25/09/16

Risvegli.




          Che poi la sensazione di quel freddo non la perdi mai. Si può poggiare addosso come dei cristalli che, minuscoli, comprimono portando la tua pelle a dilatarsi ed a restringersi, come se fosse anch' essa un cuore che dentro i tuoi tessuti pulsa. Nudo istinto e la frizzante sopraggiunta volta autunnale che risveglia. Abbandonate le madide nottate a rigirarsi per poter resistere a quello sfiancante incatenato calore, germogli di nuove intense scosse affiorano come se elettrico i mio corpo si destasse sotto cumuli di cenere compressa. Frane di ciottoli convogliano dentro le stanze di una scena che riprende il suo trascorrere da un vetusto playback, dove vigori nuovi a desolante polvere rispondono come ruscelli pronti ad irrorare e a ripulire levigate superfici di quelle pareti cutanee che solo pochi momenti prima erano unte. Sporcizie di una Estate trascorsa a tergere e ad asciugare sotto i feroci colpi di un abbandono che sa di elevazione in una ionosfera ove l' ossigeno invece di scarseggiare, abbonda. Rilascio calori come fossero zavorra, e in una prima evanescente mongolfiera che via via si fa più nitida, sollevo le mie idee che sono insieme a tutte quelle sensazioni di quel vuoto strano che dentro mie pressioni adesso lentamente io abbandono. Crimini di ciottoli rappresi e lucidi, solleva il sogno in un costante impatto di pietruzze sminuzzate e gelo. E allora, solo allora ascolto il fuoco, quel fuoco che in me si perde per quei centoventi giorni dedicati alle emozioni aride, dove il dannato amante scalda i freddi cuori e dove non ribollono le anime che invece incendiano nottate umide di inverni lunghi e di buie nottate. Ritrovo me, dentro al letargo emotivo di quei liquidi ed incauti sciamani delle predizioni, dove ho ascoltato musiche lontane fatte di frane e passaggi di vento basso a musicar le fronde. Aria non c' era, e fra le beghe di una soporifera giornata trascorsa all' ombra, invece di dissetare me, lasciavo solo che fuggisse via per ritardare il senso delle cose e di questo sollievo che ora aspetto e godo levigandomi in attesa del mio nuovo sogno. Concentriche, spasmodiche, corrono via come i rimbalzi di una pietra piatta sulle liquide convesse curve di un piccolo lago, propagandosi come gli anelli di Saturno in una regola compressa dentro un diapason dal quale esce la nota. Ristora il fresco al tatto, e fra le modiche spese per l' attesa, va ad incidere su umori nuovi e voluttà perverse fra gli sciami di un pulviscolo che fa fuggire via gli insetti come delusioni, e si allontanano codarde lasciando nuove strade a nuovi piani scoscesi comodi e dai quali ci si può osservare bene. Collassa il calore e mi abbandona, tornando al vecchio modo di intendere il respiro stesso, mi crogiolo nelle dimenticate percezioni di una sagoma che di confine se ne intende bene. Ascolto il freddo riscaldando, incendiando il sangue, che ribolle gaio fra i suoi vasi e che permea sapientemente, e sebbene stiano passando nuove stagioni, negli anfratti ove me stesso e' uso albergare per il letargo, mi riconosco e mi beo di tutto quel che affiora e che ricordo. Esili che patisco anno dopo anno, esili da me. Costretto a rovistare fra le nuvole e fra il cielo nell' attesa di un nuovo Autunno che abbandona foglie per rinvigorire pianta. Perse vanno via, di cose futili a barili, lasciando la coscienza ed il senso primo di una vita cui mi sento di appartenere in toto, dove anche la solitudine di alcuni momenti può essere consigliera se non alleata ed amica, e dove essa stessa può gridare alla vita che lei si può riprendere quello che per centoventi giorni e' stato celato sotto le ceneri di quell' odioso amante troppo vicino.


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08/09/16

Lettera aperta a Maurizio.





        Per come la vedo io, caro Maurizio, più fanno così e più sono contento. Hanno timore che il gioco gli si impalli, e riuscire a fare questo sarebbe già tanto, perché le pecore che hanno preceduto Virginia Raggi, sia a sinistra, sia a...se la vogliamo chiamare così...a destra, non hanno accettato lo stato di cose, loro "erano" lo stato di cose, perché allineati ai voleri di altri da sempre.
Vedi, talvolta mi dicono...ma tu eri di destra e adesso voti Movimento 5 Stelle... Io rispondo si, e voto Movimento 5 Stelle proprio perché sono di destra, e lo dovrebbe fare anche una persona che vota a sinistra, perché con questo fatto dell' ideologia, dei temi, della sinistra e della destra, ci hanno intortato bene bene, e non vedo altra via di uscita se non quella di confonderli.
Ci hanno riempito e ci stanno riempendo di sganassoni da 70 anni a questa parte, raccontandoci la più grande bufala del Ventesimo Secolo, ovvero la Democrazia. Ci hanno anche fatto credere di essere liberi, ma in realtà si sono adeguatamente applicati, ed in maniera molto minuziosa, a lavorare da decenni proprio per costruircelo dentro la testa questo dannato recinto.
Siamo convinti di essere liberi ma non ci rendiamo conto che facciamo esattamente tutto quello che vogliono. Ci fanno la Nectar per fare la spesa, o la tessera della Coop per risparmiare, sono transazioni tracciate, due pentole e tre piatti di coccio in omaggio da mettere in vetrina e che forse non useremo mai in cambio dei cazzi nostri. Ci danno il Telepass e ci dicono che non ci costa nulla e non facciamo fila, anche questo in cambio dei cazzi nostri. Ci hanno munito di Bancomat, Carte di Credito, Carte di Debito, Postepay e quant' altro, e intanto sanno tutto delle nostre transazioni, insomma i cazzi nostri. Il problema non e' neanche chi evade, ma il controllo. Uno che controlli, se non fa quello che dici lo puoi spegnere una volta che le transazioni non avverranno più con la liquidità.
Poi ci danno la tessera della benzina, sconticino...? Sempre in cambio dei cazzi nostri. E adesso la Tessera del Tifoso. Pensi davvero che il problema sia la violenza? Il controllo, abituare le persone ad obbedire, oltre ai cazzi nostri. Si nutrono delle nostre fragilità. Non arrivi a fine mese...Nectar. Vai di fretta...Telepass. E poi guai ad andare in trasferta sprovvisto di Tessera del Tifoso, potresti scoprire qualche posticino dove si mangia bene e si spende poco se paghi in contanti.
Potrei andare avanti per ore, lo schema e' sempre lo stesso: crearti una esigenza per servirti una soluzione potenziale. Così facendo rendono meno voluminoso il quantitativo di flottante che se ne gira per il mondo...dici a te che te frega...ad uno che fa speculazioni se invece di spostare liquidi sposta in via telematica sarà un pò meglio credo. Pensa alle Epidemie. Tre settimane di Suina per venderti il vaccino. Poi l' Ebola, e non si sa quanti soldi hanno speso i Sistemi Sanitari Nazionali per munirsi del vaccino. E allora perché non far vedere una vacca che balla il rap e magari macellarne un centinaio e mandare in onda il video...magari hai delle scorte di pollo che stanno andando a male e le devi vendere. E allora perché non fare lo stesso con l' aviaria. Magari dovevi dare via un pò di conigli, o di mucche stesse, per restituire il favore.
Il cip del cellulare, quello del digitale terrestre, sanno sempre dove sei e cosa stai facendo, però ci raccontano che siamo liberi e ci fanno firmare la legge sulla privacy.
No! Noi dobbiamo essere liberi, ma entro i confini che decidono loro. Sono confini che già da tempo non si basano più sulle semplici e basilari regole del rispetto reciproco, e siccome ci stanno impiegando troppo tempo minano le fondamenta della Famiglia per creare un esercito di idioti, di clienti che chiedono una merce che e' loro: vita.
E le persone si prostrano mostrando le terga in maniera autonoma, di loro sponte, credendo però di essere libere. E' molto semplice, una cravatta sociale basata sulla diffusione della non consapevolezza e sull' ignoranza. Far credere che non e' possibile che accada...ma invece accade! Si può fare ed accade.
Dunque, fra tutti questi sganassoni che prendiamo, se vogliamo restituirne qualcuno, l' unica soluzione e' quella di confonderli, non devono capire da dove arrivano. E nel mentre che perdono tempo a rompere i coglioni, li possiamo annientare utilizzando le loro stesse regole.
Stiamo craccando il loro sistema, per riformattarlo di sana pianta. Possediamo la memoria remota, che deve solo essere recuperata e istallata di nuovo. Loro nel mentre parlano e continueranno a parlare fra loro come dei replicanti. Avranno risposte e soluzioni per cose che non sono più domande né problemi, quindi non serviranno più e verranno cestinati o messi fuori come spam.
Il difficile allora sarà per noi, che come in ogni realtà virtuale che si rispetti, avendo sconfitto il mostro di fine quadro, passeremo al quadro, al livello successivo: l' Europa. Non e' un una gara dei 100 metri, e' una Maratona, oppure una partita a scacchi, e se e' vero che il Re e la Regina giocano con loro, che hanno gli Alfieri, i Cavalli e le Torri a difendere, non e' una partita fra pezzi bianchi e pezzi neri (o destra e sinistra, o qualunque cosa serva a dividerci), perché vince sempre chi mantiene in vita il proprio Re. Questa e' una partita che si gioca fra Re e cortigiani da una parte e pedoni dall' altra. Solo che a questo gioco i pedoni sono 300 milioni, contro trentacinquemila. Sul piatto c' e' il futuro di tutte le persone europee.
E' possibile che io mi sbagli, ma pensaci solo un attimo e, mi permetto, lascia perdere la Meloni che poi al dunque ha sempre votato come votano loro. Ma lascia perdere lei come Gasparri, LaRussa, D' Alema, Rizzo, Occhetto, Fini e Cicciolina (i Cavalli), lascia perdere i Giornali e le TV ( le Torri), lascia perdere i dirigenti delle forze di Polizia e tutti quei signori che decidono le manovre economiche e delle industrie farmaceutiche (gli Alfieri). Si intende, lo dico e spero tu ne comprenda il senso, oltretutto sei una persona più grande di me alla quale devo rispetto, perché lo meriti e perché così mi ha insegnato mio Padre.
Ma pensiamoci bene perché giocata questa partita, di altre possibilità non ne abbiamo. Dopo questo l' ultima stazione credo siano i fucili e la rivoluzione. Io non ho figli ma ho nipoti, tu hai molto più di me da mettere sul piatto: abbiamo la responsabilità dei sogni o degli incubi che gli andiamo a lasciare.


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05/09/16

Il popolo mangiato dalla polvere.




           Dove va a morire la Persia? Affonda nelle isole del Mare Egeo oppure si annida fra le maglie sottili di un arazzo rifinito con dei fili d' oro appeso a un muro? Ne delimita il confine il Caucaso o raccolto nello scrigno di quel Medio Oriente raffinato più del suo petrolio? E lunghe carovane continuano a sciamare come se in un altro tempo si potessero cercare nuove Vie. Solcata quella vastità di rudimenti e delizioso fascino, viandante si abbandona al fresco di una notte mite per cullare desideri silenziosi dietro gli angoli più angusti di città ammassate, polverose e di randagi che sia arrangiano inseguendo qualche cosa da mangiare.
Nuda noia al momento del thè, quando quell' alito di vento arriva per incontrare le tonalità soffuse di quel giallo-arancio dei palazzi bassi, con tutti quei finimenti che come sentieri sono in grado di far perdere ad un occhio poco attento, e come medicina mischiano e raschiano i pensieri come fosse un elisir. Nel rumore di un brindisi che sbatte dei bicchieri gli uni contro gli altri, l' ambra ed il fumo di quella bevanda si mescolano ad un tramonto senza eguali, miscelandosi fino a riempire tutti gli occhi, andando persi un sorso dopo l' altro, ed affogando nella sazia sagoma che fa il confine.
Gli archi e una locanda assicurano un ristoro tranquillo, mentre la notte giunge piano coprendo quel che del cielo era rosa e arancio e adesso sfuma via. Inerzie del tempo che passa e meccaniche disciplinate azioni che stancamente si ripetono in questa ossessiva routine. Un nitrito e poi un altro, giungono rumori dal caravan serraglio, ma il calore del tappeto scalda i piedi nudi e i rudimenti di una vita semplice di cose appena sufficienti. A qualcuno basta. A tutti sembra bastare. Mentre quel fumo che era thè adesso quasi onomatopeico si trasforma in rumore. Tutti quei dadi che corrono e quelle pedine appoggiate sul piano di legno a triangoli. Una ossessione quel gioco, e mentre i più sono alle prese con il qalyan. Agli angoli qualcuno mastica le foglie di qat di contrabbando cercando di non farsi notare, ma mansueti ed assonnati assistono alla scena essendo quasi pertinenti a tutto il resto, oramai alla stregua di una nenia.
Il giorno corre veloce seguendo la curva del Sole. Le ore dove e' più alto ci si ripara per non essiccare o bruciare le idee. Racconti in lingua antica che appena comprendo parlano di gente istupidita dal calore, gente che e' vissuta andando via la notte fra code di farneticazioni, di racconti ed urla per non ritrovarsi la mattina su quei materassi di iuta o quei tappeti che li avrebbero potuti accogliere, e che ne avrebbero potuto accogliere tutti i pensieri. Candide canaglie il popolo mangiato dalla polvere, andati via dall' esistenza senza degna sepoltura, eppure ancora lì a rappresentare tutto ciò che di incrollabile in un uomo cresce dondolandosi fra il tempo e il proprio arbitrio. Fugaci lampi di un cielo stellato che segnano misura al sogno accarezzandosi nel viola cupo di una celere burrasca che si affaccia all' orizzonte. Così come i colori dei tappeti e quei nitriti scosse dentro il caravan serraglio. Nodose mani aiutano a cercare dentro i sogni quell' esatto istante che riesce ad irrorare le meningi e che come una cometa cade dritta dal soffitto sulle nostre fantasie di libertà.



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Convergere fino a sovrapporsi.





                  Ero rimasto ad osservarla immobile, mentre scalza e completamente nuda se ne stava andando verso il bagno. Sentivo l' incedere dei suoi passi, finalmente calmi, e immaginavo il punto esatto in cui si andavano a poggiare i piedi. Vedevo la loro forma dilatarsi per aderire al pavimento e poi, sinuosamente, ricurvarsi per il successivo passo. La forma del suo corpo era perfetta. Non molto seno, proprio come piace a me, ma con un culo bello da impazzire, e poi quella straordinaria curvatura dei suoi fianchi. Mi ricordo che avevo passato e ripassato il dorso della mano sulla pelle all' altezza del bacino, e questo, non so come, l' aveva incuriosita e divertita, fino a quando poi la notte non si era fatta seria e ci eravamo abbandonati a stare insieme. Ricordo di essermi domandato molte volte cosa ci avesse trovato di tanto interessante in me, da chiedermi di accompagnarla a casa e poi farmi salire. Ero un abile servo della lingua, per carità, che talune volte innocentemente, altre un pò meno, alimentava la conversazione guidandola in anfratti dove qualcuno si disinteressava o dove gli argomenti potevano riempirsi di uno strano angolo che incuriosiva, ma tutto qua, con buona pace dei viveur e degli appassionati della seduzione.
Le armi per la verità non le mettevo in campo quasi mai, perché le velleità venivano sepolte non dall' assenza di desiderio, ma più che altro, dalla delusione che provavo spesso per le ovvietà. Non ero un amante del perfetto, anche perché in primis io ero un racconto sui difetti e sui miei limiti, e pativo assolutamente un mio concetto di bellezza canonica, ma quando l' imbarazzo incontrava qualche sua sofisticatezza fuori luogo, o che crollava sotto i colpi della sua voglia di teatralizzare la scena, veniva meno tutto. Mi accorgevo di fuggire via da certi atteggiamenti, che li pativo quasi vergognandomi, e sebbene mi trovassi ancora lì di fronte a lei, fisicamente, la mente ed il pisello già avevano lasciato il tavolo per andarsene a trovar riparo in qualche anfratto dove l' ovvio e la banalità potessero restare fuori.
Altro discorso accadeva quando lei, invece, riusciva a non sbagliare nulla. La giusta dose di buona educazione e di sensualità si mescolavano con quel canone di forma che apprezzavo e con la giusta dose di uno sguardo che poteva frantumarmi e diventare complice.
Non credo fosse per la posta in gioco, magari più per la pressione del momento, avevo qualcosa che col mio modo di essere si fondeva, e come un esattore delle tasse, puntuale, giungeva un mio passaggio a vuoto dove l' idiota che e' in ogni uomo che vuole fare il gallo metteva a repentaglio dei sorrisi e delle placide idee di mescolare insieme le proprie vite per un lasso di tempo anche breve.
Quando capitava le gambe erano sempre un tremolio fragoroso, ed avevo spesso la sensazione che i jeans potessero scivolarmi da dosso, ma poi mi riprendevo e non volevo fare altro che toccarla e sentire quale odore avesse.
Così era stato quella sera, e pensare che una mia mossa troppo azzardata, oppure troppo celere, mi aveva anche fatto guadagnare un piccolo buffetto sulla faccia. Come al solito la mia assoluta incapacità di agire per tempo aveva rischiato di rovinare tutto, ma avrei scoperto che proprio quel gesto di educata insolenza fu per lei l' ago di una bilancia emotiva che l' aveva eccitata. Baciami ancora. Stringimi. Ed eravamo stati lì entrambi, dentro casa sua, con quei due calici di vino rosso mai finiti appoggiati in terra, e con il suo sguardo che mi fissava quando dal bagno il rumore dei suoi piedi ne annunciavano il ritorno.
Forse solo sesso, forse per una notte e per mai più, ma l' indelebile traccia del suo odore nel mio naso e sulla bocca, e l' istante in cui la mano stringe l' anca e che l' ha fa girare.


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04/09/16

La tenera amante.




            E' dentro un flash che acceca gli occhi. Esattamente lì, dentro quel breve istante che ritrovo il desiderio di far correre la penna sulla carta. Ne e' testimone inchiostro che deposita e si asciuga disegnando curve che come petali diffondono odorose liquide virtù. Condizionato in ogni istante da quel libro che si va affrontando come fosse una parete che mi ruba il tempo, ritaglio il tempo stesso in un momento dilatandone le pagine per asciugarne ancora questa idea che lo attraversa.
Crepitii di un' anima inquieta che riavvolge nastri per guardare in lontananza. Dardi scoccati da balestre che alle tremule corde incrostano, sigillandole, piccole note di diapason che altrimenti si disperderebbero diffuse su tutte quelle pagine che cancellate e ricorrette vanno spesso via. Timori e disgregate fantasie, dentro la stessa macchia che si propaga e che si blinda in quel tessuto che come l' epidermide li accoglie.
Frenesie di un tempo che si scuote per lasciarsi andare, e in una replica di archi che ai lati come fossero di un chiostro, delimitano spazi angusti ed operose, meccaniche dita per produrre suoni che divengono infiniti. Sorprese per gli astanti e la fontana al centro, dentro quei corridoi che simmetrici si spezzano in quell' angolo dell' ovvio che non possiede curve, lievita le densità cullate sopra al freddo cotto sotto i piedi che accompagna.
Amanuensi prestati a un momento di svago, dove il taglio del Sole illumina parete e che la scioglie in quel medesimo inchiostro che adesso cade giù. In quel rigagnolo di nera pece scorrono le intensità di una vita vissuta attraverso, dove sono intese bene, chiare, le ombre di un soffitto calpestato, e dove invece si trascurano le scene solite di passeggiate verso siepi e nei giardini di una comoda decente noia che ci basta.
Sazio mai di oltrepassare il segno, come se pagina si distendesse ancora per non finire mai. Nelle tende di una cruda valle resto ad ascoltare il suono di un messaggio lungo che ci scuote ancora. Vettore osserva e regola che detta avvolge. Dentro la scena arriva il gelo e in un aiuto ancora suoni nuovi e nuove brezze. Scossa la vita e lacerato il fianco, resta l' incanto e quel desiderio di ripensarsi ancora seduto ad uno spesso tavolo di legno antico con la penna in mano. Guardare il foglio che ho di fronte e' spesso stato una ovvietà, ma in questo istante, dove vedo il soffitto e trovo il cielo, raccolgo le macerie di tutto quello che mi cade dentro, e celebrando un ordine che voglio ritrovare, adesso stringo la mia penna fra le mani perché e' proprio lì, dentro quel foglio e in poi, che il naturale corso delle cose si va riprendendo.
Ho nulla, ripeto, fra le mani, se non un pò di polvere, di sangue e quella penna. Guardando i miei vestiti laceri provo il dolore di chi vivrà non incontrando più nessuno, ma in quell' inchiostro ho ancora il mio ricordo e quel rumore del vento che non cambia, come non cambia il freddo delle valli dove ho scelto di invecchiare.
Una pagina, una vita, una ferita. Tessuto di una tela che preziosa si riaffaccia alla musica che l' accompagna.
Tenera amante, non crollare.


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