22/12/14

Taiga.




     Crepitii di neve fresca e ghiaccio friggevano sotto il sole che stava sorgendo. L' alba rinfrancava le bestie che avevano passato la fredda notte nelle tane ed alla spicciolata un pò tutti gli abitanti della foresta si stavano riaffacciando. Una pioggia colata dagli alberi si precipitava sul terreno bombardando quel soffice velo di granita limpida, mentre il ruscello ospitava quei piccoli insetti sulla sua superficie, e fra breve sarebbero giunti anche i loro predatori per bere e mangiare. L' alce passeggiava fra la radura colpendo il terreno con la bocca in cerca di qualche radice. Il suo manto aveva acquisito una tinta cenere causa la fitta neve degli ultimi giorni passati mentre la stagione degli amori si approssimava e, come tutti i cervidi, cominciava a sviluppare le sue grosse corna che gli sarebbero servite per duellare e dare il suo forte seme alle femmine per la continuazione di una robusta razza. Al passaggio il rumore degli zoccoli allertava gli uccelli sui rami che in coro di musica spiavano e avvisavano gli altri. Al terreno scoiattoli ed ermellini candidi saltellavano indisturbati ma vigili, così come faceva quel lepre bianco come la neve che in questo momento non aveva avversari.
Con l' orso in letargo l' unica insidia rimaneva il branco di lupi che batteva in lungo ed in largo il territorio in cerca di qualcosa da mangiare, ma quella mattina c' era troppa luce perché potessero tentare una sortita. Altre volte il branco aveva colpito sapientemente; strategicamente aveva atteso che la nebbia si abbassasse per attaccare, oppure la notte, col numero a favore, aveva tentato sortite anche contro prede parecchio più impegnative, e qualche volta aveva anche vinto.
La foresta aveva un' anima, nel risveglio fermo, il vento si piantava e sembrava guardasse, quasi rapito e per non disturbare timidamente si ritirava fino a non soffiare più. La danza di quell' acqua che si scioglieva tiepida accompagnava e le gocce che vi si immergevano come tamburi battevano il ritmo. L' uomo non aveva spazio in questo mondo fatto di immenso. La vastità del paesaggio come consuetudine regolare raccontava di distanze siderali dall' insediamento umano più vicino. Tutto appariva perfetto, intonso, nessuno aveva mai toccato nulla, ed a scandire le giornate erano solo il sole ed il buio, vergati qua e la nel loro trascorrere da qualche predatore e qualche preda che di tanto in tanto vincevano o perdevano per la buona o la cattiva sorte dell' altro. Le bufere arrivavano per spazzare e pulire. Gli alberi più vecchi sotto le raffiche crollavano e diventavano a loro volta tane per ulteriori bestie scampate, e tutto si rinnovava con un ritmo quasi immobile che attraversava il tempo. Bestie morivano ed altre nascevano, le prime diventando nutrimento per altre bestie, le altre attendendo che qualcuno gli portasse nutrimento. Non si udivano fucili, ne cacciatori, ne bracconieri. Non si udivano gli echi di elicotteri e di aerei che passavano per perlustrare. Non c' erano militari che avevano bisogno di difendere ne file indiane di esploratori in cerca di nuova fama. L' ovvia staticità di questo paesaggio, il suo silenzio assoluto, la sua straordinaria purezza sconcertava da una parte, mentre dall' altra dava il saggio senso del vero nelle cose: in Natura non si deve fare niente. Non  perché il pigro o l' immobile abbia ragione, ma perché nel lento scorrere alberga l' effettivo senso della vita, che non e' un precipitare a terra come un sasso ma rimane sempre un lento oscillare dolcemente su una zattera di piuma.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

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