15/10/14

01 Febbraio 1998: Napoli-Lazio.




       L' ennesima trasferta. La più strana.
Forse perché quel giorno avevo chiesto a Maria Grazia di accompagnarmi alla stazione. Lei non aveva esitato un istante, aveva annuito e con la sua Peugeot bianca eravamo andati a Termini. Mai avrei immaginato di ritrovarmela, dopo averla salutata a Via Marsala, mentre stavo prendendo un caffè al bar.
-Vengo con te- disse. -Non se ne parla- io risposi. Lei non sapeva nulla di pallone. Doveva desistere dai suoi propositi, per forza.
Era Domenica 1 Febbraio del 1998, la trasferta era a Napoli, ed i tifosi partenopei non erano fra i più accoglienti nel novero nazionale. Va detto in realtà, che anche a noi laziali loro non erano affatto simpatici. Questa antipatia affondava le proprie radici in questioni lontane due decenni e più e, se ce ne era bisogno, ad aggiungere benzina sul fuoco c' erano stati anche svariati anni di gemellaggio fra loro e quei simpaticoni dell' altra sponda del Tevere. Non era esattamente una partita da affrontare in treno portandosi appresso una fanciulla, anche se col carattere di Maria Grazia.
Quello che dissi non servì a nulla. Lei aveva già fatto la sua scelta, prese dei bocconcini di pollo e si recò a fare il biglietto. Io mi rassegnai. Ci stavamo frequentando da qualche mese, lei piaceva ad un ragazzo che conoscevo. Una volta capitammo in discorso ed io tentai di sponsorizzarlo, però, come spesso accade, gli argomenti precipitarono e ci ritrovammo a vivere una relazione.
Era terribilmente cocciuta, e questo mi piaceva da morire. Sapevo che mi sarei caricato un fardello impegnativo per quella trasferta, ma non avevo modo di controbattere alla sua decisione.
Il treno partì puntuale. Circa un migliaio di laziali si erano accomodati su quella diligenza gusto cuoio. Mentre salutavo i ragazzi che conoscevo che si avventuravano nel via vai del corridoio, ero profondamente imbarazzato da quella presenza femminile. Per me era la prima volta, e sarebbe stata anche l' ultima.
Ero preoccupato e pensavo a cosa avrei potuto fare una volta giunto alla stazione di Campi Flegrei. Ero stato a Napoli parecchie altre volte e gli arrivi, il cancelletto verde da passare uno alla volta e quel tragitto che portava alla rampa del settore ospiti lasciandosi a sinistra i padiglioni della Mostra d' Oltremare erano stati sempre parecchio turbolenti.
Il quartiere di Furigrotta, in altre occasioni, aveva preso le sembianze di un alveare dal quale queste operose api, gli scugnizzi delle curve A e B, si dimenavano rumorosamente, lanciando di tutto come si fa con il riso ad un matrimonio. Quando questo succedeva, di solito un nutrito e compatto gruppo di nostri tifosi rispondeva staccandosi dal corteo e caricando e ricacciando questi piccoli insetti nelle vie dalle quali erano apparsi. Sinceramente sperai che quella sera non scoppiassero tumulti, e mi arrovellai il cervello su cosa avrei dovuto fare nel caso per proteggere Maria Grazia qualora fosse avvenuto.
Questi miei nebulosi pensieri mi sollevarono da tutto. Forse anche per questo quel treno volò, tanto che mi accorsi di essere a Bagnoli, qualche centinaia di metri prima della stazione di Campi Flegrei. L' apatia che mi donò quello stato mi stava tutt' ad un tratto abbandonando, e col suo venir meno montava l' ansia quando voltavo lo sguardo e mi rendevo conto che lei era li per davvero.
Lo stridio dei freni e quella puzza di ferro e carbone succedettero ai cori contro il Napoli ed a quelli per la Lazio, intonati dalle nostre leve affacciate ai finestrini. Un treno di mille persone e' lungo a fermarsi, vedevo negli occhi di Maria Grazia lo stupore per una situazione nuova. Per alcuni istanti sembrò affascinata da quanto stava succedendo, ma dovevo prepararla a quello che sarebbe potuto succedere: un velocissimo vademecum sul da farsi in caso di problemi.
Volevo godermi un pò di Lazio anche io, mi affacciai in un piccolo spazio che si venne a creare su un finestrino, gli insulti volavano mentre il treno non si era ancora fermato. Maria Grazia mi chiedeva cosa stava succedendo. Era più bassa ed oltretutto non le avrei mai permesso di mettere la testa fuori, qualche bontempone avrebbe potuto tirare qualcosa verso il treno... Vidi un plotone in tenuta antisommossa in attesa del nostro arrivo. Qualcuno era nell' atto di indossare il casco, altri sbattevano i loro manganelli nei palmi delle loro mani coperte da guanti. Era come se ci stessero dicendo che ci stavano aspettando, mentre i funzionari, distinguibili dagli abiti civili e dalle radio, sebbene indossassero i caschi anch' essi, si voltavano nervosamente impartendo ordini alla rinfusa.
Era la prova del nove, la prima situazione critica. Cosa sarebbe accaduto alla discesa dal treno dei nostri tifosi? I laziali pretendevano spazio, la Polizia ed i Carabinieri spingevano per non darlo. Iniziarono le danze. Immediatamente le frange più vicine dell' una e dell' altra parte iniziarono a scontrarsi, la Polizia arretrò quel tanto da poter permettere ai tifosi di incanalarsi nel sottopassaggio che portava all' uscita.
A quel punto gli animi si placarono e l' ingresso nel sottopassaggio dei primi tifosi avviò il passaggio del resto delle persone. Il buongiorno non era stato buono, pressato nella masnada di gente guardavo lei, che aveva lo sguardo preoccupato di chi aveva iniziato a considerare le conseguenze che la scelta di seguirmi avrebbe potuto generare. Era senz' altro la prima volta che Maria Grazia aveva assistito a dei tafferugli, sebbene fosse stata una manciata di secondi. L' espressione del suo viso, ad un tratto, era mutata totalmente, ed allora ero io che in quei momenti cercavo di mantenerla calma. Altri agenti erano fuori, sul piazzale antistante la stazione, Piazzale Tecchio. Quella era la testa, coloro coi quali c' erano stati problemi, la coda.
Il corteo iniziò a muoversi solo quando anche l' ultimo laziale fu uscito dal cancelletto verde laterale, a destra, rispetto alla struttura della stazione. Facemmo per andare e la solita "L" che porta verso la Mostra d' Oltremare. Avevo detto a Maria Grazia di mantenersi sempre vicino a me, e lei, dopo aver visto quanto successo prima, aveva annuito. Ci approssimavamo all' altro punto critico dove negli anni passati c' erano stati problemi, prima della rampa che sale al settore ospiti. Spesso dal viale al fianco della Mostra d' Oltremare si erano affacciati dei tifosi del Napoli in cerca di paga, ma tutto sembrava tranquillo, quando l' esplosione di una potente bomba carta sull' altro versante, ad una distanza di duecento metri circa, alla nostra destra, fu il biglietto da visita di un folto gruppo di tifosi napoletani, che stavano cercando di rompere il cordone di Polizia che faceva da cuscinetto dal loro lato fra le due tifoserie. Alla vista della scena, quasi a voler difendere l' oltraggio dell' accesso al castelletto, i nostri cominciarono a fare altrettanto con la schiera di agenti che presidiava il nostro fianco. A quel punto l' intero corteo iniziò a muoversi come una massa magmatica senza pace in tutte le direzioni, io presi Maria Grazia sotto braccio e le misi il mio cappello sulla testa, temendo lanci di pietre o monete. Lei obbediva silente a tutto quello che le dicevo, ma in realtà avevo anche un altro aspetto da considerare: i napoletani avevano preso un pò di campo, ed i nostri avevano fatto lo stesso. Le due frange si erano avvicinate notevolmente e ripetevo a me stesso cosa avrei dovuto fare qualora i due gruppi fossero venuti a contatto, il rischio era concreto, ma ragionare fra quelle urla, le manganellate degli agenti, questa massa agitata che si dimenava in un senso e nell' altro, era difficilissimo. Del nostro migliaio almeno trecento avevano deciso di ribattere all' onta di essersi presentati dei partenopei, e volevano giungere a loro per poterli ricacciare direttamente. Di la lo stesso, si avvicinavano agli agenti, ingaggiavano scontro, per poi riparare indietro e ripartire. Arrivò uno dei momenti di stanca in cui la grossa parte degli agenti a noi dedicati ci pressò verso la parte alta della rampa, dove allo strappo agli inservienti era stato ordinato di aprire i cancelli e, letteralmente, buttarci dentro lo stadio. Questo avvenne con qualche ultima carineria che ovviamente coinvolse persone in testa al gruppo, cioè le ultime a voler cercare scontro coi dirimpettai. Il bilancio fra i nostri fu qualche testa rotta, parecchie braccia livide ed una sudorazione nervosa dovuta allo stress sopportato. Anche qualche agente si fece refertare per qualche colpo subito: entrammo.
Maria Grazia era seduta e rimaneva in silenzio. La prima cosa che le dissi, ovviamente, fu che l' avevo avvisata che Napoli-Lazio era la partita meno indicata per decidere di seguirmi. Stava riflettendo, ma iniziò subito a commentare quanto avvenuto, e la cosa strana e' che lei comprese, pur avendo un occhio critico, che quanto successo era accaduto per estrema volontà di mostrare agli altri quanto l' affetto per la propria squadra fosse maggiore, e avrebbe spinto "oltre" le singole velleità, pur di raggiungere lo scopo.
Devo dire che in quel momento mi spiazzò. Avevo parlato molte volte con delle persone che mi chiedevano i motivo per cui io mi ostinassi a seguire la Lazio nonostante gli incidenti che Domenica dopo Domenica si susseguivano sui vari campi d' Italia. La risposta più carina che ricevevo dall' interlocutore era che evidentemente piaceva menar le mani anche a me, o comunque trovarmi nei problemi. Non solo Maria Grazia non si era fermata alla squallida facciata, ma oltre ad aver ragionato, aveva anche capito, tant' e' che fu proprio lei a suggerirmi quella sera, mentre aspettavamo l' inizio della partita, la metafora del Forte.
"Tu hai un Forte, e il tuo avversario ne ha un altro. Tu parli del tuo Forte come se non ce ne fossero di uguali, l' avversario fa altrettanto. Se i due Forti sono sufficientemente lontani da ignorarsi allora può darsi che non accada nulla, ma se così non e' l' uno vuole mostrare all' altro che il suo è migliore, ed e' disposto a tutto pur di farlo.".
Nello stadio ci fu un tifo incessante da parte nostra, loro avevano i soliti , radi, boati, ma la partita ebbe solo sussulti inutili. Quella sera la Lazio giocò bene, ma la sfida fra Casiraghi e Taglialatela fu vinta da quest' ultimo, il quale parò tutto, anche l' indicibile. Alla fine del match portammo a casa un punto e, come da copione, rimanemmo nel settore chiusi e presidiati come carcerati, in attesa del deflusso dallo stadio S.Paolo dei tifosi della squadra di casa.
La noia e la stanchezza affiorarono e qualche scaramuccia e qualche insulto fecero da corollario all' apertura dei cancelli per riportarci verso la stazione dei treni. A presidiarci gli stessi agenti dell' andata che, visto quanto successo, non permettevano il minimo accenno a qualsiasi richiesta che subito alzavano la voce se non il manganello. Il ritorno in stazione fu tranquillo. I tifosi partenopei evidentemente si erano ricacciati nell' alveare da dove li avevamo visti uscire. Arrivati ai treni però, un ulteriore parapiglia divampò fra agenti e un nutrito gruppo di tifosi, che rimproverava ai primi di aver colpito nel mucchio senza avere contezza di chi faceva cosa. Gli agenti ebbero il loro da fare per far risalire tutti sul treno, nel mentre io e Maria Grazia ci eravamo impossessati di uno scompartimento, avevamo chiuso le tendine e stavamo pregando che nessuno ci venisse a bussare. Era tardi, eravamo stanchi, ed avevamo voglia di dormire.
Il treno partì e quello fu il segnale che noi eravamo riusciti nel nostro intento, la velocità non era sostenuta. Dopo poco si fermò di nuovo, noi pensammo ad un semaforo sulla ferrovia, altri sostennero nei giorni successivi di un freno tirato, eravamo ancora troppo lenti per comprendere la natura della nostra sosta. Fatto sta che al sentire i cori dei ragazzi sul treno, dai palazzi di fronte persone cominciarono ad affacciarsi ed a gridare improperi contro gli occupanti. Fu il putiferio. Si aprirono le porte di vari vagoni, la gente inviperita da ritardi, manganellate ricevute e trattamento, si accalcava in prossimità delle uscite. Iniziò una fittissima sassaiola da ambo le parti, volarono tavole di ponteggi e pietre ruppero finestre. Furono 10 minuti di pura follia. Io e Maria Grazia ci guardammo. Iniziò una corsa a ritroso di tutti i ragazzi che erano scesi. Dopo qualche istante cominciarono a salire sul treno degli agenti, mentre le grida dai palazzi continuavano. Il loro lavoro era aprire gli scompartimenti e manganellare qualunque cosa si muovesse. Fecero così per tutto il treno, non risparmiando nessuno tant' e' che ci fu nei giorni seguenti, anche un' interrogazione parlamentare dell' On. Martini perché fosse giustificato l' operato delle FF.OO. Furono picchiati anche dei disabili. Tre persone furono ridotte in gravi condizioni ed a Pozzuoli, quando il Reparto Mobile di Napoli ci consegnò a quello che ci avrebbe portato a Roma, vidi discutere a male parole i due responsabili, quello che ci prendeva chiedeva spiegazioni di quanto avvenuto alla vista delle tumefazioni sui volti delle persone e sul numero delle teste rotte. Pazzesco.
Quanto a me e Maria Grazia, fummo probabilmente gli unici su quel treno ad essere graziati. Quando la porta dello scompartimento si aprì, il manganello era già alto, ma fortuna volle che alcuni attimi prima simulammo un bacio per tentare di sfuggire a quella che fu definita dai giornali nei giorni successivi "una mattanza" . Funzionò. Un altro agente tentò di entrare, ma il primo, vedendoci così, richiuse la porta proseguendo la processione. A quel punto ci baciammo davvero.
Quella sera tante persone maltrattate e stanche presero altri colpi ingiustamente. Quella sera Napoli Lazio divenne uno scontro città contro città come per la verità mi era già capitato di vedere in passato, anche se mai così pesante.
I poliziotti non furono leggeri, ne tanto meno giusti. Se non hanno mai risposto a nessuno per quella sera credo sia uno schifo, perché ciò che vidi quella sera, e ascoltai e lessi nei mesi successivi, mi allontanò parecchio dal concetto di tutela del cittadino.
Il treno fermò alla stazione Tiburtina alle 04.20 del mattino. Non era ancora finita, degli autobus navetta ci riportavano alla stazione Termini, dalla quale eravamo partiti. Raggiungemmo la macchina e Grazia mi accompagnò a casa. La salutai e mi avviai, con la promessa di vederci a lavoro l' indomani.
Sul portone di casa pensai a quello che avevamo passato, personalmente feci il paro con quattro anni prima. A casa mio padre e mia madre dormivano, io aprii la porta piano per non svegliarli, mi spogliai, raggiunsi il bagno e lavandomi le mani mi guardai allo specchio. Ero stanco, passai le mani piene d' acqua sul viso ed espirai forte, ripetei il movimento insaponandomi di nuovo il viso e risciacquandolo. Mi voltai per prendere l' asciugamano e riconobbi di fronte la sagoma di papà che sottovoce mi disse: "bentornato". Io lo abbracciai ed andai a dormire.

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