29/10/15

Violacea notte.




          Che strana notte. Dove un esercito di gocciole zampilla a terra deflagrandosi in un solo istante. Dove quel cielo buio e nuvoloso d' un tratto viene illuminato da una viola intermittente che si accende e spegne consentendomi di vedere dei frammenti sulle nubi di color vinaccia. Dove una tremula fiammella scarica fra fitta pioggia connettendosi col cielo la luce necessaria che da vita ad un percorso isterico di lampi e fulmini caduti sul terreno. Che strana notte.
Ed io nella vettura timido percorro e poi rincorro questi fulmini che a terra infiammano gli istanti per poi perdersi nel buio di uno scroscio liquido. Garante della mia esperienza quella gomma a terra che la scarica raccoglie ed isola. Ed intorno un mondo osserva me mentre si fa osservare, con tutti i crismi di una elettrica tempesta avvolge Roma in una notte buia che di tanto in tanto si fa giorno.
Dilatate essenze di un crinale scosceso, mentre quei pini madidi patiscono tacendo il vento. Foschie che come aurora muovono il lento danzare delle piogge e in una mistica danza avvolge il siero di un cammino troppe volte soltanto intravisto in un transito di attimi inseguiti che fugaci vanno via. Rincorre, come ci insegue il fulmine che cade a terra. Pochi metri soltanto, in attesa di vedere esplodere il terreno e deflagrare fra scintille e fuoco. Come crateri e crepe elettriche separano alla vista un orizzonte cupo, donando a quel mio sguardo attonito fragranti momenti di intimo timore e di rispetto.
La soglia di una tempesta elettrica e' oramai varcata. Tutto ci avvolge come in un prisma di correnti lacere che si impossessano dei miei confini. Finanche la vegetazione brilla come se una coltre di argento in scaglie la avvolgesse depositandosi sulle estremità più libere. Tremuli orizzonti ascoltano il suono di un cielo che si spacca e si frammenta, più volte, ripetendo il suono orribile e mistico si incontra con le luci spezzate di un nuovo fulmine che cade al fianco. Monito, mi insegue ed in questo coerente oblio di nuvole orchidea continua a piangere e a versare lacrime come se fosse lacero il tessuto suo che invece e' il mio. Farinosa pioggia assembla e come un natante la vettura apre la via solcando rivoli e torrenti in una piatta strada che poc' anzi doveva offrire asciutto asfalto. Così io, asciutto e rigoroso prima, adesso languido e sorgente immensa di curiosa voglia di comprendere. Aliti nuovi e vecchi tornano a muovere un sipario d' acqua intorno a questa strana notte. Calpestano i fulmini saltando fra coltivazioni e prati, mentre il rumore accoglie in una nuova teleferica di immensi avviluppati pendii che ora si avvitano al momento penetrando e permeandomi fino a tirarmi giù.
Lagune di viole esplodono come bombe dissolvendo questo rosa giorno per cospargersi di blu. Briglie di una croma lucida serata serrano fino a raggiungere il principio del rumore e assoggettandovi pareti estese di complessi sciami d' acqua. Un motore che si spegne, una porta che si chiude e una salvezza. Ma consapevole dirige preoccupato verso una grotta di peccato che trasforma un' esperienza gelida in calore ed accogliente fronda di vetusta edera che può spigare ancora.


Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

27/10/15

Il cercatore di momenti.




         Come l' estuario di una profonda e lacerata passione il letto del fiume ascolta ed i ciottoli si muovono grazie alla corrente. Le placide acque rinverdiscono sapori estinti e le vegetazioni rinnovano quel rito di fecondità dentro un' idea oramai stantia. Il ricordo dei torrenti prima e delle confluenze poi, riscaldano quelle acque cadute e le allontanano da quei lembi di terreno con le vette nevicate a terra, che si stagliano lì all' orizzonte, quasi come fossero precipitate giù dall' alto. Come uno strappo verso il cielo aiutano quel rumore che trascorre ed attraversa. Aprendosi al volume e a quella nuova intensità di luci e di colori che dal gelo si era sciolta, per raggiungere le pietre lucide come un ascolto primitivo di quei corpi elettrici. Trasparente purezza passa e si trova ad accarezzare il tempo, su quelle pietre antiche che confermano la nicchia di un trascorso andato via. Gorghi e rigagnoli si alternano a luminescenti chiare lagune per poi tornare a convogliarsi in un' aggressivo ed impetuoso sputo di gelati e precipitosi fiotti che assottigliano la resistenza delle vecchie rocce.
Coriandoli di cime corrono dissolvendosi fino alla valle. Così allo stesso modo l' impeto remoto che ci attraversava ora si blocca e si dilata, lasciandosi alle spalle quell' idea di noi che sembra andata, e come un' ombra flebile attraversa gli occhi di una stanca e logora agonia dentro gli sguardi persi. Cotone estirpato alla pianta, nient' altro resta, se non quell' ulteriore lembo di tessuto che ci illude che ci vesta. Madide labbra assetate ad una foce di un immensa bolgia si dissetano per poi cadere nella quiete immobile di infiniti ciottoli che stanchi si depositano piatti. Corsare levigate correnti attraversano e da testimoni di una finta scena allevano verdure e dondolano. Come un sipario le strade si dimenano fra il lento andare e quella rigogliosa sponda. Infiniti suoni immobilizzano per poi stracciare il tempo in un abbaglio. Al sole e alla notte non occorrono le intensità stordite di un' eco lontana. Sciami di gocciole coinvolte si assembrano per raggrupparsi in onda unica che corre via. Quasi malinconica va via da quelle nuvole di un elettrico viola che accompagnano il calare della notte. In cerchi concentrici di suggestive immagini riflesse la Luna come orde di guerrieri riflette il fondale creando un quasi giorno che sa di aurora. Imperitura luce, fra le notti aggancia stati d' animo compressi che aggiungendosi alla lucida incoerente trasparenza vede tutto opaco.
Stanche le membra ed esplose le sue volontà riaffiora l' argine come nel bosco un orso si impatta un albero da frutto. Chiara imperitura Luna accende, e attende che quel nuovo giorno sorga fra le danze di un ruscello e l' esplosione di cascate giunte a terra. Condito il tutto di una sana volgare intensità di voglia, torno ad accarezzare quel silenzio che dissipa il tutto concentrandomi su quel che resta e tralasciando quanto di inutile si e' allontanato fino a giungere al principio, lì, quand' era nulla e non si rifletteva nelle notti insonni di un audace cercatore di momenti.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

14/10/15

Il Gabbiano di St. Govans.




            Pensare che eravamo giunti lì a Broad Haven quasi per caso, e mentre gli altri avevano deciso di visitare la cappella di S. Giovanni, Saint Govan da quelle parti, io mi ero ritagliato un piccolo spazio soltanto per me. Non avrei mai immaginato di poter trovare una scena simile, così perfetta, dove anche il taglio della luce e l' intensità della stessa mi avevano regalato un brivido che mi aveva fatto sedere su una pietra. Ero rimasto lì piantato a guardare l' andirivieni feroce delle onde verso i cliffs che, evidentemente mangiati da tale potenza, lasciavano massi a terra chissà da quanti anni, ma l' impressione e' che ne potesse frantumare ancora in quei pochi secondi. Le striature orizzontali della pietra raccontavano una costa sofferente, che sotto il gioco delle intemperie, non solo l' aggressività del mare, aveva modellato se stessa come per essere un gioiello incastonato in una roccia grande come il Galles, un gemma.
Io volevo una fotografia interiore di quegli attimi, dovevo trattenere quelle sensazioni senza permettere che se ne andassero. Ero inserito e parte integrante di un quadro dove il movimento del mare e gli spruzzi dell' acqua, mescolati al vento, sembravano migliaia di persone sulla Fifth Avenue di New York, quando pilastri enormi come grattacieli rimanevano invece immobili ad osservarli.
E il rumore delle onde che si infrangevano, quel friggere per poi scontrarsi e rilasciare. Conservo ancora l' eco di quel subbuglio, e pensandolo come se fosse in me, mi avvito nell' idea di quel quel vento che mi stava circolando intorno. La traccia della marea, e quel mare rigonfio che si appoggia, la schiuma bianca che salvifica ed ossigenata si allontana per poi rapprendersi in una fila uniforme di bavetta equidistante e curva. La danza di un colosso che giunge per poi fiottare ed essere sputato via. Lì sono i miei occhi, lì la mia pelle, lì le mie idee. Abbottonato e pertinente mi abbandono solo per provare a ricordare, a ricreare quello che in quel preciso momento riesco a provare, mentre un gabbiano planando si avvicina e mi scruta come per rivendicare il proprio spazio su quella pietra che potrei avergli rubato. La curva del suo volo e' assecondata dalla sapiente maestria con la quale impiega i suoi arti, una virata con la coda, il suo timone, e mi lascia lì a riflettere pensando che quel volo lo vorrei provare anch' io.
Rette incastonate nella pietra e di nuovo mi rituffo in quella fila di momenti tutti miei. Per un attimo il mio sguardo si perde nell' erba che ho vicina e che del vento impazza, ma poi una nuova onda si dilata squarciandosi nell' umida parete e quel fragore mi riaccende l' anima pensando che un istante così ricco e' un dono che non posso mai permettere di trascurare.
Il maglione si gonfia e ad un tratto mi volto come se mi sentissi spiato dallo sguardo dei miei amici risaliti dalla visita nella cappella. No, ancora nulla, ed uno strano compiacimento mi abbandona nuovamente a quell' idea di assoluto che in quel momento rappresenta quel connubio fra me, quella parete striata impilata come una risma di fogli colorati e lo schiumoso avvelenato mare che la infrange. Crepitii ed altri gabbiani disegnano la vera traiettoria di una libertà mai posseduta. Li osservo in una immagine coerente di quel tutto, e come tanti flash li blindo conservandoli nel file di quei momenti senza maschera che ricerco e che io adoro accumulare. La ferocia di quei contrasti e al tempo stesso l' equilibrio e la complicità. Il senso e' il pesce e il nutrimento. Il senso e' il volo e quel dannato vento. In quel punto, in quella pila di attimi che sto mettendo via, io riconosco il senso del confine e nella pila che sorregge quella costa e che resiste ascolto i limiti di una consapevole tortura. Anime che respirano fra i flutti, il volo di un gabbiano che rimane fermo a lasciarsi trasportare. Essenza e peso specifico che non obbediscono a leggi matematiche ma solo al grido di libertà che in quel momento io assaporo insieme al tutto e dal quale non vorrei mai andare via.





Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

07/10/15

I ricordi del bancone.




        Dove sono? A quale punto la traccia si e' interrotta fermando il suono che avvolgeva mentre quel whisky accompagnava la serata. Le luci soffuse del locale contribuivano al mio viaggio, e guardandomi intorno non avevo più timore di vedere. Dietro al banco Gianluca mi parlava del suo Halloween e di quanto lui gradisse l' arrivo del periodo natalizio. Non ricordavo che nel suo sensibile ma polveroso donarsi agli altri mi aveva un' altra volta già raccontato del perché quelle lucette natalizie non le aveva mai più accese dal primo Novembre.

Il pub esisteva dal 1992. In un giorno di Settembre presi il mio SH e mi diressi verso la sua inaugurazione. Erano cambiate delle cose negli anni, l' insegna gialla sul marmo aveva lasciato spazio ad un fine lavoro in legno. Gli artigiani che ci avevano lavorato avevano scelto una tonalità di blu molto elegante. Anche gli interni erano stati rivoluzionati. L' enorme mole di materiale sportivo appesa al muro aveva lasciato spazio ad una parete in tartan dove un gran quadro raffigurava una scena, credo di caccia. Spesso mi ero perso nella fettuccia a specchio che separava la parete dallo schienale in legno per le sedute, anche se leggermente opaco permetteva di osservare all' ingresso chi solcava la soglia.

Credo fosse nel '96. Ristrutturarono rendendolo quello che ancora oggi si conserva. E noi come lui, cambiati un pò tutti, per poi conservarci ancora nella stessa identica maniera di com' eravamo. Situazioni vissute ed abitudini ci avevano plasmato e fatto diventare quello che siamo oggi. Qualcuno adesso aveva famiglia, alcuni ancora dei figli. Altri avevano preferito imboccare la strada dell' essere solitario, altri ancora semplicemente non avevano trovato sulla strada qualcosa per cui valesse la pena tentare di cambiare questa splendida routine.

Un raro esempio in terra italica di quello che si può trovare comunemente in un villaggio della Scozia o sui terreni vicino Bala, in Galles, dove alla fine del lavoro hai il tuo posto da raggiungere per disquisire un pò sulla giornata, sulle magagne e su quello che farà la Lazio la Domenica successiva. La Lazio, proprio la Lazio, indelebile filo conduttore che a suo tempo unì i nostri cammini, fino a selezionarci, come si fa con i vini o con le birre, creando un nucleo di "locals" così granitico da spezzare ogni evento che la nostra tana nel tempo ha dovuto attraversare.

Dove sono? A quel punto la traccia riparte e dopo qualche istante la sua musica torna a diffondersi nei padiglioni auricolari allietando il mio tempo. Il vociare pacato e quella solita atmosfera. Roberto che giunge, la strada e le auto in doppia fila. Magari un pò di pioggia, per donarci altra atmosfera. Gianluca sibillino fra le spine a dividerci continua a raccontarmi di quelle luci. Il Natale sta arrivando e la musica lentamente cambierà, mutandosi in un' attesa di strenne e festoni ricchi di calore nordico, di quelli che non attecchisce quando il cuore e' arido. Fragrante freddo porta via il calore di un' Estate che proprio non ci azzecca nulla e, sebbene a Roma, tutti noi guardiamo a Nord, non per il freddo o le abitudini diverse, ma come puro concetto.

Tumultuose serate trascorse, intenti e minacce, poi quiete. Saccheggi intellettuali e rilasci educati che avevano soltanto l' intento di colpire. I soliti signori, alcuni buoni, altri meno, a scrutare nel buio e a misurare il livello di pericolosità del cuore. Mentre in questo bailam di sedicenti curiosi e per la verità, alcune volte, ragionate supposizioni, le maschere sono cadute via via abbandonandosi alla realtà di una strana consapevolezza che mescola adesso varie personalità fondendosi in una unica liquorosa comunità. Saggia il terreno come le labbra si bagnano di un whisky morbido, afferrano come le dita cingono un bicchiere al banco. Mentre il gomito con quella ragnatela che non sa di tatuaggio ma e' palese, appoggia sempre su quel piano di legno dove sono cambiati molti panni e dove sono state rovesciate varie birre, ma mai ha visto interrompere quel tempo che oggi lo attraversa.

Crepitii e silenzio, quando si e' visto molto, anche se non tutto. Tacere ed osservare il dorso del bicchiere mentre il fruscio delle altrui conversazioni vanno avanti e si mescolano anch' esse con la musica che va. "Sai quella volta..." continua Gianluca, "accadde che le spensi per il lutto...". Io sul principio non capisco, ma guardando i suoi occhi, che non sai mai se si commuove o se e' un pò avanti, continuo ad ascoltare. "Si perché ero solito accenderle dopo il giorno dei morti..." va avanti, ed allora mi convinco che l' oggetto del discorso torna ad essere le luci natalizie. A quel punto lo guardo ed un brivido mi scarica la schiena, facendomi piantare su quello sgabello il cui tatuaggio sono io.

"Da quell' anno, quel maledetto anno, ho deciso di accendere le luci solo dopo l' 11 Novembre. Per ricordarlo, per ricordarmi, per rispettarlo e fare come se non se ne fosse andato via." Un' annataccia per tutti noi, quell' anno lì, mentre le dita serrano il bicchiere. Ci sono immagini che lo raffigurano e scritte che lo ricordano. Ci sono berretti e voci che ogni volta me ne parlano. Ma le polverose sensibilità che abbiamo tutti noi ci hanno impedito di passare oltre, se non per regalarci una parvenza di vissuto minimal. E il cuore batte male, mentre le dita che han serrato e il polso sollevano il bicchiere ed in un fantomatico sorriso amaro portano alla bocca quel buon whisky che stavo gustando. In un moto di depresso ricordo termino il liquido che come fosse lui mi viene a salutare.

Dove sono? A quale punto la traccia si e' interrotta fermando il suono mentre il whisky accompagnava la serata. Accendi quelle luci solo quando questa festa ha inizio.



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