28/02/16

L' uomo del faro.




        Sotto la spinta dell' onda sfida il mare in tempesta. Tranquillità, chimera dimenticata, come un' orchestra rimescola pronta al selvaggio, passivo e lento soccombere. Schiume si infrangono esplose e scuotendosi per poi tornare a confondere. Esse soggiogano, se ne impossessano per poi rilasciarlo ed attaccarlo di nuovo, mentre tuoni e lampi si fondono a quel lembo di sola terra, e uno sciame di nuvole precipitato fra cariche elettriche lo fulmina ancora. Sapidi cammini e quell' unica luce si staglia. In un vortice ipnotico incurante consola la sua forma compiacendosi della violenza esplosa e quasi non temendone l' inquietante potenza. Rimira il mare in un orizzonte convesso pronto a gonfiarsi di nuovo per poi precipitare in buche d' aria che come culle sono nuove detonanti esplosioni che lo fanno montare di nuovo. Spenta ogni velleità e fiaccate le resistenze, mentre quel vetro e' investito da spruzzi di sale, all' interno un solo uomo si impegna a coprire gli spazi di tempo per non pensare ai vortici che ascolta nitidi fuori da esso. Circola come il suo stesso oggetto e luce diffonde per rimanere fioca la piccola fiammella di una lampada a petrolio. Sente le pareti tremare, mentre sul tavolo la ceralacca del timbro ha tonalità distinte che prima non aveva notato, quasi quella fonte di calore la stesse sciogliendo per poi rimpastarla e cambiarne le fattezze di quanto vi e' impresso. Immagini cupe e quel timido calore prestato all' inchiostro che scivola via. Pagine e pagine di una solitudine rassegnata e per molti aspetti voluta, vagano via dai pensieri trattenendone quella minima parte che la lunga barba e gli occhiali sopra le sue rughe sono riusciti ad incatenare. Crimini di una bellezza disarmante in una mescola che rasenta il mercurio oramai spostano le fondamenta facendole tuonare come se tutto all' istante stesse per esplodere via da una giornata di mare in burrasca. Tonfi sordi fra le ali di un cilindro e gli alti soffitti affondano le mani fra la melma di un inconscio che si nutre di terrore, mentre quella eco spaventosa che lo rende immobile, pietrifica quando il passaggio nuovo di una cerchia di luci sembra accendere la fitta coltre di uno schiacciato, compresso universo. Attende candide risposte ed il passaggio di una notte asfissiante. Gli stessi polmoni affumicati dalla pasta di tabacco accesa nella pipa, sembrano discernere il presente da ciò che era e quello che soltanto potrà essere, una sola istantanea in movimento fra le immagini sopite che si lasciano andar via a testimoniare quella luce acidula di quel pò di luna rimasta in un sol buco di cielo fra gli isterici passaggi di quei cimmi offesi. Viola, misto nero, misto luce, mentre il fascio dovrebbe passare intermittente e illuminare la strada. La stanza resta chiusa e il previdente anziano si solleva lentamente per raggiungere quel suo cassetto dove tiene la riserva. Il rumore del legno per un attimo distoglie dal disordine, dal caos cui sta assistendo e del quale e' testimone, solo con quei tonfi che stanno dilatando la sua soglia di resistenza alla paura. La mano destra sicura penetra per poi risollevarsi subito, e nel pugno una candela. Saggio il guardiano, che ben sa che l' olio sta finendo. E previdente, perché per troppo tempo il mare inquieto ha risposto per le rime al cielo cupo, rigettandone gli attacchi in energia e di scosse elettriche e saline montagne d' acqua ne ha aggredito ininterrottamente quello scoglio. Frane dense e muraglie liquide come fendenti sommergono per poi riesplodere in una spinta che lo abbraccia, e il faro resta lì sotto macerie di schiumose bolle che rilasciano imbiancandone la superficie a rilasciare ossigeno fra i pochi frangiflutti. Così il suo guardiano, riverente ed in questa palestra di sciagura attende, mentre il fiammifero, spenta la lampada, si poggia lento come e' lento tutto il mondo, su quel lembo che sporge dal cilindro della cera, e con la fioca luce  che ritrova accende bassa e che da sola scioglie l' ansia per questa possente mareggiata.


Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

19/02/16

Bush.




        Ho vissuto e sto vivendo grazie a delle magnifiche righe, fra la sabbia ardente dell' Outback e la cultura aborigena. Due signore fantastiche mi dipingono, o lo hanno già fatto, di colori pastello e di aride asciutte nuvole, scenari di un deserto ignoto, fra le scorribande di animali selvatici ed i viaggi interiori alla ricerca della chiave di volta. Unici amici il Popolo della Vera Gente oppure dei bizzarri cammelli che camminano instancabili verso il mare incrociandosi fra le dune e la scarsa vegetazione del "Bush".
Non sono solito tessere le lodi ad un buon consiglio. Non accade mai perché farlo potrebbe voler dire svilirlo, quel consiglio, ma stavolta io debbo soltanto dire grazie al mio amico Paolo per avermi condotto con le sue parole e, fattivamente, prestandomi i suoi tre libri, cosa molto rara, al cammino di Robyn e di Marlow nel deserto australiano, mostrandomi così le varie facce della solitudine sperimentata e di ciò che dell' analisi umana può rimanere in un contesto dove ci si deve necessariamente abbandonare alle incessanti e sfiancanti  prove cui la Natura e la Terra possono sottoporre l' individuo.
Ho intrapreso queste letture in un periodo particolare di analisi di me stesso, dove sto sperimentando e frugando l' abbandono in molti aspetti della mia quotidianità. Per la verità devo dire che in taluni casi ho provato e sto provando anche sollievo nel lasciare indietro atteggiamenti e persone. In un tale contesto mi sono tuffato nelle righe di queste splendide opere, ed il solco fra me stesso e la loro esperienza ha trovato dune e cumuli di polverosi arbusti mai troppo distanti da quel che interiormente devono aver percepito loro come arido e cocente.
Intendiamoci, non credo affatto che per me sia realizzabile pensare ad una così affascinante esperienza. Fattivamente non ne avrei preparazione e forse adesso neanche forza. Mi interessa di più la convergenza emotiva, le curve della loro disperazione e del loro trionfo su di essa. Trovo piccole similitudini nelle esplosioni in lacrime senza una spiegazione viste non come momento di fragilità ma consolidamento della propria forza. Attraverso con interesse quelle righe di inchiostro che mi hanno parlato, e rifletto sulla caducità delle cose, e su come e' utile alleggerirsi del fardello occidentale per lasciarsi andare all' essenza.
Si, questo più mi interessa. Il loro magico approccio, quasi terrorizzato, ad un territorio di Luna, dove il passaggio di un tapis roulant incendiato sotto i piedi nudi ha spesso tolto la concentrazione su dolori, pustole e vesciche, guarendone gli effetti con fogliame e pasta pestata di arbusti rimediati. Sandali spezzati e fragili corde nervose si sono andate via via irrobustendo liberandosi in una consapevolezza pacifica e riverente al cospetto di quello che nelle loro giornate, nelle mie, ci si offre senza rendercene conto.
Marlow ed il suo cammino, e quella straordinaria Gente. Documenti dei primordi e al tempo stesso consapevolezza e regole. Robyn e la sua solitudine, coi suoi cammelli e Diggity. Aspetti laterali di un esperimento che abbandona i dogmi per tuffarsi nelle intuizioni e nell' acume. Entrambe lasciano il superfluo spogliandosi dei loro anelli e delle loro collane, dei loro vestiti e del retaggio culturale che le vuole presentabili. Arrivano a perdersi in realtà ritrovandosi in un' altra sfera incomprensibile di priorità dimenticate, dove un orologio e il suo tic tac può tranquillamente rimanere su di un albero fino alla fine della batteria, e dove un ballo per aiutare l' arrivo della sera diventa quasi ipnotico e sfianca portandosi al terreno come fosse un grembo che le accoglie.
Viviamo un tempo in cui il consumo trita ciò che e' all' esterno e ci divora lentamente dentro senza riuscire più a trovare il conforto del pensiero. Ci abituiamo a rincorrere ed abbiamo oramai perso di vista il senso delle cose. Spesso il confronto dialettale e' relegato a mera esplorazione di se stessi dentro gli altri, facendo bene attenzione a non tener presente il punto di vista degli altri mentre guardano noi stessi. In tutto ciò la loro solitudine, in realtà la loro ricchezza. Dove tutto e' responsabilità ma nulla e' colpa, dove le cose accadono perché e' il tempo che lo vuole e se la polvere si attacca addosso pazienza, non saranno preoccupate di non fare una buona figura.
E' il legame col terreno. E' lo scorrere del tempo, dove stagione e giorni si succedono come da sempre, e dove una entità racchiusa dentro un individuo ha il tempo di rivelarsi cosmo. Ed e' normale che si fugga dalle foto e dalla gente cara Robyn, io credo sia normale, ed e' per questo che mi trovo immerso in una storia che non voglio raccontare. Oppure cara Marlow, fra la scena che hai descritto dentro il luogo sacro e quella loro abitudine di osservarsi negli occhi di fronte ad un fuoco, quando giunge la sera, uno dopo l' altro, avendo di fronte volta dopo volta persone differenti.
Cos' e' se non e' questo il rimirar le stelle. Ogni individuo un cosmo da scrutare e da comprendere, e poi quelle galassie dove proprio non si riesce a respirare... e allora via! Come si fugge da una foto di un curioso, come un cammello scarta per voler essere libero, come un risveglio in casa ci rinchiude in una dimensione che non sembra essere la nostra. Buon viaggio.

(ho amato leggere questi due libri, e li amerò per sempre. mi e' sembrato quasi irriverente, mentre portavo avanti le due letture, che fossero libri che paolo mi ha prestato e non fossero miei. questo implica che in maniera quasi ovvia mi recherò in libreria per averli miei, e comunque mi sembrerà irriverente perché sono entrambi palestre che allenano contro il possesso. notevolissimi!)

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

18/02/16

Il canto delle sirene.




         Eppure spezza! E mi ripete che dovrei essere lì. Ma non ci sono. Forse perché non ne ho più voglia, forse perché ferito dagli eventi ho deciso di farmi scivolare via quella mia parte isterica. Forse semplicemente perché le cose cambiano per me come cambiano per tutti. E allora tutti coloro per cui le cose continuano a non cambiare? Sono davvero tutti affetti dalla sindrome di Peter Pan? Mi guardo intorno e vedo aridi piani di sonnolenta routine, mentre lussureggianti follie continuano a deflagrare schiumandone montuosi effetti tutti intorno. Amici miei volati via che un tempo avrei difeso e sostenuto, mentre mi appoggio per un' altra birra al solito bancone, rifletto sugli standard offerti dalle ali della nostra libertà, oramai vostra soltanto. Vivida e' l' emozione per quello che arriva, e quel nodoso groppo all' intestino che ti assale proprio mentre inizi a viverla. So bene di che parlo anche se adesso parlo e basta. Volata via e' la voglia, dentro le nebbie cupe si disperdono i ricordi e al dunque, di ciò che era, adesso restano soltanto quelle solite pressioni.
Dentro un' intensità che mi concede e si concede di vivermi, e di viverla appieno, in tutta la sua splendida malata interezza, affronto orizzonti che la gran parte della gente nemmeno penserà mai, nemmeno considererà che esistano. E sarà proprio quello, anzi e', il motivo più grande dell' odierna frustrazione.
Un uomo povero non sa cosa vuol dire essere ricco, così come un uomo ricco non sa come si fa per divenire ricchi. Ma chi e' stato povero ed e' riuscito a diventare ricco, se torna d' un tratto povero, si sente davvero distrutto. Quella e' l' assoluta povertà, la miseria, ovvero di colui che sa che un mondo esiste e che lo assaggia per poi tornare ad essere relegato dentro la gabbia di metallo della sua routine senza poterne uscire e all' abbisogna urlare al cielo per tentare di toccare la svanita libertà.
La sorte più misera va a chi quell' esistenza assaggia, a chi e' riuscito a sciogliere con la sua gioventù le sue catene e quelle conferitegli dai dogmi di un perbene accademico e noioso "essere giusti".
Col cazzo! A volte si e' sbagliati, e per assurdo in quei frangenti si e' più giusti di quando occorre, come dire... essere giusti. Alle volte occorre distruggere per poi ricostruire, ricostruirsi. Fondate scene come film interrotti attraversano l' iride in qualcosa che resta e che, come sogno, scorre in fotogrammi di violenta reale essenza. Scivolano via le urla e poi quel fumo, l' odore acre e quelle gesta di bestie avviluppate fra gli incendi esterni e di ciò che brucia dentro. Come echi continui di una cosparsa deflagrazione si mescola ad un terremoto, fra le sirene apparse di un mare in tempesta nero come la pece, e che li vuole scacciare, continuano come sciami e rincorse, come onde e barriere che giungono esplose una riva. Ostaggi di una piatta scena fumosa, le lacrime agli occhi e quei segnali, e l' incedere stanco. Il suono dei polmoni e la gabbia toracica che ne descrive i confini. Dentro l' asfalto rimbomba il rumore della gomma delle suole. Piegato a vomitare saliva fra tosse e spasmi, d' un tratto sazia e trema al fisico che adesso e' vuoto, ma incamera e rilascia ancora scosse elettriche e nuovo impeto per tentare ancora un' altra sortita.
La tempesta sembra avere la meglio, l' assiduo studio di un fenomeno meteorologico e le cupe nuvole che grandinano gelida acqua. Sinistri rumori inchiodano e paralizzano raccogliendo quel che del mare che arrivava resta nei tessuti di una rete logora e svilita. Altre urla, stavolta con tonalità più alte, mentre qualcuno prova a liberare lacerando quelle reti, mentre lo sguardo ipnotico delle sirene attira e chiama verso quelle acque infide. Un abbandono ed un ritorno al gioco della palla sulla spiaggia madida. Spruzzi e schiumose onde sembrano accanirsi verso quel lembo di terreno libero che ancora osteggia e spezza quelle annose cellule di dogmi imposti.
Fuori! Fuori da tutto ciò. Per non obbedire a nulla e fermi ad attendere che il cielo si dissolva in un azzurro intenso, interrotto qua e la da soffici nuvole bianche. E nell' attesa che il sole torni a splendere ed a scaldare, un pò di riposo, supino, sugli stessi granelli che prima erano invasi dal buio cupo e dalle nebbie, dalle onde del mare e dall' impeto del canto.
Avvolgo il fiato come un nastro per cercare di recuperare ossigeno e tranquillizzare il cuore. Schiena ferma si rilassa sul terreno mentre al contempo appare un nuovo ghigno che annuncia un pago sorriso. Quegli attimi di libertà non hanno prezzo, e sono attimi che non torneranno più.
La gioventù, dentro i suoi impeti li spezza! E mi ripete che dovrei essere lì con loro. Ma non ci sono. Forse perché non ne ho più voglia, o forse perché, ferito dagli eventi, io non ho più quella mia parte isterica, ma forse più semplicemente perché mi accorgo che la vita adesso mi attraversa lentamente ed ho imparato a perdere contro la piatta routine.
Quel qualcosa e' andato via e non tornerà. Lo vedo allontanarsi come un bastimento all' orizzonte che svanisce e cade giù. Io so che e' la, sono assolutamente certo che non e' caduto giù, ma a quel ghigno di un tempo ora va sostituendosi un sorriso amaro, perché se per tutti gli altri che non ci sono mai saliti o che non l' hanno visto allontanarsi non esiste, io so perfettamente che quella nave e' lì, ancora pronta ad affrontare il mare, con le sue onde cariche di elettrica potenza e con quel canto infido di una sirena che solo i marinai sanno scacciare.



Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

05/02/16

IL vero nemico dell' istinto.




         Misera oscenità il tentativo di cospargere di raziocinio le intensità dinamiche di un assoluto incontrollabile istinto dentro delle mura blindate entro le quali tutto e' nullo e tutto quello che rimane si lega a tutto il resto. Pareti che stringono impedendo alla frenesia dell' agire di diffondersi, di dilatarsi intorno oltre il confine di ciò che e' coscienzioso e conveniente. Abbattuto il muro del "non posso", del "non si fa", naviga fra le esplosioni piroclastiche di una vera fiamma comportamentale che lo avvolge e che lo schianta verso recondite non ipocrite volontà. Acidi lo assalgono e ne mangiano la pelle e gli organi, mentre scintille e schiuma termica dissipano ma al tempo stesso sfumano lucidità che sta perdendo. Abomini e fusioni dei suoi mostri asciugano fumando e riesplodendo da potenti geyser, nubi nere che deflagrano rompendosi di un confine lavico incandescente dipingono tragitti lucidi di rosso vivo, immersi nuovamente dentro nuove nuvole di cupa fuliggine e pulviscoli bollenti che li inghiottono.
Abbandonandosi all' "incontrollo" il tutto affiora vero come mai fra gli universi già esplorati. Sciami sismici discrepano pareti dell' Io facendone cadere le facciate sgretolate ed emergendo dagli anfratti. Avverte su se stesso nuove repliche di mondi contenuti e attraversati, dunque il senso del confine si dissipa e anch' esso esplode ritrovandosi dentro un granello fra milioni di una sabbia bianca. A quel punto la mano raccoglie ed il palmo elabora, fra quelle piccole forme geometriche miliardi di piccoli mondi dove a varie intensità si crogiolano voglie e freni inibitori. Per ogni piccolo granello un universo, da atomo a galassia, ad infinito. Si ripete ogni volta l' esplosione dell' incontrollato, abbracciandosi al contempo ai dogmi e a ciò che si decide di dare per scontato.
Pietra miliare i una civiltà che non ci racconta. Individui obbedienti che non sanno cosa possa suscitare vera libertà. Intensità e pressioni liberate fino a giungere alla clessidra del tempo sospeso, dove la sabbia a smesso di precipitare e dove eruttano in maniera copiosa i vulcani che non smette di guardare. Li osserva attonito come fossero un qualcosa di vicino, quasi gli indicassero la strada. Liberano le camere magmatiche come libera un uomo la follia. Se conservate esplodono con più ferocia e le nebulose bollenti le fanno assomigliare a buchi neri. Antimateria quell' attimo dall' esplosione, e silenzio dopo l' intenso sfogo. Cos' e' se non ciò che ci accade se la ferocia assale anche noi? Lui sa. Adesso ricorda bene.
Il sangue ha trascorso millenni appiattendosi sulle pareti strette di una comunità che non combatte più nemmeno per se stessa. Adesso un nuovo oblio che giunge all' orizzonte sta liberando alcune molecole da questa strana gabbia di vernici che stanno cadendo. Una esplosione nuova, ma al contempo la più antica lettura dell' essere da quando esiste il tempo e i suoi primordi, indica strade nuove che non si ha il coraggio ancora di percorrere. Ma vede, e vedono anche altri. Arrampicati su rami di colori esposti al vento stanno scendendo fra le foglie secche di questo vergognoso raziocinio. La ferocia dormiente ha gli occhi socchiusi e questa nuova rabbiosa coscienza attraversa il granello di sabbia come stesse risucchiando l' intero cielo. Le pareti assomigliano a catene, ma la Natura ed il tempo sospeso le aggrediscono in un modo tale che nemmeno il metallo o il cemento possano incontrare nemici apparenti che compaiono da quegli anfratti.
Livida miopia di un universo dove cecità lo nutre. Il buio eterno usato come catapulta e munizione l' ovvio. Il risveglio delle coscienze passa necessariamente dalla rottura degli spazi preconcetti e dall' abbandono di quei dogmi tanto cari ai costruttori di pareti. Il vero nemico dell' istinto molte volte non e' il raziocinio, ma la buona educazione e un' insensato cedimento a una mendace tenacia nel non comprendere le cose.
Chiudere gli occhi e tacere. Si sente ancora l' eco di esplosioni gravi e piroclastiche eruzioni. Quello che accade dopo e' solo attendere che la Natura riprenda il proprio corso.



Roberto De Sanctis - All Rights Reserved