27/05/15

La nuova via.




          Finalmente libero! Andate via indecenti inconsistenze, tentennamenti frigidi e volontà sopite, proprio in un giorno dove una pioggia costante ha accompagnato il mio tempo, da un punto del cielo osservo uno scampolo di nuova luce che rischiara. Luminosa e sola squarcia la volta di quell' immenso soffitto e allontana nubi cariche di elettricità che si propaga. Piccole risacche di un umore sgonfio, dal quale si dissemina energia dispersa invano per cucire nuovamente quell' involucro di voglie deliziose.
Torna la sintesi di quell' essenza persa. Oltre lo sguardo il cuore pulsa e quella direzione opaca si fa strada in altre nuvole dissolte che si smacchiano. Torna nitido il percorso che riaffiora in breve. Getto gli occhiali e non ho più bisogno di sgranare gli occhi per mirare esattamente quel che cerco. Vele gonfie di una brezza nuova strambano scintille di concreto, che come lapislazzuli caduti sul terreno esplodono macerie di cristalli ed onde. Vertici fradici per la pioggia caduta ora si asciugano, ed il pensiero di una forma già smontata scaccia via le tele in strada come fossero dei recipienti di colore in una caotica kazbah.
Avvitate congetture schizzano via lontane senza pensiero alcuno che non sia reale. Ancora loro e quegli orribili fili tesi, tenute in piedi su quei volti, e su quei volti elettriche e saldate. Altro che maschere, ancora maschere, fatte di cera sciolta e di una crema muffa, mescola di paraffina e spersonalizzante liquido di ciò che si dev' essere. Ed e' un parapendio lanciato al vento che si sgancia, mentre tutto quel filo di recupero si avvolge intorno all' unico timone che può dare direzione.
Allegro e saltellante ingoia tutto il suo timore per quell' ennesimo loop, precipitando ascolta e pensa, quando poteva farlo già da prima, e quello che raccoglie e' per la verità un pallone sgonfio che si affloscia per la sua velocità sconsiderata. Ricche risate e musiche nuove, preludio ad un sollazzo ed alla danza. Scivola via tristezza come olio, e dentro l' olio frigge ancora, rumoreggiando come scrocchio e tuoni insieme. Prende il volo in un velato avvolgersi e guarda per la prima volta nei suoi occhi. E in lei si perde, sperando, temendo di non ritrovarsi più. Quel lento movimento che concilia e che già serra gli regala vento che da tempo e' sconosciuto. Come perla messa in fila, ad altre perle scaglia, per rompere il suo guscio e la conchiglia. Io ringrazio te che ancora non lo sai di quanto mi permetti. Tenebre crucciate e continui cambi delle idee solfeggiano come un' orchestra dove tutti gli strumenti ora si abbracciano. Contrabbassi che suonano le viole, trombe, il maestro e il pianoforte, ci sono oboe, corno e cornamusa, per poi posare gli occhi su tutti gli altri fiati e la grancassa. Concerto di novità e quel quaderno nuovo cui donare il titolo. Pentagrammi e linee dove note si disseminano piano. Coriandoli festosi e un pò da bere, a suggellare quel nuovo confine che si passa fra le cose andate e l' umano divenire. Altra pagina di quello che sarà, al cospetto di una frase chiusa che si lascia andare via nemmeno scritta, mentr' io mi voglio perdere nel vento del tuo cuore come se dolce limitasse un pendio ripido fra tutto il calore che posso ed il sollievo che mi dai. Scivola via, come quel fuoco fatuo che si spegne, butta via brace e getta l' acqua sulle ceneri, questo nuovo suono che sa di boscaglia fitta già piace e fra gli incontri di rami e sulla macchia bassa si ritrova in un sentiero pronto per portarci ancora in vivida realtà che fugge idiote maschere e finalità seconde mai ottenute.

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La vittoria di Pirro.




          Candide voci lontane raccontano un destino dove afflitti corpi sospesi vagano in un oblio inconcludente e senza meta alcuna. Vanesi tormenti e soddisfazioni estirpate dagli angoli più sporchi della cute vengono vissuti come trionfi ed abomini di superflue intensità emotive.
Sono orribili repliche di se stessi in un istante di respiro che ha salvato corpi prossimi al soffocamento. Gettano via a migliaia, e vedo maschere cadere, di minimi che sindacalmente assistono al grido spezzato di una preda sfuggita di un nulla al suo ovvio destino.
Acredini sono messe da parte mentre i violini stridono le loro note su corde spezzate lungo il terreno di una chiesa mossa. Sgominata da quelle bande di ladri vestiti da maggiordomi più nulla possono dentro questa vittoria di Pirro mentre in loro adesso vedo tenerezza più che pietà.
Lo sanno loro, e lo sai anche tu che assisti inesorabilmente al tuo tramonto ed al tramonto della tua menzognera storia. Il tracciato di un domani illumina già da tempo la strada di altri, rimarcando nelle tue bombole di gas finite l' eco di una falsa gioia e di un circense inoperoso impeto. Vedo coordinare ad hoc villane esaltazioni al cospetto di una promessa durata una vita, di avere tutto e poi di non avere nulla. Rimangono lì, come inebetiti automi, a rimbalzare su quel tartan mentre di fronte la sontuosa immagine romana ha avuto gloria e lustro già al principio.
Cardini divellono di una pressione insostenibile. Agitano e viscidi da contraltare fungono ad un unico vessillo che racchiude millenarie sorti. Verità contro menzogna, atonia verso rumore becero. Sapienti mani passano e le nuove costrizioni albergano nel cedimento degli analoghi documenti dello stesso archivio.
Sottile e raffinato e' il gusto di una lettura sublime che ci racconta di un capanno "pippa nera" nella zona che non aspetti. Appare severo ed in termini di dileggio ma con pirandelliano sentimento del contrario affiora duro ed esaltante il vezzo di sapervi inclini a ricercare in noi tutto ciò che non e' mai esistito quando dell' altrui cammino non vi fosse traccia.
Quel coordinato inelegante poi e quell' abbracciarsi come se fosse un gesto di commiato. Vedere lembi di tessuto indosso in cui noiosi temi affiorano colpevolmente citando altri di essere gli artefici della vostra noia. Gaudio in tutto ciò, mentre le note del mio Inno e del fatto che io resto, danno contezza di quanto poco sia l' avervi in fronte.
Al cospetto di una dignità che accelera l' amore, siete voi, che fermi assorbite navigando nelle mediocri pareti di una stalla messa li da parte. Briganti al soldo delle vecchie sfere, aedi falsi di virali storiche bugie, son tutti lì per salutare ancora questa nuova decadente gioia per il nulla, che si aggiunge all' ennesima dimostrazione di quanto piccolo e volgare sia il mondo che vi dona l' esistenza.
Carenza di sospetti e celeri passaggi di vernice assicurano ancora quel poco che riuscite a dilaniarvi in un conflitto di superstite emersione. E a chi non teme, e a coloro che sono in grado di osservare la verità negli occhi senza riverenza, disciplinatamente comunico che le aspettative non sono evanescenti, e che ciò che ci distingue e' questa nuova consapevolezza che stiamo andando a prenderci. Con buona pace di chi del suo conflitto agli altri ha fatto prova di tangibile violenta ipocrisia, serenamente i miei colori arrivano in un cielo terso dove non esiste spazio per la grama vita di un insetto. E con la sobrietà di chi vi vuole in vita per assistere al flagello di una inerzia prolungata dentro un alveo di infima bugia, rallegrandomi del mio guardarvi sorridente vi ricordo che risale a due anni or sono l' era di un nuovo futuro che vi nega l' avvenire. Da quell' esatto istante ciò che credevate fallimento ha dato il la all' inizio della lenta sofferenza che vi guiderà verso la sfera degli estinti. Buona camminata in questo purgatorio di follia che vi appartiene.

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25/05/15

Come corde, come liane.




          L' edera risale quella parete e vi si lega come fossero legate l' una all' altra. Foglie lucide fitte come un alveare a comporre questo mosaico verde che ridipinge e dona vita a pietra e tufo fermi lì da anni. Al soffio del vento risponde un dondolio leggero che come in un valzer su una piazza agita le foglie nella stessa direzione. Il rampicante dolcemente coccola e nell' abbellire finemente ridisegna, così come fa il tempo con le sue fasi ad aggiustare cose che credeva fossero distrutte e andate via per sempre. Quel verde cui la pioggia della stagione invernale ha dato rigoglioso impeto, adesso appare meraviglia e la scalata delle punte resta in attesa degli eventi e delle nuove fronde da appoggiare. Una finestra chiude e taglia la sua strada, che aggirando risolleva verso l' alto il sogno di un bagliore intenso e nuova luce fino al tetto.
Quello e'! E staglia all' orizzonte quel calore perso da un tramonto che scollina, mentre una foglia nuova mi accarezza come fosse stata sempre e divenuta mai. Spirali ed altalene, sulle quali quel bambino oscilla come fosse ancora in tempo per non crescere mai più. Fissa col suo movimento il ricordo di un' età oramai fuggita e nella stessa danza rifocilla il suo sorriso guardandolo dagli occhi suoi lontani.
Tramutato il corpo, mai ciò fu per l' anima. Come quell' edera continua la ricerca di quel sole caldo, come le foglie poste al vento dondola celando ai più la strada che ha percorso per raggiungere la cima. E altra finestra segue, dopo che la prima ha deviato il percorso per un tratto cambiando le valutazioni di un evento già accaduto. Come corde, come liane, sfrutta e serra, crogiolandosi dentro una strada nuova e differente, dalla quale gli orizzonti mutano e le cose appaiono diverse ancora. Come in un tempo andato via sento oscillare ancora quello sguardo di bambino e nell' immagine di un' altalena vuota stringo il mio ricordo per sentirlo vivido ed ancora più presente. Torna la scena, e un alito di vento dona al tutto anche altro movimento. Foraggio di un nutrito gruppo di pensieri, dove il coraggio implode e nuova linfa scema, per poi concedere all' eternità solo un istante nel quale verso tutto ciò che sono.
Andarsene in silenzio fino al suono. Scrollarsi il tempo su quell' altalena dondolando come foglie. Questo il segreto per giungere dentro quell' alveo di anima statica nel sempre. Sigilla e ceralacca timbra, al fuoco testimone scioglie, e l' edera sembra danzare ancora come fosse ora felice. Rami di storie apparenti, steli di pietra e rampicanti. In una storia cupa di denso andare via rimane tutto, mentre quel cuore attento dal terreno si propaga col calore e la natura di un' ovvia rinascita. Archi di liquido e frecce usurate di terreno incontra la parabola di un verde lucido rimasto fermo ed attaccato. Il movimento invece simula la morte apparente nascondendo fra i legni e fra le pietre nuova vita e sentimento. Arde in una fase REM la storia di tutto ciò che era, bollendo il suo trascorso, fra quegli attimi che annunciano il risveglio. Cela dentro nubi incandescenti il suo solstizio. Rinnova una stagione e piega vecchie foglie che coperte se ne vanno via per dare spazio a candide pressioni e nuove idee di tatto cui pian piano si abbandona.

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21/05/15

C' est la vie.




       Condonate le colpe di un inseguimento folle convogliato in una presa di coscienza che non porta a niente, ora mi libero. Frenesia di vetro e soglie oltrepassate restano vittima di una età che inchioda pretese oscene e ipocrisia nascosta. Altre maschere ed assoluto desiderio di nutrirsi di un nulla astratto tanto per, vagano su volti scambiati e resi icona dopo il fallimento della scena e la chiusura del sipario. Gioco, altro che gioco, quando la mano fra le cosce già saliva. E un cuore inquieto pulsa ancora per quel desiderio che va via. Sorrisi e timida soddisfazione mentre la mano stringe la sua tetta e serra a se la schiena, ma Venezia e il carnevale son finiti e grandi secchi di immondizia accolgono quegli abiti che stan cadendo lisi come fossero bagnati dalla melma.
Serpi si allontanano fra dilettanti notti e sudiciume stanco, ciò che si e' diffuso in aria e nel corpo sono solo immagini di un concetto marginale ed appena elaborato. Un gorgoglio di becere passioni salpano per mari lontani e nuovi lidi dove accedere soltanto nei momenti di marea. Violata chiarezza e coerenza violentata, in silenzi appena un po' di rumore e nel rumore caos per stuzzicare ed invogliare al nulla. Aria, altro che aria, ed una strana lusinga per il suo interesse madido, si prestano all' abbandono mentre coerenze nuove iniziano a ricostruirsi alacremente. Cleptomania di sogni e di sventura, a te la scelta e a te la guida della giostra, consumando pure il bordo del confine ed asciugando con sapienti menzogne ricavati e angoli disposti. Frodo e mescola di ignobili sentieri, linee guida per la fine ed il tramonto, greggi e un' altra pecora soltanto che si mette in fila mentre bela in modo raffinato. Ostruisce la vena di passioni ed insabbia il falò che fiammeggiava, servo di un costume squallido e che disintegrando si rifiuta di ascoltare. A questo gioco non si dura se non si e' già preparati ai livelli più infimi della bugia, ascoltano per mal interpretare e gridano quando si può solo toccare. Gran bel culo! Ed anche il collo piace, ma dentro scoppiano malsane le abitudini più stupide, e allora ciao, arrivederci a un altro tempo, dove la crema di una coppia impera, dove lo sconto all' ironia non serve e l' occhio osserva non mentendo mai. Balle, fieno ovunque, e qualche termine importante. In mezzo tanta noia e la ricerca di un qualcosa che se trovato toglierebbe il gusto. Sterza il volante di una fantasia, decimata da un corpo che pur appartenendo ad altri a volte si rigenera in parole vuote. Qual' e' il bisogno, la necessità di dirsi forse se si può semplicemente dire no. Valvole di sfogo e le pressioni sue che si rilasciano, come un palloncino gonfiato che ringrazia per alleggerirlo. Non ero lì a raccogliere da terra ma a prendere, l' elemosina di false identità mi scioglie al sole come ghiaccio sporco di limone. Aspra verità di un acido collante appiccicoso, scoperta ed immediato inserimento dentro un novero di triste finta libertà. Sciogliere nodi occorre, e' fondamentale, soprattutto per chi la sua cecità l' avvelena giorno dopo giorno di cazzate e desideri che rimangono inespressi. Penso tanto a quella collezione di facce che ho percorso in tutta la mia vita, ho già vissuto molto anche se sono ancora pronto al resto, ma proprio perché tutto e' già passato, ho già voluto, avuto e poi dimenticato. Bon voyage francesina dalle sode natiche suadenti.

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20/05/15

La compassione.




       Lessi le ultime righe di quel libro con un umore sadico. Mi sembrava parlassero di me e nell' epilogo mi preoccupai di rendermene distante almeno un pò. Mi ero sempre calato nelle mie letture isolandomi dalla realtà, pertanto era abbastanza consueto che mi sentissi spesso toccato intimamente dalle parole dei vari autori che avevo deciso di leggere, ma stavolta era successo qualcosa, e quel libro, sebbene fosse ambientato alla fine del tredicesimo secolo, mi aveva dato l' impressione che a vivere quella vita fossi stato proprio io. Ho sempre avuto una posizione piuttosto ambigua sulla reincarnazione. Da buon cristiano avevo subito un retaggio culturale che mi spingeva a massimizzare le mie riflessioni spirituali spalmandole nella vita e dovendone trarre beneficio nel lasso di tempo intercorso fra la nascita cerebrale e lo spegnimento delle velleità della mia mente. Il resto era lasciato al caso, a quel fato che usiamo chiamare Dio o destino, ma questo fatto della rinascita possibile, della vita nei cieli, mi aveva sempre convinto poco, anche perché facevo spesso i conti con dei deja-vu che mi facevano pensare che alcune cose io le avessi davvero già vissute in altri tempi. Quella volta era successo lo stesso.
In quelle righe anche l' odore della carta era diverso, sembrava come fosse impolverata. Un sapore antico permeava la lettura, mentre avevo smesso i miei vestiti per indossare un saio da frate ed una corda. Vagavo scalzo per dei luoghi al centro di Enotria, fuggendo da una consapevolezza e rimediando ogni tanto qualcosa da mangiare. Delle volte lo avevo anche rubato, e sebbene io sembrassi un frate non dovevo esserlo. Nel libro il vino aveva un sapore molto diverso, e l' acqua dei ruscelli dove mi chinavo per bere era molto più buona. Osservavo le piante e pensavo a grandi possibilità, intorno la vita non era molto diffusa, quella umana intendo, e a parte qualche stalla e qualche cavaliere incontrato di rado, avevo attraversato rigogliosi campi dove intere famiglie erano intente alla raccolta, ma nella gran parte del tempo soltanto la natura era esplosa, e rimanevo li a guardare quella sublime scena che come un dipinto mi si affacciava agli occhi.
L' Inverno era trascorso e non ne ricordavo alcuna traccia, accarezzavo i germogli al fianco dei sentieri che percorrevo, smettendo di apprezzarli solo il tempo in cui mi discostavo ricacciandomi nella radura o nei boschi quando si avvicinavano estranei viandanti o quando sentivo giungere cavalli. Mi ero spesso fermato a riflettere, ed in quei momenti i miei occhi filtravano i rami degli alberi fissandoci il cielo attraverso, per qualche istante la mia realtà tornava ed a sua volta mi sembrava essa stessa un deja-vu su quello che stavo vivendo in quella lettura.
Come corde di cappi i rami di un salice piangente rigoglioso piovevano tutto intorno. La mia schiena poggiata sul tronco beneficiava di tutta quell' ombra ed avevo acqua a sufficienza, ma i morsi della fame si erano fatti sentire già da tempo. Fu in quel momento che, preso dai rumori dello stomaco, osservai quell' albero in fondo alla scarpata. Quelle sfere perfette, luminose, mi rapivano, interrompendo l' ordine delle gradazioni di verde che quel palco sotto il salice mi aveva offerto. Scostatomi dal fusto e da quell' ombra, curiosamente avevo cominciato a scendere per raggiungere quei dolci frutti. Scorsi una strada aperta, dove l' erba calpestata dal passaggio dei cavalli aveva iniziato a seccarsi. Avevo premura di non fare rumore al passaggio, e per la verità, anche se non avrei dovuto interessarmene lo consideravo necessario. E ci riuscii, silenziosamente scalzo mi avvicinavo verso la mia preda. Sarà stato il sesto senso a farmi riconsiderare ancora una volta che una freccia scagliata può uccidere, fatto sta che mi voltai ed a sinistra si stanziava un brigante vestito di tutto punto. Lo guardavo e per pochi istanti lui fece lo stesso, poi corse verso di me ed io per riflesso cominciai a fuggire nella direzione opposta. Percorsi una ventina di metri e le urla del brigante da feroci si interruppero immediatamente. Voltandomi una nuova volta io lo persi, allora camminai perché sentivo i suoi lamenti. Mi affacciai in una parte di campo dove il fieno sembrava interrotto. Effettivamente una buca di erba faceva da alcova al suo corpo supino. Aveva la testa sfondata e perdeva del sangue, mentre guardandomi appena prima di morire per la gravità della ferita sembrava volermi dire qualcosa anche se rimaneva muto. Degli scatti gli facevano muovere la testa e la bocca senza che il suo volto perdesse l' espressione terrorizzata. Era assolutamente consapevole del fatto che stesse morendo, ed agonizzante ai miei piedi proseguiva questo flusso di movimenti intermittenti. Cercavo di comprendere come fosse potuto succedere mentre il terreno si inondava del suo sangue. Vidi una pietra e due persone che salivano verso di me da quella pianta dai sui frutti ambiti. Io li guardai, poi guardai lui. Domandai loro: "perché lo avete fatto..." e loro mi risposero in una lingua incomprensibile, fatta di primordi e antichi suoni. Tornai alla mia carta ed al profumo, ai miei vestiti ed alle sensazioni tattili, fra le mie mani ritrovai quel libro e quelle righe. Buttando l' ultimo sguardo a tutte le pagine già sfogliate compresi che la storia del brigante era la mia, com' ero io quel frate scalzo. Avevo attraversato il tempo per rinascere in un altro e morirvi ritrovandovi quel senso di giustizia oramai perso che porta un individuo a tentare di difendere Caino.

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17/05/15

Tutti, e tutto, per la Lazio.




       Questa stagione ci consegna un patrimonio ENORME, indipendentemente da come la Lega, la Federazione ed i loro maggiordomi hanno deciso che debba finire questo campionato.
Siamo all' alba di una comunione di intenti MAI rinvenuta nella nostra STORIA; si e' creata un' alchimia che non fu possibile nemmeno in quel lungo Inverno del 1974.
Essa nutre la LAZIO ed i suoi Giocatori, ma anche tutti gli altri Tesserati ed i tifosi. Siamo tutti testimoni, con modalità e partecipazione diverse, di un tempo in cui viene foraggiata una passione nuova, molto differente da quelle vissute in precedenza.
Oggi la Lazio non e' una pianta che cresce, che riceve beneficio da un trofeo vinto o da un obiettivo centrato. Quello cui stiamo assistendo quest' anno e' un periodo di EVOLUZIONE, il trait d' union fra un affetto fatto di componenti ben distinte, ed un altro AFFETTO, nuovo, dove tutte queste componenti sono state convogliate insieme, ed ora muta.
Dicevo... la differenza sta nel fatto che oggi la Lazio non e' più una pianta che cresce, ma e' effettivamente l' ultima pianta rimasta che viene accudita perché si possa diffondere di nuovo per non estinguersi e perdere per sempre.
Siamo nel momento in cui un nuovo germoglio si e' affacciato alla vita. Nuova acqua purissima sgorga dalla fonte di un fiume per nutrirla. Esiste la CONSAPEVOLEZZA che ce l' abbiamo fatta, ma al contempo permane quella voglia di accudire e di sorreggere, che si accompagna alla paura ed alla conseguente determinazione nel volerla proteggere.
Fino a questo tempo nuovo la Lazio era una spugna, essa assorbiva rilasciando lentamente tutte le negatività che chi non la comprende adora riversarle contro. Come una fisarmonica alternava picchi elevatissimi di intensità positive per poi picchiare come aquila in un baratro di avversità terribili. Al suo andamento rispondevamo noi tifosi che, complici le esperienze già trascorse, tracciate come DNA acquisito, potevamo conservare razionalità raschiate in momenti di giubilo e serrare denti ed impettirci in quelli di disperazione.
Oggi questa FORZA ci appartiene. E' propria come una caratteristica indelebile.
La nuova Lazio e' una parete di CEMENTO che sta evolvendo ACCIAIO, ricaccia indietro qualunque cosa alcuno tenti di scagliarle addosso. Lo fa oltretutto in maniera più potente e sadica, come se avesse conservato in se tutto l' orgoglio chiuso dai primordi dentro la sua storia.
Questa stagione ci consegna un patrimonio ENORME, indipendentemente dal campo , dagli spalti o dallo stesso Calcio inteso come SPORT.
Quello che sta mutando e' la consapevolezza che la CITTA' di Roma ha della Lazio. Si sta lentamente svestendo delle vecchie abitudini rancorose per quel NO del 1927 e, come nodi che stanno giungendo al pettine, adesso riaffiora l' importanza del MESSAGGIO Lazio, scientemente sommerso da chi dal suo celarlo aveva chissà quale interesse.
Tutto intorno e' un crollare di false certezze. Cadono a terra antiche maschere dietro alle quali laidi visi e fameliche bocche nascondevano bramosie di potere e desideri di rivalsa. Ad essere colpite sono via via anche le taglienti lingue che, come pesci ormai pescati si dibattono sul bagnasciuga giusto il tempo necessario per slamarli.
E' un' orchestra quel che vedo, e finalmente ci si rende conto di quale testimonianza di PUREZZA sia la nostra storia. Dentro gli ultimi attacchi vedo forge e liquidi bollenti per lo stesso ferro di carpenteria che ha legato la gettata dal suo inizio. Non esiste più nulla da combattere o da contrastare perché la Lazio e' ALTRO, e questo tassello ultimo che si sta componendo e' sancito anche dal cambio dei nemici.
Arriveranno feroci gli ultimi colpi di chi non vuole questo, ma e' un processo inesorabile la diffusione di questo virus chiamato LIBERTA'. Esso ha scelto i panni di una Lazio INTENSA sotto i colpi della quale le certezze fragili di una menzogna perpetrata adesso crollano come le polveri e tutte le macerie dalle frane.
Non e' nemmeno un caso se la fatalità abbia scelto questi interpreti per donargli l' indumento più solenne. In questa lunga storia sono molte le persone che ancora amano raccontare. Testimonianze oculari o tramandate, sguardi come documenti e ritagli di giornale. Ma un' evidente MEMORIA collettiva porta a quel tessuto, che ha sancito una volta ancora la ratifica della nostra ESISTENZA.
No, non e' un caso che quella MAGLIA ci voglia testimoni di una VITA nuova della Lazio. Un lembo di tessuto che attraversa il tempo e culla dentro se una storia ed altre mille. Quell' aquila sul cuore che ho fastidio anche solo di sentir chiamare la maglia bandiera.
Maglia bandiera forse per la società o per chi la deve vendere, ma lì ci sono IO, e i siamo tutti NOI.
Quale maglia bandiera, un' altra prova ancora se dubbio ce ne fosse, di quello che la Lazio e' stata e che sarà. Forse il volo di un' aquila o di tutte, o l' incontro fra il cielo e le alte vette. Attraversa il tempo e anche lo spazio per poi tornare a Roma, casa SUA.
Questa stagione ci consegna un patrimonio ENORME, indipendentemente dagli sbagli fatti. La grande possibilità e quella coscienza oltre al sapere dove si può riparare. Questo GERMOGLIO ha il sole a verso e l' acqua più pura di tutte. Facciamo in modo di non lasciarlo sfiorire con la noncuranza, che comunque non e' propria delle nostre cose. A Roma, la sua Lazio sta tornando, e questa grande novità non ci farà tremare, perché da sempre, a Roma tutto ciò che e' nuovo ci appartiene.

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14/05/15

Scatenato.




        Effimero trionfo e crudele graffio di un artiglio, pronti al risveglio come da una nube usciti e non da una tranquilla notte. Aride ripercussioni su un complesso stato emotivo che ricorda a malapena il sogno dandogli sembianze di un remoto sfumato. Camere iperbariche dove bombardo i miei malesseri di energia nuova, panacea di un male che stordisce e frammenta in modo tenue la sagoma di un corpo ormai provato dalle voglie asciutte. Come onde di marea ed inchiostro scivolato corre, dondolando lentamente fra propositi ed iniziative mentre statici ritorni affiorano su un bagnasciuga appena ritoccato.
Pronto a raccogliere l' inedia e a mescolarci il senso, spiegandomi il perché di tante cose. Tutto in un sogno, od incubo se e' il caso, che soffice mi e' giunto inconscio e andato via lasciandomi un macigno in pegno. Perché cercare di comprendere? Perché cercare di capire? Riaffiorano silenzi e deduzioni di un velato trascorso denso di nuvole e fraintendimenti tonici. Algida notte dopo quelle afose ore ci accompagna sollevandoci da quell' idea bramata tanto. A sfuggire e' sempre il merito a quella pressione, corre livido lontano verso un bianco e nero cupo, ma sollevandosi col vento inala nuove rapide di pioggia fresca e l' abbandono prende corpo nel dolore di una solida mentita spoglia.
Reclamo una vita vera, e l' apparenza cade come maschera di ceralacca, forse un timbro di una fedeltà sopita cullata da uno spirito di madida bugia. Ho abbandonato da tempo immemore la crosta di una sagoma, anche nel sogno il confine e' andato via. Lievita l' anima sfumandosi nel cielo cupo e un' esplosione ricca di nuove fantasie impossessa e desiderio crea. A battere come un tamburo e' il cuore, per poi tornare piatto nelle celle di un controllo cronico, disaffezione e mescola selvaggia delle varie forme di voluttà che mi percorrono, mentre silente e rassegnato ancora ascolta nuovi termini di vuoto clima.
Questo e' ciò che vedo! Forma, altro che forma, razionale e vagamente raffinata. Aggiustata nei termini e finanche nella ricerca di un forbito abito. Ma quella maschera rimane, e il non voler vedere lì permane. Il controllo e' solo un tiepido convincimento, la razionalità abbandona come lago placido lo spazio a quell' istinto vivido che scuote come rapide e cascate levigando i monti e le pulsioni. Lucchetti fanciulleschi inchiodano col fiume testimone, ma quello che attraversa e' incontrollabile e metallo spezza fino a scatenarsi e a divenire pietra che ferisce. L' unico obbligo e' quasi un' ovvietà: guardare dentro. Capirne la struttura e poi tentare di aggredirlo. Come una vela avvolta sopra il mare immerge e bagna, come una nuvola sopra una vetta la attraversa e segna, vascoli di strade e flussi in una notte avvolge, porfido e granito gela anche se il sole sorge. Assoggettati ad un volere sovrano ci liberiamo solo nel momento in cui ci dicono che ciò e' possibile. Lo sdoganamento e la vera libertà e' nell' abbandonarsi spezzando le catene dell' intelletto, quando anche il fruscio più misero di una Natura pronta ad esplodere ci rende parte di lei prescindendo da quello che siamo. Solo allora i dogmi ristretti di un pensiero misero sono anche consapevoli, e solo allora ci rendiamo conto di quanto sia labile la traccia che si lascia in questa vita per quanto l' intelletto possa fare. Se giungeremo ad esser foglia, pietra, oppure mare, allora mescolati alla pienezza dissiperemo nubi di un oblio critico che ci soverchia giorno dopo giorno.

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Il giocattolo rotto.




       La scatola giace a terra ed e' piena di soldati di plastica e macchinine. Ci sono delle confezioni di Lego aperte alla rinfusa e dei pezzi di un puzzle vecchio e fatto mille volte, alcuni dei quali sono scocciati. In mezzo alla sala e' ancora vuoto ma quest' angolo e la sua scatola sono troppo avvenenti per chi vuol giocare e mettere tutto in bella mostra. I palmi delle mani si dirigono in una unica direzione, e la fortuna vuole che fuori da quella scatola di cartone ci sia anche una maniglia di plastica, il che rende ancora più semplice tirarla al centro della sala ed incominciare a rovistare. Carte di supereroi che luccicano, figurine di anni passati che parlano di fate e calciatori. Pezzetti di plastica sfuggiti al montaggio degli ovetti Kinder e fogli accartocciati con disegni di un tempo trascorso.
Scivola via come la scala di una sfilata di moda il novero dei pennarelli e delle matite a colori, mentre un tubetto di Crystal Ball che ancora profuma di tossico mi attrae, ricordandomi di quando ero bambino anch' io, e mi lascio di nuovo rapire da un altro mio tempo.
Rimango a riflettere su come la scelta cromatica possa incidere su un acquisto e ripenso a mio padre e mia madre, e alla collezione di Puffi che ancora deve essere da qualche parte a casa mia.
Vìola i ricordi e strugge, come misura di un battito che trascorre, non ci sono ne Barbie ne Big Jim, ma tutto il resto e' presente, finanche il bambolotto senza braccia che mi mette tristezza. Cerco invano dei carri armati ed ecco saltar fuori "Lungimirante". Si, proprio lui, chi non ricorda il soldatino con le due mani sul binocolo e con tutta la sicurezza nella sua postura a gambe aperte. Lo metto sul pavimento, come monito per gli altri e per me. Lungimirante ha sempre rappresentato la mia terra di confine, il punto dietro il quale nulla poteva più succedere. Appariva ed appare come una zona franca oltre la quale non si può più andare a giocare. E via già gli indiani, e via giù i cowboys, con gli inglesi, i francesi e i tedeschi, ma sempre un passo indietro alla pretoria dei soldati in metallo. Una guerra dietro barricate di lego e morti per finta a terra. Giacciono puffi ed exogini, mentre vaghe forme di bambole rotte e macchine della Burago fanno da trincea che non ho neppure scavato. Sale il mantello dell' eroe verso una sera di battaglia immaginata, fra quei cavalli scossi e che montati, docili e silenti appaiono. Variegata idea del fantasioso viaggio di un bambino accoglie mentre nelle scriteriate pagine estinte di una vita tende a riaffiorare.
Dogmi abbandonati ed istinto che rientra prepotente in un sogno istantaneo mentre si dissolve. Le macchine capovolte simulano una ecatombe di ferraglia. Devo accontentarmi di una pallina di carta che mi consente di far cadere i soldatini ovunque, anche se in altri tempi mi sarei attrezzato con miccette e palline da biliardino. Torno in maniera inquietante a quando i pomeriggi erano ricchi di sermoni e attacchi fatti fra me e me. Dispute e battaglie, contese ed annessioni di nuovi territori, per poi fermarmi un' altra volta lì: a Lungimirante, il soldato oltre il quale tutto finisce. Lui resta fermo, in piedi con le sue gambe divaricate sulla collina di cicciobello, ed osserva come se il campo di battaglia fosse estinto da appena qualche istante. Noncurante e statico rimane mentre gli altri suoi soldati son caduti e delle retrovie più nulla appare. Lego soverchiato nei numeri, carte sparse che luccicano mentre anche qualche guscio di ovetto partecipa al dramma e qualche pezzo di puzzle e' ormai lontano.
Raccolgo le ultime forze per aggregare il tutto e far finta che non sia trascorso un altro pomeriggio da bambino. Accade però che quando tutto e' nuovamente nella scatola, facendo la conta di chi e' giunto e chi invece non c' e' più, mi accorgo che ancora un' altra delusione ora mi insegue: avrei mai immaginato di raccogliere la storia di un' infanzia in un contenitore solo per poi rammaricarmi del giocattolo trovato rotto? Sogni infranti di un bambino nato grande e che e' cresciuto troppo. Ali di un gabbiano e sinonimo di libertà trovata. Ci libera da tutto un' altra volta ancora ma per farci ricomprendere che solo in un momento quella libertà che poi ci eleva in realtà torna di plastica e di nuovo ci divora.

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11/05/15

L' aquila e' a caccia.




         Quando un intimo respiro riconosce l' angoscia della fine si eleva fino a sovrastare tutto il resto sconosciuto per far spazio alla fiera livrea dell' essere senza che voglia dire abbandonare quanto da cui si viene.
E' un laccio consumato di una scarpa, srotolato e liso al terreno mentre la suola lo calpesta. I fiati masticati nella polvere si arroventano fra sangue e ricerca di quell' eternità che adesso più si cela.
Appare in una nube di polveri e mediocrità quanto di più puro possa esistere ed in un solo istante si propaga fino a sollevarsi e ingigantire la sua essenza che va via.
Argini abbattuti d' aura e limbo di terreni limiti distrugge e spazza, come vulcani di fervente volontà si erge e mira con fare rapace, fino a scrutarne le più intime paure e nel terrore di un istante rifiutare il basso di una vita vissuta con paura e strazio.
Ali spiegate ed onde di vento sono il carburante di un planare placido sulle meschinità terrene, mentre dall' alto di un volo palese appare lo scenario di una folle strada scelta di solitudine ed assoluta voglia, al contrario del branco di inutili ed inetti, di laide frustrazioni ed impotenze.
E sotto i colpi di una carabina attenta alcune volte sulle vette si ripara, e a tal fastidio ride e si compiace, voltando ancora e rivoltando come per farsi notare in un ambiente che il terreno non le può rubare.
Strani individui melmosi nelle anime la osservano, e già questo suo volo loro li avvelena. Infastiditi da una non capacità l' invidia divora, e quel livore in un sorriso becero che morde i denti si rinchiude.
Oscenità ineleganti al cospetto di un canto libero, branchi di bestie a caccia mentre negli angoli bui di caverne sporche si riparano quando son prede. Alla mercé dei venti e delle nuvole si stagliano fra la boscaglia nella ricerca di un riparo che li nasconda, almeno per un pò, dal loro squallido destino.
Eppure lo squillo di una campana sorda ha già suonato, richiamandoli all' ora della morte e del termine di tutto. In una folle corsa dimenano e scartano come cavalli scossi, ma canidi o qualcosa di vicino, se isolati ammansiscono e senza la forza del gruppo sono niente.
Perdere l' orientamento e bracciati da chi dall' alto li osserva, un' ala spezzata talvolta limita ma non sarà un fuscello od un ammasso di sterpaglia ad impedire ciò che deve essere fatto.
Paura, il volto della paura si disegna. Quell' aspetto sicuro ed oltraggioso lascia spazio ad un' espressione sgomenta, incapace di analizzare e senza freddo calcolo e che rimane vuota e piatta.
Sarà il potere del lupo che attaccava e non attacca più, sarà la forza del branco che c' era e adesso non c' e' più. Essere degni e puri e' altra cosa, tant' e' che mentre fra lo sterco delle stesse bestie ed il guano dei pipistrelli la tana esplode di maleodorante puzzo e dentro a quella tua realtà si cerca cibo e acqua da bere, il cielo da la pioggia e da la neve.
Rimirano le stelle a cui talune volte canta, osservano dall' alto la mediocre bestia e la fugace zampa. E' un' aquila imperiosa che ora arriva e caccia, artiglio ghermisce, mentre col becco spezza la sua faccia. Fra latrati e guaiti il carnefice che si trasforma, perde la sua propria sicurezza e lentamente affonda. L' aquila per qualche istante e' scesa a terra, e più la lascia andare: e' preda sua.

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10/05/15

Quando manca il fiato.




    A piedi nudi sulla sabbia, e con il sole in fronte che come fuoco ci socchiude gli occhi. Varcare e' scalare ed una porta ancora da scoprire già si dissolve dal madido sguardo come fosse un' oasi. Miraggi di un concreto lontano, dove magnetismo salta e febbri improvvise avvolgono per far bruciare e rendere la bocca asciutta. Fragorose urla si diffondono accasciati al suolo su di un nuovo monte che si affaccia. Un' altra cascata di sabbia riflette quello specchio in uno specchio nuovo mentre gli occhi ormai vitrei sembrano mescolarsi alle idee confuse di quell' oasi apparsa per caso.
Costretti ad asciugare la fronte con l' ultimo lembo di tessuto rimasto asciutto strofino bruciando gli occhi al sale ed il sale all' ultimo liquido che sgorga dalle mie pupille che non sia sudore.
Esattamente come quella lacrima e' il respiro. Lo sento ansimare come se si protraesse verso l' esterno da me, poi guardo gli altri e noto che per loro e' lo stesso. Come un' aura nuova che si divide, come il fumo del calore si diffonde, dal corpo espelle solitudine per ritrovarsi annebbiati insieme. Perso l' Oriente, persa la lucidità. Andata via la forza riconosco adesso esattamente la sagoma delle ginocchia, e chinando il capo per fuggire qualche istante da quel sole che mi scoppia, mi accorgo della pressione esercitata su quel monte e in un momento osservo una lucertola correre via per poi trovare del ristoro in una buca scavata sotto sabbia. Invano all' orizzonte cerco alberi, e quell' oasi persa non si lascia ritrovare. Dalla borraccia scivola via quel brodo caldo che un tempo mi sembrava fosse acqua, e un' altra volta la mia mano che attraversa col tessuto dentro il palmo la mia fronte per detergere i capelli di sudore. L' occhio osserva ed un attimo prima di rialzarmi punta il sole. Gli altri come me sono oramai claudicanti e stan sfinendo sotto i colpi di quei gradi che bruciano le pelli. Via! Ripartendo fino ad una nuova rampa di sabbia che si dilata ad ogni passo. Corre la lancetta della vita e tracce di passaggi rettili ci innervosiscono. Non siamo bestie pronte a resistere a lungo in quegli ambienti estremi, ed il sollievo di una notte che arriva si può facilmente trasformare in un oblio di specie di animali cui possiamo fare da preda prelibata. Ad uccidere non e' solo un predatore ma spesso una puntura di un insetto, quando lo shock anafilattico non ci possiede per il morso di un serpente che ci dilania dentro terribili agonie. Nessuna roccia e tutta sabbia per clessidre. Una vasca immensa che raccoglie il tempo di tutti e lo spazio di tutti i tempi. Mentre vomito calore e cuocio lentamente il bordo di un crinale di una duna cede e rotolo evanescente verso l' altra ala di quel sabbioso monte.
Come scivolando ingoio sabbia e allora gli altri credendomi svenuto mi raggiungono con un ennesima spinta di inerzia fisica per cercare di accudire un loro compagno. Non sono morto, ma credo ci manchi poco e in quell' istante il circolo che vedo intorno mi copre il sole e per qualche istante mi da sollievo. Le fessure dei miei occhi sono oramai due linee con uno specchio all' interno, che ad ogni tentativo di dilatare le ciglia si serra dietro ombre e luminose cupe nubi. Sono invisibile in un sol punto, svengo e non ricordo più quello che accade, e in una storia simile al buon fine di una scena all' epilogo credo di abbandonarmi ad una leggerezza ignota. Sospeso sopra le teste dei miei compagni come un drone osservo loro e me sdraiato ancora, ma e' come se non mi interessasse, e da quella clessidra inghiottito io mi accorgo che per me e' finito il tempo. Sciolgo così le riserve e più non sento il calore, nulla può più mordere o divorare e il solo elemento che distingue chi va via da chi rimane ancora e' quanto messo in mezzo fra il primo vagito e l' ultimo respiro, poco importa se il calore o il ghiaccio lo accompagnano nell' istante in cui saluta.

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07/05/15

Jungla.




        La strategia di un gambero per la difesa insegna, come il suo camminare indietro. Quasi come fosse un voltarsi ad osservare le esperienze andate e a ricordarne ciò che hanno lasciato. Sott' acqua, sono immersi nel loro elemento, e comunque restano terrorizzati da quegli ampi spazi di sabbia libera dove possono ridursi a prede per i loro predatori. Poco importa se quella sabbia mossa per qualche istante cela. I gamberi, consapevolmente, regrediscono alle loro tane come fossero alcove dalle quali osservare ciò che accade. Ed una volta salvi nelle loro piccole membrane arriva il riposo, la dove come da un balcone affacciato le correnti muovono senza intaccare, e lo scenario evolve in uno sguardo di marea. Risacche di pulviscoli e di pesci a caccia fra le rocce. Ben attenti a non rendersi visibili, mentre altri inciampano e scoperti son mangiati. Eserciti di bestie acquatiche alla ricerca di un buon pasto migrano e perlustrano la crosta al primo movimento buono. Cacciano e serrano quelle spaventose bocche fameliche rigonfie d' acqua e divaricate fino ad accogliere l' oggetto della loro bramosia. E allora chiusi, sperando che si faccia il minor rumore possibile. Avvolti da quella madre che difende anche dalla corrente, e dalle irregolari spunte anfratti crea. Edifici di vegetazione dondolante, accompagnata dalla forza della musica dissolta dalle onde, con quel rumore di frittura arso fra le colonne di liquido e di aurora. Immagini di tendaggi d' acqua come sete e rasi, fra questi temi liquidi di pesci e nuove coralline, fra stelle anche laggiù e qualche altra cosa, un piccolo crostaceo va celato ai più per prendere qualcosa. Regressione intesa come suo ritorno, camminamenti anomali che servono a distogliere, fugaci apparizioni per nutrirsi e poi di nuovo giù fra pietra e altri nuovi coralli irregolari. Sagome terribili si affacciano mentre le loro ombre già spaventano. Mante e razze si mescolano a nuovo pesce giunto, e come aquile cavalcano quel vento di marea che sembra sostenerle.
L' anima dice, l' anima consiglia, l' anima tace. Qualche passo indietro anche per me. Il mio fondale sono le mie strade, il tempo che trascorre e' la marea. Barriere coralline con piani ed ascensori si distribuiscono fra quelle rocce piene di colline e di affacciate ai monti. La manta passa anche per me, e ci sono anche le razze pronte a pungere col loro veleno. Ed in silenzio osservo ed accuratamente schivo. La leggiadria unica di un predatore che accarezza, il suo tranello che educatamente ti divora, e quell' aspetto docile di un lupo che devasta e che dilania. Crepitii di nuvole ed ombre degli squali, bivaccano in attesa e con tranquillità si scuotono di dosso delle remore che si accontentano fin anche delle briciole. Capovolti e sordi, immobili e decisi, i gamberi riaffiorano per poi sparire, cullano un istante qell' idea di caccia per nutrirsi appena e ritornare ad essere soltanto spettatori. Tende come scie di polveri e di pollini, accarezzo e stringo fra le mani i polpastrelli accertandomi che nulla mi resti fra le dita. Alberi al vento come la vegetazione alla marea, mi avviluppo in un vortice di foglie e schiuma d' onde come se torpedine si rotolasse a terra sul fondale buio perforando spazio e tempo e ritrovandosi nella sua nuova scia di quadro che e' dipinto.

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06/05/15

Montecitorio e' sulla Tangenziale Est.




     E sei aggressivo se quella vasca di ghisa trascinata sull' asfalto ti infastidisce perché la vedi come una violenza che ti fanno e contro cui puoi nulla. E' trascinata via stridendo e quel rumore ti rimbomba dentro al cuore edificato dal rispetto. Ripeti che non e' possibile, ma poi assisti inerme perché chi lo dovrebbe impedire in realtà lo tollera e forse anche lo usa. Li vedi girovagare con quelle facce da ebeti lagnosi a chiedere elemosina, ma girato l' angolo quel cellulare squilla e quell' atteggiamento remissivo va perdendosi lasciando spazio ad un ghigno nuovo che sa di professione organizzata. Quel palmo concavo e tutto quel pietismo, coi piedi lerci e coi cappotti a Maggio. Pronti alla minima disattenzione per sfruttare quell' istante e ricoprirsi di infamia al cospetto del danneggiato che lavora e che guadagna. Egli ancora non lo sa ma prepotenti le sue mani ed i suoi occhi hanno puntato. Il sipario di quell' atto e il tema si somigliano, forse una fermata della metropolitana o una biglietteria, probabile sia un autobus o fuori la stazione.
Drappi colorati e una cultura, mi vien detto, però il cultore ruba e non andrebbe fatto. Carrelli gonfi di ferraglia ed immondizia all' insegna del riciclo, attraversano come una spesa al fine settimana. Tornando a casa questa notte il terribile puzzo della tangenziale avvolgeva la mia auto e le narici si serravano escludendo quell' orribile olezzo clandestino. Ascolto, guardo e sento io come non fa chi poi dovrebbe. Delinquere e rubare ormai si tollera come se fosse nulla, ma l' arma del disprezzo e' quanto oggi ci resta, con buona pace di chi vuol dirci ancora della fiaba del razzismo. Se questa gente andasse a scuola invece di prendere un sussidio e lasciar stare, se questi genitori chiedessero un aiuto invece di rubare, chi sognerebbe di cercare la distanza dentro la diversità. Per un confronto sterile e impotente assisto, fra qualche voce ed una nuova tavola di ghisa, al silenzioso e complice lassismo di uno Stato giunto ormai alla spiaggia di deriva.
"Ordini e carrozze, ci si inventi...", e in questo circo polveri di nebbia e mani leste vi si intrufolino spesso, per raccattare ed acconciare tutto dietro al palco, fra trapezisti e mangiafuoco, elefanti, belve atroci e clowns depressi.
Oggi e' questo il riflesso di una Nazione che fu. Esso consente il triste primato dell' oblio e dei fannulloni, ma l' unico rapporto che può restare in piedi e' fra un uomo e la sua terra. Niente sipario ne sontuosi palcoscenici. Non c' e' biglietteria perché non c' e' spettacolo da offrire, solo una zappa, una vanga e un pò di semi, col sole, la pioggia e la pazienza, sperando che nessuno poi rovini. Calci in culo e schiena bassa sul terreno, chinato per raccogliere del suo lavoro i frutti. Non ruba ad altri ne cerca cose altrove, ma può mangiare senza ricadere ancora nell' errore di riabbandonare ciò che e'. E allora andranno via, soltanto allora oltre il confine tornerà la dignità di un uomo che vuol fare. Quei carrozzoni non avran più nulla ormai che possono rubare. Quelle macchie di donne inoperose dalle ampie gonne e mani più veloci ancora, si ridirigeranno verso il luogo dalle quali sono giunte e torneranno a conoscere del mondo varie parti senza essere stanziali.
In quel momento esatto riavrò me, riappropriandomi del tutto di una scelta e di un bel quadro: casa mia. D' un tratto spariranno queste croste che stridono all' asfalto vasche e tavole di ghisa. Scomparsi quei carrelli gonfi di cianfrusaglie e suppellettili accatastate, tornerà quel vecchio bel giardino. Solo a quel punto chi dovrebbe controllare avrà la mano educata di evitare che il fondo pastello di un bel quadro chiamato mia Nazione si possa danneggiare un' altra volta. Con tutti quei ladri clandestini che in politica riflettono per mesi, recitandoci ciò che non va fatto e riuscendo esattamente a fare in modo che sia quella unica via di quanto possano proporre. Se non e' questo "Italia" cosa c' e' che io non ho compreso ancora? Attendo, fino al tempo in cui per questa gente non ci sarà più nemmeno un voto, già vedo la parete che sorregge zappa e vanga, già vedo quelle sacche di sementi e quelle facce un pò svogliate.
E tutto perché anche la pazienza più feroce può sciogliere la plastica che avvolge le matasse di rame sulla Tangenziale Est...

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Interiore: Friuli




          Mentre arrivano le montagne sotto l' incedere del mio piede penso a quella neve in Carnia e alla destinazione che si avvicina. La vettura schizza via come un lampo sull' A4, e quell' asfalto sotto le sue gomme assomiglia ad un mare plumbeo da cavalcare come se una nave lo tagliasse. Stringo di tanto in tanto il volante per capire se l' automobile mi risponde e come un timone poi lo accarezzo lievemente aggiustando una traiettoria che dolcissima devia quasi cullandoci verso la nostra meta.
Udìn. Ci siamo, quella e' la nostra uscita, e allora inizio a rallentare, rallentando in realtà me e godendo di quel che troverò di pace e di tranquillità, sapendo di lasciare indietro tutto il resto. Un bicchiere di buon vino farà il resto, addolcendomi ancor di più, ove possibile, la compagnia, e attraversando me stesso e le mie riflessioni dentro un "taglio" pregno di conversazioni interessanti.
Parlo spesso di comprimere i momenti fino al punto di concatenare quelli interessanti e buttar via le strade perse e i rudimenti. Eccola una vera concentrazione di interesse, una vera esplosione di attenzioni e premure sormontate da un insolito garbo e da una silenziosa partecipazione al simposio.
Elettrica educazione e sintonia raccolgono seduti a un tavolo in terra di confine più persone. Gongolo e rifletto pensando al niente di quelle giornate andate via fra costruzioni fragili e cedimenti, mentre una straordinaria solidità che adesso giunge mi rincuora e porta in me quelle persone schive e diffidenti che si sciolgono pian piano nelle nostre chiacchiere.
Fruscii di confine levigato dalle sue storie il Friuli, alito di un vento freddo che dai Balcani ha spinto molte volte e spesso anche tradito. Ma il ceffone della Venezia Giulia ha sempre risposto dopo aver incassato, ed osservando queste genti se ne comprende il motivo. A modo come e' a modo questa Terra, la mite pacatezza assorbe spesso anche chi l' arriva, ma guai ad infastidire questo tratto incantevole di nostra Italia, risponde feroce ruggendo come il leone e scuote, per poi placarsi in qualche istante e ritornare placido e sereno.
Strano viaggio interiore il Friul. Ti appartiene dal momento in cui ci sei non concedendosi mai per timidezza, attento a tutto quanto e al minimo dettaglio coccola senza mostrarsi o far sapere. Un occhio vigile e materno sui miei giorni e sulla voglia di tornare, apprezzando al più soltanto quei momenti fermi dove le mie idee confondono fino ad ascoltare quel terreno.
E' una eco di confidenze ed un salto di periodo sul trascorso a quello che sarà, volgendosi signorilmente al passato in termini di consapevolezza e raccogliendosi fino a guardare in fondo a quella nuova storia chiamata domani.
Indomito e silente Friuli, fatto di scorza dura e educazione, mi hai raccontato tanto ma non abbastanza da saperti bene come io vorrei, e a tal proposito racconto in queste righe non soltanto ciò che e' stato, ma raccolgo in me quel nuovo desiderio di tornare un' altra volta ancora e di vedere che sarà.

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05/05/15

Notte di Luna.




         Candida luce e fresca luna, sulla panchina osserva quegli sguardi di porfido sciogliersi in un abbraccio fatto di ardente voluttà. Le mani corrono come quell' arrogante vento che divide, mentre i germogli di una nuova stagione colorano il pastello di un quadro in movimento senza nitida struttura.
Le poche nuvole violacee si discostano e le immagini riflesse di quel fiume fan sembrare stelle il cielo. In una forma elettrica la luna inghiotte in se questo stupendo panorama di costrutto, come se gli edifici intorno si elevassero per esserne mangiati. Culle rigonfie di liquido trascorso precipitano in quegli istanti mentre i suoi capelli avvolgono in un bacio tenue che diviene rigoglioso e appassionato mentre il vento monta.
Ultime pulsioni di un calore quasi disperso in una forza superiore che agita robuste foglie e scuote alberi, mi lascio e mi arrendo a questo conflitto di fisico e latente natura subita, mentre convogliano le braci che covo e serrano a me ancora di più quell' idea di perfetto che scruto in una vasca di angosciosi limiti.
Divellere catene e sollevare istanti, comprimerli per poi schiacciarli fino a farli soffocare, poi raccogliere quel frutto come uccelli e riportarli lentamente al mare. Frammenti di esatta aspettativa consumati in un costante ed inspiegabile ossimoro di sensazioni provate. Non e' il freddo del vento contro il cuore, ne quel chiarore che mi accende il buio e che mi fa guardare. Tutto ciò che cerco e' in quel momento, dove lucida attenzione si concentra in quelle mani levigate ed in quegli occhi senza più profondo che io non sia.
Saltano gli impeti e mollano, al dorso delle mani raccolgo rassicurazioni che non ho. Parla la pelle, che increspata accetta e mi solleva. Crinali di desideri fluttuano ed in essi precipita il mio cuore. Al cospetto di una città che ci attende e che ci osserva abbandoniamo insieme l' individuo per divenire d' un tratto altra cosa inconoscibile. Fusi in un attimo che sa di immenso riconosco in lei le mie sembianze e vedo lei guardarsi in me riconoscendosi. Avvolti da quel vento e dal rumore, ci sogniamo di essere già stati nel momento che ci aspetta e di riflesso aver vissuto tutto quello che sarà senza lasciare traccia alcuna. Piovaschi di emozione convoglieranno in burrasca trasformando il fiume in cielo e il cielo in terra ed edifici. Lingue d' asfalto lunghe come nuvole attraverseranno quel soffitto in movimento, mentre l' impronta a terra di quella luna che accompagna sarà un tombino per le evanescenti follie di due amanti furibondi che si incontreranno fino a spegnersi pian piano sotto i colpi di una intera notte e di un chiarore che già annuncia l' alba. Ora e' tempo di andare, licenziandosi da quegli istanti si rinnova un desiderio sordo da consumarsi in una silenziosa alcova.

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