero di un cammino troppe volte soltanto intravisto in un transito di attimi inseguiti che fugaci vanno via. Rincorre, come ci insegue il fulmine che cade a terra. Pochi metri soltanto, in attesa di vedere esplodere il terreno e deflagrare fra scintille e fuoco. Come crateri e crepe elettriche separano alla vista un orizzonte cupo, donando a quel mio sguardo attonito fragranti momenti di intimo timore e di rispetto.
La soglia di una tempesta elettrica e' oramai varcata. Tutto ci avvolge come in un prisma di correnti lacere che si impossessano dei miei confini. Finanche la vegetazione brilla come se una coltre di argento in scaglie la avvolgesse depositandosi sulle estremità più libere. Tremuli orizzonti ascoltano il suono di un cielo che si spacca e si frammenta, più volte, ripetendo il suono orribile e mistico si incontra con le luci spezzate di un nuovo fulmine che cade al fianco. Monito, mi insegue ed in questo coerente oblio di nuvole orchidea continua a piangere e a versare lacrime come se fosse lacero il tessuto suo che invece e' il mio. Farinosa pioggia assembla e come un natante la vettura apre la via solcando rivoli e torrenti in una piatta strada che poc' anzi doveva offrire asciutto asfalto. Così io, asciutto e rigoroso prima, adesso languido e sorgente immensa di curiosa voglia di comprendere. Aliti nuovi e vecchi tornano a muovere un sipario d' acqua intorno a questa strana notte. Calpestano i fulmini saltando fra coltivazioni e prati, mentre il rumore accoglie in una nuova teleferica di immensi avviluppati pendii che ora si avvitano al momento penetrando e permeandomi fino a tirarmi giù.
Lagune di viole esplodono come bombe dissolvendo questo rosa giorno per cospargersi di blu. Briglie di una croma lucida serata serrano fino a raggiungere il principio del rumore e assoggettandovi pareti estese di complessi sciami d' acqua. Un motore che si spegne, una porta che si chiude e una salvezza. Ma consapevole dirige preoccupato verso una grotta di peccato che trasforma un' esperienza gelida in calore ed accogliente fronda di vetusta edera che può spigare ancora.


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27/10/15

Il cercatore di momenti.




         Come l' estuario di una profonda e lacerata passione il letto del fiume ascolta ed i ciottoli si muovono grazie alla corrente. Le placide acque rinverdiscono sapori estinti e le vegetazioni rinnovano quel rito di fecondità dentro un' idea oramai stantia. Il ricordo dei torrenti prima e delle confluenze poi, riscaldano quelle acque cadute e le allontanano da quei lembi di terreno con le vette nevicate a terra, che si stagliano lì all' orizzonte, quasi come fossero precipitate giù dall' alto. Come uno strappo verso il cielo aiutano quel rumore che trascorre ed attraversa. Aprendosi al volume e a quella nuova intensità di luci e di colori che dal gelo si era sciolta, per raggiungere le pietre lucide come un ascolto primitivo di quei corpi elettrici. Trasparente purezza passa e si trova ad accarezzare il tempo, su quelle pietre antiche che confermano la nicchia di un trascorso andato via. Gorghi e rigagnoli si alternano a luminescenti chiare lagune per poi tornare a convogliarsi in un' aggressivo ed impetuoso sputo di gelati e precipitosi fiotti che assottigliano la resistenza delle vecchie rocce.
Coriandoli di cime corrono dissolvendosi fino alla valle. Così allo stesso modo l' impeto remoto che ci attraversava ora si blocca e si dilata, lasciandosi alle spalle quell' idea di noi che sembra andata, e come un' ombra flebile attraversa gli occhi di una stanca e logora agonia dentro gli sguardi persi. Cotone estirpato alla pianta, nient' altro resta, se non quell' ulteriore lembo di tessuto che ci illude che ci vesta. Madide labbra assetate ad una foce di un immensa bolgia si dissetano per poi cadere nella quiete immobile di infiniti ciottoli che stanchi si depositano piatti. Corsare levigate correnti attraversano e da testimoni di una finta scena allevano verdure e dondolano. Come un sipario le strade si dimenano fra il lento andare e quella rigogliosa sponda. Infiniti suoni immobilizzano per poi stracciare il tempo in un abbaglio. Al sole e alla notte non occorrono le intensità stordite di un' eco lontana. Sciami di gocciole coinvolte si assembrano per raggrupparsi in onda unica che corre via. Quasi malinconica va via da quelle nuvole di un elettrico viola che accompagnano il calare della notte. In cerchi concentrici di suggestive immagini riflesse la Luna come orde di guerrieri riflette il fondale creando un quasi giorno che sa di aurora. Imperitura luce, fra le notti aggancia stati d' animo compressi che aggiungendosi alla lucida incoerente trasparenza vede tutto opaco.
Stanche le membra ed esplose le sue volontà riaffiora l' argine come nel bosco un orso si impatta un albero da frutto. Chiara imperitura Luna accende, e attende che quel nuovo giorno sorga fra le danze di un ruscello e l' esplosione di cascate giunte a terra. Condito il tutto di una sana volgare intensità di voglia, torno ad accarezzare quel silenzio che dissipa il tutto concentrandomi su quel che resta e tralasciando quanto di inutile si e' allontanato fino a giungere al principio, lì, quand' era nulla e non si rifletteva nelle notti insonni di un audace cercatore di momenti.

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14/10/15

Il Gabbiano di St. Govans.




            Pensare che eravamo giunti lì a Broad Haven quasi per caso, e mentre gli altri avevano deciso di visitare la cappella di S. Giovanni, Saint Govan da quelle parti, io mi ero ritagliato un piccolo spazio soltanto per me. Non avrei mai immaginato di poter trovare una scena simile, così perfetta, dove anche il taglio della luce e l' intensità della stessa mi avevano regalato un brivido che mi aveva fatto sedere su una pietra. Ero rimasto lì piantato a guardare l' andirivieni feroce delle onde verso i cliffs che, evidentemente mangiati da tale potenza, lasciavano massi a terra chissà da quanti anni, ma l' impressione e' che ne potesse frantumare ancora in quei pochi secondi. Le striature orizzontali della pietra raccontavano una costa sofferente, che sotto il gioco delle intemperie, non solo l' aggressività del mare, aveva modellato se stessa come per essere un gioiello incastonato in una roccia grande come il Galles, un gemma.
Io volevo una fotografia interiore di quegli attimi, dovevo trattenere quelle sensazioni senza permettere che se ne andassero. Ero inserito e parte integrante di un quadro dove il movimento del mare e gli spruzzi dell' acqua, mescolati al vento, sembravano migliaia di persone sulla Fifth Avenue di New York, quando pilastri enormi come grattacieli rimanevano invece immobili ad osservarli.
E il rumore delle onde che si infrangevano, quel friggere per poi scontrarsi e rilasciare. Conservo ancora l' eco di quel subbuglio, e pensandolo come se fosse in me, mi avvito nell' idea di quel quel vento che mi stava circolando intorno. La traccia della marea, e quel mare rigonfio che si appoggia, la schiuma bianca che salvifica ed ossigenata si allontana per poi rapprendersi in una fila uniforme di bavetta equidistante e curva. La danza di un colosso che giunge per poi fiottare ed essere sputato via. Lì sono i miei occhi, lì la mia pelle, lì le mie idee. Abbottonato e pertinente mi abbandono solo per provare a ricordare, a ricreare quello che in quel preciso momento riesco a provare, mentre un gabbiano planando si avvicina e mi scruta come per rivendicare il proprio spazio su quella pietra che potrei avergli rubato. La curva del suo volo e' assecondata dalla sapiente maestria con la quale impiega i suoi arti, una virata con la coda, il suo timone, e mi lascia lì a riflettere pensando che quel volo lo vorrei provare anch' io.
Rette incastonate nella pietra e di nuovo mi rituffo in quella fila di momenti tutti miei. Per un attimo il mio sguardo si perde nell' erba che ho vicina e che del vento impazza, ma poi una nuova onda si dilata squarciandosi nell' umida parete e quel fragore mi riaccende l' anima pensando che un istante così ricco e' un dono che non posso mai permettere di trascurare.
Il maglione si gonfia e ad un tratto mi volto come se mi sentissi spiato dallo sguardo dei miei amici risaliti dalla visita nella cappella. No, ancora nulla, ed uno strano compiacimento mi abbandona nuovamente a quell' idea di assoluto che in quel momento rappresenta quel connubio fra me, quella parete striata impilata come una risma di fogli colorati e lo schiumoso avvelenato mare che la infrange. Crepitii ed altri gabbiani disegnano la vera traiettoria di una libertà mai posseduta. Li osservo in una immagine coerente di quel tutto, e come tanti flash li blindo conservandoli nel file di quei momenti senza maschera che ricerco e che io adoro accumulare. La ferocia di quei contrasti e al tempo stesso l' equilibrio e la complicità. Il senso e' il pesce e il nutrimento. Il senso e' il volo e quel dannato vento. In quel punto, in quella pila di attimi che sto mettendo via, io riconosco il senso del confine e nella pila che sorregge quella costa e che resiste ascolto i limiti di una consapevole tortura. Anime che respirano fra i flutti, il volo di un gabbiano che rimane fermo a lasciarsi trasportare. Essenza e peso specifico che non obbediscono a leggi matematiche ma solo al grido di libertà che in quel momento io assaporo insieme al tutto e dal quale non vorrei mai andare via.





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07/10/15

I ricordi del bancone.




        Dove sono? A quale punto la traccia si e' interrotta fermando il suono che avvolgeva mentre quel whisky accompagnava la serata. Le luci soffuse del locale contribuivano al mio viaggio, e guardandomi intorno non avevo più timore di vedere. Dietro al banco Gianluca mi parlava del suo Halloween e di quanto lui gradisse l' arrivo del periodo natalizio. Non ricordavo che nel suo sensibile ma polveroso donarsi agli altri mi aveva un' altra volta già raccontato del perché quelle lucette natalizie non le aveva mai più accese dal primo Novembre.

Il pub esisteva dal 1992. In un giorno di Settembre presi il mio SH e mi diressi verso la sua inaugurazione. Erano cambiate delle cose negli anni, l' insegna gialla sul marmo aveva lasciato spazio ad un fine lavoro in legno. Gli artigiani che ci avevano lavorato avevano scelto una tonalità di blu molto elegante. Anche gli interni erano stati rivoluzionati. L' enorme mole di materiale sportivo appesa al muro aveva lasciato spazio ad una parete in tartan dove un gran quadro raffigurava una scena, credo di caccia. Spesso mi ero perso nella fettuccia a specchio che separava la parete dallo schienale in legno per le sedute, anche se leggermente opaco permetteva di osservare all' ingresso chi solcava la soglia.

Credo fosse nel '96. Ristrutturarono rendendolo quello che ancora oggi si conserva. E noi come lui, cambiati un pò tutti, per poi conservarci ancora nella stessa identica maniera di com' eravamo. Situazioni vissute ed abitudini ci avevano plasmato e fatto diventare quello che siamo oggi. Qualcuno adesso aveva famiglia, alcuni ancora dei figli. Altri avevano preferito imboccare la strada dell' essere solitario, altri ancora semplicemente non avevano trovato sulla strada qualcosa per cui valesse la pena tentare di cambiare questa splendida routine.

Un raro esempio in terra italica di quello che si può trovare comunemente in un villaggio della Scozia o sui terreni vicino Bala, in Galles, dove alla fine del lavoro hai il tuo posto da raggiungere per disquisire un pò sulla giornata, sulle magagne e su quello che farà la Lazio la Domenica successiva. La Lazio, proprio la Lazio, indelebile filo conduttore che a suo tempo unì i nostri cammini, fino a selezionarci, come si fa con i vini o con le birre, creando un nucleo di "locals" così granitico da spezzare ogni evento che la nostra tana nel tempo ha dovuto attraversare.

Dove sono? A quel punto la traccia riparte e dopo qualche istante la sua musica torna a diffondersi nei padiglioni auricolari allietando il mio tempo. Il vociare pacato e quella solita atmosfera. Roberto che giunge, la strada e le auto in doppia fila. Magari un pò di pioggia, per donarci altra atmosfera. Gianluca sibillino fra le spine a dividerci continua a raccontarmi di quelle luci. Il Natale sta arrivando e la musica lentamente cambierà, mutandosi in un' attesa di strenne e festoni ricchi di calore nordico, di quelli che non attecchisce quando il cuore e' arido. Fragrante freddo porta via il calore di un' Estate che proprio non ci azzecca nulla e, sebbene a Roma, tutti noi guardiamo a Nord, non per il freddo o le abitudini diverse, ma come puro concetto.

Tumultuose serate trascorse, intenti e minacce, poi quiete. Saccheggi intellettuali e rilasci educati che avevano soltanto l' intento di colpire. I soliti signori, alcuni buoni, altri meno, a scrutare nel buio e a misurare il livello di pericolosità del cuore. Mentre in questo bailam di sedicenti curiosi e per la verità, alcune volte, ragionate supposizioni, le maschere sono cadute via via abbandonandosi alla realtà di una strana consapevolezza che mescola adesso varie personalità fondendosi in una unica liquorosa comunità. Saggia il terreno come le labbra si bagnano di un whisky morbido, afferrano come le dita cingono un bicchiere al banco. Mentre il gomito con quella ragnatela che non sa di tatuaggio ma e' palese, appoggia sempre su quel piano di legno dove sono cambiati molti panni e dove sono state rovesciate varie birre, ma mai ha visto interrompere quel tempo che oggi lo attraversa.

Crepitii e silenzio, quando si e' visto molto, anche se non tutto. Tacere ed osservare il dorso del bicchiere mentre il fruscio delle altrui conversazioni vanno avanti e si mescolano anch' esse con la musica che va. "Sai quella volta..." continua Gianluca, "accadde che le spensi per il lutto...". Io sul principio non capisco, ma guardando i suoi occhi, che non sai mai se si commuove o se e' un pò avanti, continuo ad ascoltare. "Si perché ero solito accenderle dopo il giorno dei morti..." va avanti, ed allora mi convinco che l' oggetto del discorso torna ad essere le luci natalizie. A quel punto lo guardo ed un brivido mi scarica la schiena, facendomi piantare su quello sgabello il cui tatuaggio sono io.

"Da quell' anno, quel maledetto anno, ho deciso di accendere le luci solo dopo l' 11 Novembre. Per ricordarlo, per ricordarmi, per rispettarlo e fare come se non se ne fosse andato via." Un' annataccia per tutti noi, quell' anno lì, mentre le dita serrano il bicchiere. Ci sono immagini che lo raffigurano e scritte che lo ricordano. Ci sono berretti e voci che ogni volta me ne parlano. Ma le polverose sensibilità che abbiamo tutti noi ci hanno impedito di passare oltre, se non per regalarci una parvenza di vissuto minimal. E il cuore batte male, mentre le dita che han serrato e il polso sollevano il bicchiere ed in un fantomatico sorriso amaro portano alla bocca quel buon whisky che stavo gustando. In un moto di depresso ricordo termino il liquido che come fosse lui mi viene a salutare.

Dove sono? A quale punto la traccia si e' interrotta fermando il suono mentre il whisky accompagnava la serata. Accendi quelle luci solo quando questa festa ha inizio.



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25/09/15

Clan destino.




            I muri dell' incomprensione appaiono lì, di fronte a noi, in tutti gli aspetti ed i momenti delle nostre giornate. Sappiamo che stiamo camminando, ma spesso questo accade senza che si abbia direzione, o con uno scopo distante da quello che realmente vorremmo. Nostro malgrado, o forse e' meglio dire malgrado i nostri sogni, spesso ci accontentiamo di quello che ci ritroviamo in mano, evitando di pensare a tutto quello che invece abbiamo lasciato andare via. Come se il futuro di ognuno di noi non fosse influenzato dalle scelte fatte lungo il percorso, come se ogni istante passato fosse stato assolutamente privo di conseguenze.
E invece il conto eccolo qua! E' tracciato,ed e' qui di fronte a noi, o meglio, di fianco. Come una clessidra che misura il tempo possiamo osservarlo senza che sembri mutare di un solo nulla, ma invece cambia, e ci cambia. La sabbia attraversa quell' imbuto come se il paniere delle possibilità si riducesse giorno dopo giorno, ed e' metafora di tutto ciò che noi non siamo diventati e che invece saremmo potuti essere. Fredda disamina sul trascorso mal impiegato, camminando in modo vago e alla mercé di quel che ci e' successo volta dopo volta. Direzioni prese, rinunce e spesso abbandoni.
Cos' altro siamo se non sabbia che va via? Il tempo ci disegna gli angoli smussati dei nostri errori, accantonandoli come degli appunti che conserva in un grande database chiamato "ricordi". Facciamo in modo che non ci risulti nulla, come se una formattazione quotidiana ci distruggesse il file per non pensarci più, ma poi accade che mentre stai vivendo quella situazione esatta, tutto riaffiora, e quegli appunti li puoi leggere comodamente, perché sono scritti talmente bene che potrebbe essere un lavoro di amanuense, con tanto di ghirigori e curve grafiche di pregio vero.
Nulla toglie a ciò che vive e che e' vissuto, ma la qualità, le scelte, la direzione, sono ben altro, e sono tutte cose dalle quali poi ci discostiamo durante quelle fasi spezzettate che sono le nostre giornate. Tempi come logaritmi e regole preordinate, rispettate come fossero dogmi e con dovizia militare disciplinatamente eseguiti.
Spezza la giornata, sorprendi te stesso. Abbandoniamoci all' ego e al nutrimento di esso. Meravigliamoci di quanto ci e' concesso potendolo attraversare con gli occhi di chi osserva, senza recepire o raccogliere, ma cercando, come risposta o colore, suono, musica o profumo, in tutti quei momenti dove tutto e' lì con noi e niente fuori. Amidi, brine e freddo ci danno il senso mentre un tiepido sole ci racconta di quello che proviamo. Tele e pennelli, od una penna in mano, per portarsi via dal resto e caricarsi di quel file dimenticato.
Non occorre sognare ad occhi aperti, o lasciarsi andare nel vino e gli altri vizi. "Status Mentis", idea di se, mentre attraverso l' iride riscoprono colori nuovi e aspetti mai considerati, mentre le direzioni capovolte di un solo istante ci disegnano la strada che luminescente ci indirizza e ci solleva.
Una lettura, magari di un interprete che ha visto differenti cose, di un altro tempo. Raccontandoci i ricordi suoi, senza passare da quelli dell' odierno limite che ci possiede. Soggiogati da quell' intervenuta incapacità di saper "provare", di sentire noi stessi, in quell' aspetto incredibilmente nostro che non riusciamo nemmeno a definire e che in Albione invece e' disegnato come "feel". Frantumati dalla frenesia di un nulla diffuso, che come schegge impazzite ci fa navigare in acque quiete come se fossimo nella burrasca più assoluta. I muri sono tutti lì, nelle variabili che non gestiamo e che noi non riusciamo ad accettare. Il tempo che passa: un tempo per il quale non esiste "lifting" che possa illudere. Regola del danaro e del possesso: non avremo nulla che non ci e' dato conquistare. Spazio: aerei, treni o lunghe passeggiate possono nulla se non si sa come guardare.
Fiocchi di neve obliqui discendono da questo grande schermo piatto che e' il soffitto. Esplosioni di calore rispondono a quell' umida percezione di freddo che ci avvolge. Sentire noi stessi in un contatto elettrico col resto delle cose per misurare la distanza fra di noi e le stesse, accarezzando quell' idea di vivere senza il costrutto che appartiene a terzi, scegliendo per se quella luminescente rotta che ad un buon timone si rivela infine con il nome di "destino".


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23/09/15

La soglia.




         Torbido come il primordio, dove esplosioni in celle chiuse deflagrano le fantasie più nascoste, e dove ansima l' ardente respiro in un tremore che quasi soffoca lo stesso desiderio. Ignari a noi stessi, si lasciano intravedere per poi penetrare nella spina dorsale e sulla cute. Come scariche di elettricità colorano il pigmento e fra brivido e sudore percorrono anche l' ultimo degli spazi lasciati vuoti dalla razionalità oramai fuggita via.
Vortici molli ed afrori, avvinghiandosi fra la boscaglia ed il soffitto plumbeo, in un senso di abbandono e stress, foraggiano mani impazzite e schiene lucide. Nella corteccia schioda e afferra, serrandone i respiri con la forza, per poi di nuovo accarezzare e perdersi fra le nubi di un oblio che sgorga come grido da quell' anima, che decollata vola via.
Sciami di insetti che pungono sono le vivide iniezioni di un amplesso che disordinatamente attende, mescola quegli sguardi a tutte quelle feritoie fra la stasi ed il pensiero che distrugge. Solenne soverchia fra le costole la lingua che a passeggio le assapora. Corre, e sulla buia notte accende fiati e condensa in un meccanico inseguirsi per poi incontrarsi appena e andare via.
Come un giogo che passa di mano e cambia il padrone si alterna in un frammento di cielo da toccare un pò alla volta. Crinali da mordere e graffiare fra le gole di un cosmo di forma, per lasciare che la stessa esploda e si propaghi abbandonandosi alla vera libertà, dov' e' il confine e dove alberga la pudica soglia. Affrontarla come se fosse impedimento, vincerla come se fosse nemico, ed infine schiantarla, come se un dogma andasse via lontano per il resto delle pagine da vivere.
Dal primordio evolve. E lo strumento e' quello stesso torbido che ci solleva, ci porta via dalla piatta routine cui ci abbandoniamo nella vita quotidiana quando, lasciandoci attraversare ogni giorno un altro pò, inconsciamente le cediamo il passo e si dimostra manifestamente superiore.
Canoni di un' esistenza soltanto attraversata. Cerca la traccia dell' ardire, frugando fra le vite altrui e struggendo in una inconsapevole fallita era. Vulcani dove lava incandescente sgorga, fiumi di gelide acque impetuose, e poi ancora cieli fitti di coltri di nubi e mari in burrasca. Ricerca ed osserva, anche sulla soglia di una riva della fine, e magari dentro un bosco di conifere, vedendo frantumarsi enormi alberi sotto i colpi di un tempo trascorso.
Primordi ed epilogo fra le stesse scosse e i movimenti liberi. Fugge dalla noiosa esistenza cercandone il nocciolo per la sua vita. Appare sospesa quell' idea cercata, ma tanta e tale e' quell' intensità di un attimo che vuole, che anche se impiegasse la sua intera vita per comprenderne soltanto un solo angolo, potrebbe avere speso bene l' impeto ed il sano immobilismo del trascorso al tempo stesso.
E' il coraggio di dirci no che spesso ci disintegra, e in quella stessa idea tendiamo a scivolare lentamente per poi accorgerci che monta. E in quell' esatto istante scivoliamo via dalle ovvietà per ritrovarci a cedere quel pò di noi che non riusciamo a raccontare, abbottonato in una vita dove quel solo attimo per cui valga la pena può farci scendere nel Maelstorm di Allan Poe per poi risollevarci in una bolla di felicità cosciente e ritrovata razionalità verso una spinta nuova a propagare lungo tutta la spezzata del vissuto.



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22/09/15

Le essenze oniriche.




       Operosi fauni, stridenti lamine di metallo e sorgenti oniriche inconsistenti che a tratti si manifestano per poi dissolversi di nuovo in un consueto cumulo di nebbia che va via. La notte affiora, ed in maniera disturbata accoglie inconsce percezioni, mentre lo scoccare dei secondi inesorabile da il taglio all' inutilità dei "non pensieri", classificando e comprimendo gli attimi, quei pochi istanti, in cui tutto ritorna a raccontarci, o meglio a descriverci, di uno di quei domani che verranno. Nasce come in un bocciolo notturno un deja-vu che poi ci appresteremo a vivere come se fosse già accaduto. Come una crisalide con dentro il tempo accoglie per poi far riaffiorare nelle nostre confuse emozioni di quello che sarà, un momento andato, ed in quell' attimo in cui osserva la farfalla sollevarsi in volo, tornare indietro a quella notte e alla crisalide di quell' istante concepito.
Navigano fantasie e dal limaccioso fango delle quotidiane piogge, dal nulla si discostano tentando di comprimere. Si avvolge come una matassa lanosa e srotolandola di nuovo e' chiaro che il destino si dipana dallo stridente filamento fino a pizzicarlo come corda si violino. A noi non resta che raccoglierlo per viverne di almeno un pò, considerandone gli aspetti empirici ed accontentandoci di quel raccolto che noi fummo in grado di osservare. Niente corda spezzata, e in quella corsa una nuova livida magia si scioglie per poi destarci in fronte ancora un altro specchio di un passato che ritorna e si racconta.
Canestri e cesti di vimini spruzzati di farina. Legni sottili e vanesie immagini di laghi placidi con barche che come specchi si riflettono in quel liquido come mercurio. Nebbie, foschie e poche lanterne, ancora lo stridio di lamine in metallo. E i pescatori muovono quei bastimenti come tante piccole lucciole in un nulla piatto. Alle loro voci lontane si accompagna molto silenzio e quello strappo di fodera che e' l' allontanarsi delle barche su quell' acqua. Lentamente piccole onde prima, si fanno più increspate poi, e nel novero di quelle che posso osservare fino alla riva ne conto alcune che schiumose friggono esplodendo bolle in un curioso madido terreno dove cigni bianchi giungono per poi solcarle e mescolarsi a quella parte di scena che vede le barche andare via per prendere il largo.
Porta la fase REM a porsi domande e darsi lapidari esiti. Le capacità mnemoniche del nostro aspetto onirico si scuotono facendo andare via molto di quello cui noi non smettiamo di creare. Come un' analisi complessa sulle effettive soglie di una vita che si relaziona a terzi accadimenti, come tanti piccoli ingressi in un nucleo di "sognatore" che ci fa entrare per poi cacciarci via. Osserviamo, tentiamo di ricordare, e nella stragrande maggioranza dei casi tutto svanisce in un sol battito di ciglia. Sono come carte da tenere rovesciate, aspettando che esca quella nitida che ci rimembra. E nell' istante in cui tendiamo il braccio a quell' unico istante che riaffiora, esplosioni di sale e fumi di nebbia dissipano per poi permetterci di andare li dov' eravamo e dove poi ci siam lasciati trasportare via.
Le essenze oniriche. La, dove la risposta a tutti i quesiti dell' inconscio trovano argomenti e materia di analisi quanto meno per cercare di comprendere chi siamo noi davvero. Le essenze oniriche. Spesso cerchiamo risposte a domande delle quali ci interessa molto poco. Sciogliendo il liquido della notte come amiamo, per focalizzare la nostra attenzione sui veri perché e su quello che noi ci aspettiamo da noi stessi senza che possa mutare dalle influenze derivateci dagli altri che man mano attraversano il nostro tempo.
Candidi istanti di vero "ego", dove nulla e' falso o maschere da indossare. Fiducia e timori, finalità e concrete motivazioni. Gettare gli occhi in quel nucleo per restarci e passare al prossimo piano dell' evolvere se stessi.



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08/09/15

Follia.




     Incipit di una stravagante interpretazione e dell' impiego del suo tempo. Preludio ad un' oscena forma che dilata dentro gli occhi di chi resta ad osservare e che ne esplora il fondo cupo quando si allontana. Soggezione e grida, capovolte e tollerata confusione, come la vite e' accolta e buca il legno così la mia coscienza lo analizza e nota.
Sipario di un mondo parallelo entro il quale le regole si dissolvono mentre il suo razionale oblio ci avvolge e quasi sugge. Note sono le velette che ricordano i suoi canti isterici, come nota e' la sua voglia di sorprendere per poi scrutare e snocciolare la sorpresa dentro gli altrui sguardi. Piroette e proiezioni di un futuro che lo investe, e quel suo ghigno scuro e placido allo stesso tempo, che come immagine di un Joker ci sorride, e anche degli altri, quasi come fosse lui l' anima candida che li analizza e che li scruta.
Possenti immagini di una recondita pazzia, alveari di solerti idee che esplodono per propagarsi verso nuvole ed eserciti di benpensanti.
Ha vinto ed affrontato tutto, correndo via da una routine che non accetta. Ha corso sulle nobili distese dell' inconscio, girovagando qua e la per esplorare prima, e come in un labirinto per trovare la sua strada poi. Ora che e' uscito si solleva, e osserva quella rete e tutte quelle anime che come pesci ignari vi son chiuse dentro come fossero convinte della loro libertà.
Democratica libertà, di quella rete. Dogmi e preconcetti come fili di una tela tessuta e quel gran ragno che ci osserva per finire il lavoro. Almeno restano quegli istanti, per chi, s' intende, e' capace di goderne, in cui si possono aprire le braccia e come un aliante, portarle col vento fino a convincerci che possiamo anche volare. Con il grido liberatorio di una corsa che ci lascia privi di qualsiasi forza e fiato, così edifichiamo muri invisibili per noi e verso gli altri. Muri nei quali albergano le nostre fantasie celate, mai volute sperimentare e mai provate. Gli stessi muri oltre i quali noi temiamo di guardare, come se quei confini ci servissero, come se la solita forma ed il suo conseguente perimetro od involucro impedisse a quel che e' dentro di montare e col suo incedere portarci via ad evolvere.
E torna quel suo viso che ci osserva. Come una maschera dimena e danza, roteando fino a confonderci e a distrarre tutti noi da ciò che si potrebbe essere, ma invece si rinuncia. Quasi ad occupare lo spazio che sarebbe nostro se solo lo volessimo, o ne avessimo il coraggio, e la perenne sfida di chi per evolvere ha accettato il pegno di impazzire. Fra le nostre risa e di chi lo biasima o ne ha pena, come crateri le sconfitte e le paure arrivano a portarci il conto, con tanto di piattino e di libretto chiuso.
E' una scoperta che riguarda noi e più nessun' altro, in tutti quei momenti dove abbiam deciso di fallire o di lasciare tutto come stava per non muovere altri rischi che potevano forse investirci.
"E' la faccia della follia! Guardami!" sembra dire, ed e' quasi una sfida. E' qui, in questo specchio, ed in tutte quelle celeri smorfie di quel pazzo che ci suscita finanche disinteressata tenerezza.
Se solo avessimo più di tempo da potergli dedicare, per accorgerci che ciò che noi, in realtà, vediamo in lui, assomiglia a tutto quello che di noi non abbiamo mai voluto mandar via, probabilmente capiremmo che in realtà qui i veri pazzi siamo noi, con buona pace del cammino, di quei muri e della stessa indisponente voglia di sembrare.


Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

31/08/15

La strategia del controllo (tifosi usati come cavie sociali)



       
         Stanno trasformando il tifoso in cliente. Cragnotti in questo era stato un precursore, aveva visto prima degli altri, ed in parte e' anche responsabile. La visione del Calcio e' cambiata da quel maledetto 1992, e credo purtroppo che oramai sia irreversibile. E' uno Sport bellissimo, ma vissuto in un clima che non ha più nessun fascino. All' erba sotto i tacchetti e alle maglie sudate si sono sostituite pettinature stravaganti e modi di festeggiare una rete volti a fungere da spot di se stessi più che per la felicità di tifosi e chi li paga.
Vorrei davvero sapere quanti dei calciatori in attività aspettano con bramosia l' uscita del nuovo PES o di FIFA per giocarci e vedere quanto sono forti i loro "pupazzi" e come li hanno fatti sul giochino per Play Station... ma vorrei anche conoscere quanti "tesserati" che visitano abitualmente da qualche anno lo stadio "Atleti Azzurri d' Italia" sono mai stati al Brumana quando la tessera non c' era.
Poi c' e' il capitolo TV a pagamento. Salvo che non sia un locale, od un circolo, la possibilità di vedere 4200 partite a casa non permette nemmeno più quella aggregazione che una volta potevamo vivere noi. La Lazio era un elemento detonante che assottigliava le differenze socio-culturali e permetteva a persone provenienti da diversi ceti di conoscersi e costruire amicizie che oggi, in molti casi, ancora durano.
Sarebbe sufficiente pensare a cosa avevamo noi, in termini di informazione sportiva, da bambini. Eppure il nostro imprinting, con la Lazio che peraltro navigava anche in cattive acque, non mi sembra peggiore di quelli che sono venuti dopo, o di quelli che già c' erano prima.
Se eri stato all' Olimpico, speravi che qualcuno ti mostrasse un qualche lembo di bianco e celeste al 90° minuto per poi attendere le 20.00, e la Domenica Sprint, affinché De Laurentiis ci potesse dare più dettagli di quanto era successo sul campo rispetto a quello che ti aveva solo fatto assaggiare Paolo Valenti.
Oggi quasi tutti quelli che vanno allo stadio, ed anche chi non va, hanno abbonamenti SKY, Mediaset, ecc... vedono gli interni dei vari spogliatoi, sbirciando fra giocatori in mutande e poltroncine lucide di gomma bicolore. Ciclicamente gli stessi fanno appelli al popolo per convincere ad andare all' Olimpico perché ci vanno in "pochi" ed occorre esserci, altri non vanno e chiedono agli altri di desistere dal farlo, altri ancora addirittura hanno insultato chi e' entrato, e senza dubbio vi sarà qualcuno entrato che insultava chi invece era fuori.

Ma siamo noi, e da un momento in poi, lo siamo sempre stati.

Come dimenticare i 37106 paganti per la semifinale contro l' Atletico Madrid, con la partita in televisione, però ricordo anche i 30000 al S.Paolo per gli spareggi contro Taranto e Campobasso (non l' Atletico...). Osservando questi dati l' elemento nuovo dovrebbe essere collocato a livello temporale in quei due lustri di differenza... ecco, credo che ognuno abbia il sacrosanto diritto di vederla come crede, di avere le sue idee, e non e' una cosa sindacabile, ma credo anche che tutti noi, indistintamente, ci siamo dimenticati chi siamo.
Siamo davvero sicuri che il problema di questo tempo sia andare allo stadio o no? Per la verità non credo. Presto o tardi, anche la Lazio, come tutti gli altri Club di un certo rango, sarà dotata di un suo stadio di proprietà dalla capienza di 35000/40000 spettatori, il suo "bacino di utenza". Probabilmente tutti vivremo quel giorno come motivo di grande orgoglio, di curiosità ed eccitazione al tempo stesso, ed in un certo qual modo potrà anche essere il suggello alla "libertà" tanto desiderata. Ma lo sdoganamento dalle sovrastrutture, politiche e sportive, sarà soltanto fittizio, perché a mio avviso ciò che si sta preparando e' molto più subdolo, e se in altri Paesi e' già realtà mentre qui in Italia ancora no, si deve solo al fatto che, come al solito, qui facciamo sempre tutto molto tardi rispetto agli altri.

Chi ha mai provato a vedere una partita della Premier League negli ultimi, diciamo, 8 anni?

Con un amico mi trovai tre anni fa a Liverpool. Era un Lunedì sera, e grazie ad un contatto che un altro nostro amico qui a Roma aveva con "certi" del Liverpool, riuscimmo a disporre, dietro pagamento s' intende, di due "tessere di abbonamento nominali" intestate ai legittimi proprietari, ma quella sera in nostro possesso. Entrammo comodamente allo stadio, nella ricca di storia KOP, senza che nessuno si preoccupasse (fatte salve forse solo le persone abbonate nei posti vicini una volta entrati...) delle nostre identità, o quanto meno verificare che combaciassero con i nominativi dei titoli. L' incontro era con il West Bromwich Albion, finì 0-2, ma per noi fu un calvario. La classica partita a senso unico dove il Liverpool attaccava sempre ma a segnare erano gli altri. Eravamo tutti costretti a starsene seduti, ogni vota che i Reds si facevano avanti, le persone della curva si alzavano in piedi come una grande onda, e subito dopo gli stewards a chiedere di accomodarsi. Ci saremo alzati e seduti, non e' un' esagerazione, 40 volte per tempo, non c' era tempo per fare il tifo, non c' era lo spazio, e per la verità pensavo in me che non ce ne sarebbe stata nemmeno la voglia. "Mai più" mi ripetevo, però alla fine e' lì che stiamo andando. E l' ulteriore provvedimento di questi giorni, volto a dividere la Nord, un settore comunque per "loro" troppo vasto, e conseguentemente difficile da "controllare", non e' altro che una logica conseguenza.

Vivo la Lazio H24 sette giorni su sette, e non posso, non voglio, fare la pecora, assoggettandomi a tutto questo da impotente, alle sciagurate regole di un qualcosa in cui non mi vedo più.

In Champions credo poco, ma in Europa League c' e', ancora per poco, spazio per una piccola fetta di libertà da andarsi a prendere seguendo la Lazio. E questo cercherò di fare, di seguirla in trasferta fuori dall' Italia, quando posso ed ho la disponibilità per farlo.
Ma purtroppo va anche detto che il famoso G14 di cui si parlava nel 1996, prima che Bernard Tapie venne implicato in quello scandalo a Marsiglia, e' veramente dietro l' angolo.
Credo che Champions ed Europa League attuali non siano altro che prove tecniche del famoso campionato europeo che ci aspetta, popolato di comparse e non di tifosi (salvo, s' intende, tutte quelle persone che si possano permettere di pagare biglietti aerei e dello stadio a costi da Superbowl, e che in egual maniera, abbiano una disponibilità di tempo tale da poter seguire la squadra fuori casa a Mosca oggi, poi in casa la prossima settimana, poi a Manchester fra due, poi di nuovo all' Olimpico, poi Monaco, e così via...). Alla mercé dei più resterà soltanto la possibilità della TV, e del conseguente abbonamento, propedeutico. Non ci saranno costi eccessivi di Polizia per le traduzioni dei tifosi ospiti dalle aerostazioni agli stadi e per il loro "controllo", evitando così anche eventuali problemi di ordine pubblico, perché la capacità degli organizzatori dell' evento, di tenere gli "animali in gabbia" sarà pressoché perfetta se coordinata con le forze di vigilanza e gli steward, i cani da guardia. Alla fine si, saremo tutti seduti su una bella poltrona a fare il tifo per un gruppo di persone delle quali non conosceremo nemmeno il timbro di voce od i volti visti da vicino...
Non me ne frega niente di vedere il Barcellona o il Real Madrid, né tanto meno il Manchester United o la Juventus. Crescendo ho perso il gusto di tifare le italiane (eccetto la Roma ovviamente) quando giocavano in Europa. Oggi non vedo più nemmeno la Nazionale. A me interessa solo cosa fa la Lazio.
Sono un' anomalia? Non mi interessa. Sono anacronistico? E' uguale. Non accetto il teatrino che ci stanno modellando attorno quindi ho fatto un passo indietro e sono uscito dalla sala.
Il Calcio non era questo, questo e' il mio vero problema.


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23/08/15

Isole Borromee.




         La navigazione di quelle acque placide lasciava ampi spazi per coltivare le proprie idee e svilupparle come quelle onde sotto le quali il nostro natante lentamente avanzava. Avevamo certamente trovato il vero indirizzo della bellezza, anche se rinchiuderla entro il prezzo del biglietto ci sembrava di offenderla. Essa albergava su queste poche isole che si stavano mostrando proprio ora dinnanzi ai nostri occhi. Come informazioni messe in un database incameravamo quella vista sbigottiti da quei giardini e quelle ville così ordinate, scambiandoci di tanto in tanto sguardi di misto compiacimento e di solerte curiosa incredulità. Eravamo come dei bambini di fronte ad un nuovo giocattolo che faceva cose mai viste prima, e che poteva suscitarci nuove manualità ed un livello maggiore di sviluppo del nostro intelletto. Anche gli alberi erano in equilibrio perfetto col resto, come perfettamente inserita in questa visione del complesso ci era parso anche quel drappo a due fasce orizzontali rossa e blu. La guida ci diceva che i padroni dovevano essere a casa se il vessillo era in piedi. Io fra le comunicazioni che ci stava dando, mi ero perso sull' eco di quel cognome che aveva riecheggiato nella mia mente quando lo aveva pronunciato: Borromeo. Come dei dadi tirati su di un piano, queste isole e qualche piccolo scoglio, apparivano come gemme sospese sul lago Maggiore. Ne condividevano il possesso il Piemonte e la Lombardia, ma una volta lasciata la riva e cavalcando le onde la storia cambiava. Come resina colata e lasciata raffreddare quelle isole non appartenevano a nessuno se non a loro stesse, e nell' ambra che negli anni ne era rimasta, non era rimasto rinchiuso nemmeno un insetto, nemmeno una bolla. Avevano sistemi di fontane e giardini all' italiana di cui si era andata perdendo traccia lungo il tempo. Coltivavano il terreno e le piante come se in quello stesso terreno, e in quelle piante, ci fossero spiegate le motivazioni dell' esistenza di quelle stesse isole. E non e' escluso che qualcosa davvero ci fosse in quella vegetazione. Un liquido di piacere bagnava gli occhi oramai quasi commossi nel guardare quella fiaba che stava respirando a pieni polmoni. Come una scena di un quadro impressionista d' un tratto prendeva corpo definendosi in un sogno avviluppato nella realtà, ed il lento incedere della nostra barca, e l' ormai inutile tentativo di asciugare l' iride, facevano della sua essenza tutto quello scivolo emozionato di foschia da consegnare al timido ed inquieto sogno dentro il quale stavamo navigando piano. Avrei voluto tuffarmi per raggiungere quel terreno di stella, lo avrei voluto accarezzare solo per il gusto di dire "ce l' ho fatta", ma il timore di spezzare l' incanto era tale che con riverenza mi ero chiuso in un ulteriore, se possibile più severo, silenzio. Costellazioni e sorgere del sole non son nulla se non si e' passati ad osservare almeno per un poco la magia che ci si mostra lontani dalle rive di questo immenso lago. Piccole preziose pietre incastonate in una iperbole di acqua dolce che talvolta diviene convessa altre concava, nella loro staticità sublime ci concedono il concetto di movimento come se il punto fermo dell' intero universo albergasse li di presso per poi far capovolgere l' intero liquido circostante. Aride vasche di pensieri si infilano in una legatoria di sensazioni da congelare così da poter essere portate via al ricordo e da dissotterrare ogni qualvolta si dimentica cos' e' che del bello va custodito gelosamente. Gremite pagine di gioia e pianto, solerzia immensa e generoso canto. Fugge via dal conscio accarezzando con il velo della mano il suo destino, replicandolo in immagine riflessa verso gemme sgocciolate dentro un lago che di colpo si allontana.



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21/08/15

Pindaro.




     Quanta polvere ancora nei polmoni. Quante piccole tracce di una lotta interminabile che si rinnova. Aveva saggiato il tempo come cura ma non e' bastato, perché adesso il passato e' lì, fermo, che riaffiora, e tutto il tempo andato gli presenta il conto. Nauseabondo circolare fra le storie scure ed i ricordi, mentre l' attività primaria di questo momento e' sospesa per far spazio a quella corta traccia di Blues. Almeno pochi istanti, appena degli istanti, per fuggire da tutto quel che serba in una nicchia di trascorso, e che non vuol vedere anche se deve.
Scivoli lunghi delle note perversamente accarezzano, sospendendo il nero di fuliggine che attende fra le righe di un riassunto. Ansima e crede, vedendo degli attimi dispersi, di poter soffiare via tutto quel fumo, ma l' arduo onere si impossessa delle sue volontà fra la densità avversa ed acre di un disegno che si sparge fra le note di un epilogo sognato. Bisbigli e l' interrompersi di un nuovo suono lasciano metri di insindacabile catena al tempo, che come un obbediente cane resta li tentando di ricevere dei complimenti e un po' di cibo.
Serpeggia fra i mattini di cenere quell' afosa insonnia che disperde e che dipana. Fra gli occhi e le fessure albeggia, ed in quegli strani luoghi della vista stanchi, altro fumo misto nebbia si condensa. Creature di cupa rabbia e calori sconosciuti avvolgono fino a saggiarne resistenze e confinati limiti. Nell' orizzonte invisibile si staglia quella palla di luce che riaccenna il giorno, e quasi osserva, scruta, fino a riconoscere quella sua antica vittima nei suoi ricordi e nell' interruzione di un condotto di esistenza che si scioglie. Mistici istanti che come scuri flagellano impedendo di respirare. La soluzione di continuità più non esiste, e nella madida alcova fra le reti ed il fogliame osserva lei, rimasta ferma come se priva di vita in una scossa parabolica fra il sogno e l' incubo esploso di calore che la attende. E' comunque bella, anche se quel volto inespressivo e sofferente le distruggono quella sensualità trovata. Fra i seni ed il tessuto candide gocce di liquidi, gli stessi che sulle tempie le bagnano i capelli in una strana ventola di sensi e di feroci ambigue intensità che mi trasmette.
Il cordame la sospende come il tempo, e al tempo torno pensando nuovamente a quelle note andate via per poi trovarsi in un intrinseca spirale di violette e lucida cera. Nebbia, come pareti e come nera pece, comprime e aggrega, per poi rilasciare l' umido come quando seduto ad osservare una riva lacustre le barche apparivano anche capovolte. Nulla muove e nulla al contempo e' mosso, tutto resta sospeso in quegli attimi di fuliggine che mi cercano e che la cercano creando vortici di sovvenute antiche spire e resti di un passato andato via che da lontano riemerge liquido come un deja-vu in un istante che di concreto non ha nemmeno il tattile senso di un palmo di una mano che accarezza l' acqua dopo essersi chinato e che la inghiotte. Scenografia di un tempo imo, sipario di una musica che come cantilena mi ricorda i passi che dovevano sembrare estesi. La nota di un diapason riassetta il tutto ed in una maschera di oblio, nell' abbandono delle cose sommerse riesco ad elevare quelle sospese e che galleggiano, affidandomi a quella stessa barca che vedevo sottosopra e che adesso posso scorgere nitidamente come andata. Pertanto al risveglio soffro e soffre, pertanto al risveglio io la abbraccio come se nel dolce cammino fatto insieme appaia nuova strada ove la nebbia e' rada e dove la fuliggine sembra essere lontana.


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14/08/15

Un esperimento umano.




          La fronte madida era stanca di quel fazzoletto oramai zuppo. Ad ogni nuovo passaggio come una lamina iniziava a graffiare ed invece di dare sollievo sentiva che quasi lo stesse ferendo. Il caldo di quei giorni era stato così intenso da cuocergli anche la fantasia, al punto tale che appena aveva potuto era scappato via per prendersi un po' di refrigerio, che purtroppo però non aveva trovato. Su quelle colline aveva guadagnato si e no qualche grado di giorno, ma almeno la notte riusciva a chiudere occhio senza arroventarsi e contorcersi su un materasso zuppo di sudore dove il sonno era stato a lungo soltanto un antico ricordo.
Quell' Estate era stata eccessiva in tutte le sue manifestazioni. Più volte egli aveva auspicato che arrivasse la pioggia, ma per almeno due mesi non se ne era sentito nemmeno l' odore. Abominio degli abomini, ci si scioglieva come se i liquidi corporei dovessero perdersi e ritrovarsi ogni giorno di sana pianta. Rinnovava bevendo e mangiando verdure e frutta, mettendo da parte per lunghe settimane la sapiente e mastodontica capacità di alimentarsi con gustosa carne e saporiti pesci.
Non c' era spazio per qualche pietanza che non fosse almeno in parte costituita di altro liquido da poter ingerire. E la birra ed il vino avevano lentamente lasciato il passo all' antico composto chimico che aveva sollazzato la specie umana prima dell' invenzione degli alcoolici: l' H2O.
Che grande invenzione l' acqua! Due particelle di idrogeno unite ad una di ossigeno e la magia e' fatta. Un fresco liquido che oramai non giunge più dalle vette dei monti, ma all' interno di involucri di plastica o di vetro, e che ci da la parvenza di nettare divino grazie solo ad un po' di frigorifero per abbatterne la temperatura. Aveva rivalutato totalmente quello straordinario elisir, tanto da rifiutare, da un certo punto in poi, anche l' assunzione dello stesso mediante le patetiche bottiglie di plastica, preferendo, per frescura e sensazioni, la straordinaria emozione di "tracannare" quell' H2O da bottiglie di vetro quasi congelate che al contatto col palmo della mano che le stava serrando, potevano divenire opache e far sciogliere quell' unica goccia di brina che arrivava fino al pavimento e che stava ben attento a non perdere.
Così come vedeva scorrere quella goccia lungo il dorso del vetro, il refrigerio si diffondeva per qualche istante all' interno della carotide per poi scendere giù, nel recipiente rinchiuso dalla gabbia toracica, e far percepire quel leggero mal di testa dovuto all' eccessivo divario di temperatura fra il suo corpo ed il liquido. Il tutto aveva giusto il tempo di consumarsi che poi, a suonare la carica, era di nuovo la temperatura esterna. Giungeva come un' onda lunga di marea ad avvolgere il substrato corporeo, ed una volta aggredita la cute, si accaniva scontrandosi con i livelli inferiori della pelle, mentre faceva rovesciare di nuovo in una lotta assolutamente impari, quel sacro liquido all' esterno del confine cutaneo, dando altro lavoro a quel fazzoletto pieno zeppo di sale che graffiava ed impediva agli occhi la vista se non nel distinguere nebulose forme.
Era curioso di comprendere quanto di quel liquido assunto si stesse già disperdendo. Se avesse potuto si sarebbe spogliato infilandosi in una bagnarola di quelle per raccogliere i panni che usano le signore quando la lavatrice ha finito. Ne avrebbe controllato il livello e senza dubbio si sarebbe compiaciuto di vedere rinnovarsi così tutti quei liquidi che persi si reintegravano riperdendosi. Un esperimento umano, in un recipiente, dove in realtà il recipiente alla fine diveniva lui.
E in quegli attimi dove il sudore esplodeva nuovamente mettendo il corpo di fronte alla triste realtà di quel caldo, le sue considerazioni inevitabilmente si spostavano su altri concetti, su altre domande. Continuava a ripetersi se quella dispersione e quel reintegro potevano ritenersi valide per il solo corpo, oppure anche per la mente. Tante volte aveva pensato a libri letti in passato dei quali ricordava solo parti, o addirittura soltanto frasi, chissà se quel liquido di mente usciva disperdendosi come il sudore oppure se quello che rimaneva all' interno, trattenuto, si sarebbe utilizzato in una fase successiva come aspetto propedeutico alla crescita.
Aveva cominciato a considerare il suo corpo, ed il conseguente drenaggio della sua cute, soltanto come uno scivolo di flussi inutili ed un filtro entro il quale rimanevano brandite soltanto le cose necessarie. E' così che "Il pozzo e il pendolo" o "Metzengerstein" di Allan Poe, oppure la tematica di Pirandello sul "sentimento del contrario" diveniva acqua fresca trattenuta entro la cute che non l' aveva dispersa; e lo stesso poteva valere anche per "Charles Du Roy" di Maupassant, la battaglia combattuta da Gaio Giulio Cesare ad Alesia nel 52 a.C., i "Manoscritti di Qumran" ed i "Vangeli Gnostici" affrontati e analizzati da Elaine Pagels; ma lo stesso discorso poteva ampliarsi agli scritti di Lao Tzu, come ad un quadro di Caravaggio, che so, "la decapitazione di Oloferne", come all' emozione che gli aveva dato osservare "Amore e Psiche" di Canova, o "La pietà" di Michelangelo.
E lento il movimento di un' acqua trattenuta all' interno soggiogava gli intenti e riabbracciava uno status quo dello stesso individuo verso il quale esso stesso stava prendendo coscienza. Aveva perso pagine ed istantanee di una vita fatta di momenti pigri, ma come il Bolero di Ravel aveva cavalcato i suoi giorni rimanendo assolutamente lucido su ciò che lo aveva rapito e ciò che come il sudore sarebbe andato via svanendo come "lacrime nella pioggia".
Tutta la sua vita, d' un tratto, stava diventando un amalgama di citazioni, dentro le quali ci aveva pescato anche un po' di cinema e di colori pastello, che come in un film di Amos Gitai, per la verità nemmeno bellissimo: "Kippur", aveva cristallizzato il senso di un amore fatto fra la guerra, su un lenzuolo bianco, dove i due interpreti si avviluppavano in esplosione di vernice colorata per poi, raggiunti gli orgasmi, stenderlo e metterlo ad asciugare come un dipinto dei due corpi in movimento.
Sollazzo della mente, per la quale non esistono ferite e laceri passaggi di tessuto. I colpi inferti restano più subdoli ma se ne conosce il prezzo e la vastità soltanto quando attraversati dall' esperienza nel momento in cui ci si presenta il conto. Come un candido colpo di stiletto bruciano, e quello stesso liquido che prima ci lasciava ricordandoci del caldo adesso ci rinfresca, pensando ad un estetico traguardo abbandonato su di un ciglio di una strada mentre quel foraggio per la mente scorre giungendo ad un libro tutto suo. Cardini come le note di un "Cigno" ansimante ed ormai giunto alla fine e Tchaikovsky prepotentemente appare, appoggiandosi a quell' Eugenio Onegin di Puskin, di cui proprio quest' oggi ammiravo in un quadro un duello, e tornando di corsa a quel "Cigno" che riaffiora morente fra le note di un gruppo che un' amica mi ha fatto ascoltare e la scena finale di "Warriors - I Guerrieri della notte", dove invece, simbolicamente lo stesso cigno, "Swan", risorge, uscendo da una notte dove tutta una città ha provato ad ucciderlo. Bizzarri destini di una mente il cui sudore disperso e' solo nettare raccolto nella bacinella di una signora che ha appena steso i suoi panni...un esperimento umano.


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08/08/15

Santiago.




       L' alba di un giorno normale, dove un sacco a pelo, un paio di scarpe e tanta voglia di andare via da me stesso, mi accompagnano lungo il crinale di una Estate che ha fiaccato lo spirito più che il mio corpo. Vagare negli ambienti saturi di questo asfissiante nulla, quasi mi soffoca, così come perdersi per interminabili serate umide alla ricerca di un refrigerio scomparso e di una consolazione che mi ritrova dopo essermi smarrito così a lungo. I dettagli di una visita agli antipodi di ciò che voglio restano impassibili e muti sulla soglia di un pensiero avvolto dalle strane forme, mentre una luce accende e vola via ricordandomi che la vita e' soprattutto altro, e non quella che resta rinchiusa nelle sagome dei sorrisi ad hoc e dei frammenti di poesia spezzati.
Evolvere! Soltanto e ancora una parola densa di un significato che ai più sfugge. Mi sto appiattendo lentamente sulla melmosa mediocrità di un caldo infame, e con esso sto raccogliendo tutte le macerie madide di vite inconcludenti, che ordinatamente in fila, io confesso, l' una dopo l' altra, neanche fossi il mentore di delusioni e fallimenti. Divarico le braccia in movimenti farraginosi, tentando di associare a quell' aperto tentativo di libertà quell' indole recondita che frana lentamente fra le volontà che si spengono ed il metodo, la scienza della ribellione nell' involucro di un corpo che desidera che arrivi il gelo.
Catene di polveri microscopiche avvolte da un concetto di massa vanno aggregandosi, così com' io che esplodo rabbia e schiuma, da un affannoso e sofferente corpo mi allontano, per poi tornare nello spazio di un respiro ad ascoltare sensazioni in me che sono ossigeno per le mie membra. Intanto la ferita lacera scivola via come una soluzione che si perde, e dentro gli occhi di un bambino scruto la sorpresa e quell' attenta paura che fu mia. Sollevandomi da questo stallo ipnotico dimeno il cuore ed il mio spirito rifiorisce ad anni luce da questa realtà. Diverso il luogo e diverso anche il tempo, sorge in altre parti ed obbedisce ad altre regole che furono recondite e di rispetto costruite. Nella facilità un incontro, e nella naturale bellezza la riconoscenza a questo dono ricevuto. Agli occhi miei che provano a sollevarsi per osservare altrove, agli impeti involuti delle atrofizzate parti di un tempo troppo spesso usato male. Comprimo ancora come se quel tatto che un tempo avevo adesso fosse inutile e deleterio. Sento che e' il tempo di vomitarmi addosso tutte quelle razionalità estinte che mi albergano dentro e' giunto. E pazienza se chi crede di comprendere in realtà non ha compreso, passi anche il fatto che una vita ha specchi per distorcere qualunque cosa che ci si ostina a non voler vedere. Come tanti satelliti ripetono ed archiviano dati di un mondo che osservato da lontano sembra un cosmo indefinito. Così e' la vita, e chi ha la presunzione di controllarla dovrebbe in realtà comprendere che e' nella Natura il non poterla governare. Per quanto si guardi, si scruti, si spii, se non si passa da un adeguato concetto di se stessi si rischiano rovinose cadute entro il nostro ego, e quel rotolare in fondo rischia di divenire consuetudine cui ci si abitua. Non voglio, scivolare e fare scivolare altri con me. Non sogno, perché i miei occhi aperti danno già tutto per poter riempire la mia vita di bellezza. Non credo, perché lo spirito si nutre di una stessa linfa che e' comune a tutti, e la differenza resta sola nel saper attingere per poi vedere tutto un pò più chiaro. Via da questa Estate malvagia, e questo umido che e' di mediocri anime. Spazio nuovo alla curiosità fragrante di una mattina invernale, dove le sonde ed i satelliti nulla possono oltre le perturbazioni, e il mondo intero ha il tempo e l' onestà per ricreare la sua storia in mille altre, ricucendo quella lacera ferita che il buon tempo porta via sognando di curarla ancora con il gelo e con l' aurora. Buon viaggio amico mio, evolvi, a prescindere dagli altri!


Roberto De Sanctis - All Rights Reserved







30/07/15

Tracce nel tempo.




          Quiete regalata dalle placide montagne dell' Appennino, dove le giornate sono tutte uguali eppure tutte molto diverse agli occhi di chi le sa scrutare. Ore che passano cambiando la luce, mentre le stagioni, come la nota intonata di un diapason scoccano e segnano il tempo attraverso i colori della vegetazione, quando non c' e' la neve a rendere tutto in tono col cielo in uno straordinario equilibrio cromatico di pace e contemplazione. L' idea di un cielo così vicino da guardare, mentre la strada in salita diviene metafora.
 Perdersi con gli occhi fra i boschi, le radure ed i prati. Le pendici del Terminillo sono lì, come i Monti della Laga, e più lontano il Gran Sasso d' Italia. Un promontorio sull' alta valle del Velino, dove i rigagnoli che piovono dalle vette vanno ad incontrarsi per aggregare le fredde acque del fiume.
Nulla di quel che si vede riporta al caos, niente. La laconica calma di questi spazi sollevano al ripetersi armonico delle stesse operazioni di una quotidianità ripetuta. Quasi ci si può perdere in questo disco interrotto del tempo, del quale si trova la traccia ma non se ne apprezza spesso l' esclusivo pregio.
Come uno scrigno ed una musica di un carillon che suona, mentre le nuvole mosse dal vento passeggiano via. Supino su un prato le osservo, d' un tratto l' orizzonte dei monti delimita il confine come fossi su un dondolo che mi rilassa.
Le ricchezze terrene e ciò che si e' perso, vera bilancia di un patrimonio tangibile ed intangibile. Il bene più grande alberga nelle radici, nella famiglia, nelle amicizie. Un' infanzia ed un condividere che sa di ancestrale, come ancestrale e' la storia recondita di queste valli, di questa terra, dove nei tempi oscuri lanterne illuminavano stazioni di posta per viandanti e cavalieri. Ricoveri per cavalli e dispacci da consegnare si mescolavano a feroci contese, a violente battaglie, prima per gli angioini, poi contro gli aragonesi, fino a giungere nel giovane '500 sotto l' egida di S.A.R. Margherita d' Austria.
Nell' ala buia del tempo gli insegnamenti degli amanuensi si sono conservati grazie ai conventi ed agli eremi, diffusi nella zona come tanti alveari di sapere nascosti. Patrimonio storico e didattico, ma anche culla di esperienze terrene e rapporto vincolante con le terre alte di questi monti della catena degli Appennini fra Lazio ed Abruzzo.
Candida rugiada al risvegliarsi del giorno nelle mattine invernali, così come esempio di aggregazione e ritrovo nelle lunghe serate estive alla luce di un fuoco. L' aurora segna il confine fra la nera notte ed il risveglio dei contadini, mentre come fauni nei boschi, ed elfi, e ninfe, brulicano fra la boscaglia e i ruscelli tutte quelle creature che di queste montagne sono i veri padroni.
La bellezza e' nelle cose semplici, i dettami di una cultura passano da canoni ed usi che si ripetono da secoli in consuetudini quasi ossessive, mentre in un tratto di fredda corrente anche il vento festeggia l' esistenza di un agnello che nasce e di un cardo montano reciso per svegliare di nuovo un amore.
Masserie e abitazioni, cumignoli e fumo. Un buon bicchiere di vino accompagna la tavola, dove i commensali sorridono e cantano. Al cospetto di tanta "familia", un' anziana signora che tiene il nipote fra le sue braccia e' il simbolo di un passaggio del testimone che si rinnova nel medesimo sangue che continua a pulsare.
La osservo, e nei suoi occhi racchiude il senso di tutta una vita attraversata in punta di piedi.


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