29/09/14

Il Passato.



        Aliti di un passato amaro riaffiorano in pochi istanti. Ricordi sepolti di sensazioni piegate emergono sul desolante limo di una paludosa lettura. Una mescola di umido ed acque sporche ammassano fango nei miei pensieri mentre volgo lo sguardo a quello che fu; ciò che vedo non mi piace per niente e ho deciso in un solo attimo che neanche questo sarà il mio orizzonte. Velate parole, pronunciate sulla base del nulla, hanno già guastato quanto era inimmaginabile e magico nel mio trascorso. Avrei saltato mondi di fantasia a piè pari per rivedere ancora quei prati dolci di melassa e grano, mentre il sogno di poterli pensare ancora solletica la mia pelle con brividi intensi come scosse elettriche.
Un impulso di immobile raccapriccio per degli stati d' animo fuggiti via secoli fa, come in una vita vissuta altre volte dove sono già morto, impercettibili tornano come un lampo. La saetta non scuote perché la scorza e' oramai granitica, ma incide. L' umore e' pessimo, ma la solita mano di vernice già si prepara per colorare anche questo.
Il mio pennello e' passato su tutta la tela, colorando a tratti anche la stessa cornice. Il timore e' che parte della tavola restasse scoperta a far male, e doveva andar via. Lavoro già fatto, per il quale la strada ho trovato con anni. Grumi di colore essiccati consegnavano uno spessore rocambolesco ed un vento gelido inghiottiva l' opera nel trascorso, un buco nero di una dimensione lontana, che doveva essere agli antipodi di ciò che sono. I pastelli raccontano e gettano via, ma la penna o il pennello ricordano, descrivono. Una sensazione cupa coperta da un verde prato, la noia sopraffatta dal giallo luce di un sole potente. Arancio, marrone e altro verde per le foglie che cadono giù: cadi anche tu.
La fragilità di un individuo va compresa, ognuno grida al suo passato e alla sua strada. La fragilità non e' pretesa, né certo può mai diventare accusa. Il casello di questa autostrada è passato da tempo, egoismo celato dietro la sua insicurezza ha terminato i miei giorni con lei: ne ho pagato il pedaggio. Un conto salato e rinuncia ai miei sogni sopiti, ma soltanto una cosa ho imparato: da quel giorno io sono me stesso e non cambio un istante.
Quando un giorno persona paziente sarà buona stella, vorrà dire che avrò scelto per me ciò che cerco, cioè quella. Mi giunge in aiuto e quel sogno ricorre come monito. Vedo un crepaccio e ci sono concave aiuole, alte come verdi montagne. A terra quelle onde di metallo si incontrano e delimitano il confine di un asfalto spaccato. In cima a queste montagne aiuole pini e l' immagine mia che sospesa si getta nel buio. Il mio sogno e' interrotto, ho paura, e proprio in quel punto mi sveglio.

All Rights Reserved - Roberto De Sanctis

21/09/14

Il bambino di Trinidad.



         I miei occhi si erano fissati sulle mani di quell' anziana signora. Sinuose stringevano il collo di quella creta che stavano lavorando ed affinavano per poi tornare a darle quell' apertura necessaria per ciò che quella creta sarebbe divenuta: un vaso. Era la prima volta che mi capitava di osservare la lavorazione della terracotta ed ero rimasto veramente colpito da quanto avevo appena visto. Mi sarei volentieri seduto a parlare con lei per qualche minuto, ma eravamo nella gabbia dei criceti, impacchettati per un turismo improvvisato nella città di Trinidad, e la casa coloniale stava aspettando tutto il nostro gruppo.
Avevamo trascorso la notte nel vecchio sanitario, che campeggiava al di sopra di Trinidad. Era stato trasformato in un grande albergo, di lusso, si direbbe, per quelli che erano gli standard del luogo. Avevamo consumato una favolosa cena in una palafitta di legno tinteggiato di bianco costruita in piena giungla, poi ci eravamo spostati a bordo piscina per vedere uno spettacolo di quelle musiche caraibiche che a lungo andare finiscono per rincoglionirti se non le sai almeno ballare un pò. Insomma, eravamo in un posto più che giusto. Solo alla mattina, riscendendo, notai che quella imponente struttura bianca spezzava dolorosamente uno scenario di giungla ininterrotto, che si fermava soltanto tuffandosi negli straordinari colori pastello delle case della piccola cittadina.
Il nostro gruppo si stava muovendo. Quando arrivammo davanti alla casa coloniale c' erano dei bambini che giocavano con la palla. In particolare mi incuriosì uno di loro, avrà avuto nove o dieci anni. Non ci aveva chiesto soldi come altri avevano fatto a Cardenas e a Cienfuegos. Era scalzo, non indossava nessuna maglietta, aveva soltanto un paio di bermuda di un colore fra il verde militare ed il beige. Io non pensai per un solo istante che lui potesse essere poverissimo, il suo sorriso riempiva i suoi denti fino a farli brillare al cospetto della sua cute nocciola. Lo chiamai e lui si fece avanti, gli chiesi se potevo avere una foto con lui, lui fece cenno di si con il capo. Presi la macchina fotografica e la consegnai ad Adriana, una ragazza che era col nostro gruppo, lui si affiancò, io tolsi il mio cappello madido di sudore per poi rindossarlo,  gli misi una mano sulla spalla ed ebbi il mio scatto. Ringraziandolo misi mano al marsupio, tirai fuori un paio di dollari americani, e glieli donai per il disturbo. Lui corse via ed io fui molto contento di quello scatto.
Mio zio Ennio era già dentro con Maurizio e la moglie. Adriana ed il marito stavano aspettando me, e poi lei ci aveva fatto la foto...Quei tre ragazzi di Paderno e Bresso dovevano essere entrati anche loro. Ci avviammo.
Non apprezzavo particolarmente lo stile coloniale, anzi, per la verità lo detestavo e lo detesto, ed il fatto che fra Havana, Matanzas, Cardenas, Varadero e Cienfuegos fosse la decima casa coloniale che visitavo, mi fece giungere in quella casa in maniera piuttosto approssimativa. Odiavo quelle sedie e quei tavolini così difficili nelle forme, così ondulati, e quei tessuti mi facevano sembrare tutto troppo distante dalla semplicità con cui vivevano queste persone. Oltretutto avevo ancora negli occhi l' assoluta magia delle mani che sfioravano la creta modellandola sapientemente, fatto sta che fui fuori in qualche minuto.
Uscendo non mi accorsi subito del brusio che c' era, ma incrociai lo sguardo con un altro ragazzo che faceva parte del gruppo di visita di noi criceti, e guardava insistentemente verso la mia destra. Voltai il capo e la scenario fu sinceramente preoccupante. In cima alla strada di ciottoli levigati, un nutrito gruppo di persone stava fermo guardando verso di noi. Da una più accurata osservazione di tale gruppo, scorsi al centro un uomo nero molto alto, e alla sua destra, in basso, un familiare bimbo color nocciola che stava puntando il suo braccio evidentemente verso di me.
"Forse avevo sbagliato a chiedergli la foto" pensai, ma non credevo di aver mancato di rispetto ne a lui ne a chi ne aveva la potestà, ed era evidente che quella sagoma d' ebano doveva essere il padre. Allora mi chiesi se li avesse offesi la mia "mancia" per la foto...sta a vedere se quella moneta da due dollari mi aveva messo nei guai? Stando così le cose comunque, ed essendo in pieno consenso con la mia coscienza, vedendo che loro rimanevano lì, mi incamminai verso di loro.
Avvicinandomi li contai, erano quattordici. Il gruppo era assortito, c' erano uomini donne e bambini, alcuni gli stessi di prima che avevo visto giocare. Mi sembrò una di quelle foto di fine ottocento dove tutti insieme si presenziava allo scatto, un quadro di famiglia in una piantagione o qualcosa del genere. Lo sguardo ricadeva sempre sul più insidioso, che ora potevo vedere bene. Aveva delle ciabatte di cuoio, pantaloni avana ed una canotta lisa dello stesso colore dei pantaloni. Dalla canotta fuoriuscivano corde di muscoli grandi come cime. La struttura di questo individuo era stata scolpita dalla fatica e dal lavoro di generazioni, che avevano modellato il suo codice genetico come aveva fatto la signora con la creta.
Mi presentai. Nel mio dozzinale spagnolo cercai di chiedere se avevo fatto qualcosa che aveva in qualche modo urtato la sensibilità del bambino. Quella bestia consumava termini ispanici come un tritacarne. Una ragazza del nostro gruppo che nel mentre aveva terminato la visita si era avvicinata. Ella parlava lo spagnolo fluentemente e ne avevo già avuto riprova, quindi le chiesi di aiutarmi a capire. Cominciarono ad incastrarsi vocaboli con una mostruosa concentrazione di "s", incastri dei quali io rimanevo ignaro e totalmente assente. Dopo circa un minuto di spiegazioni, si degnarono di interrompersi e di rendere partecipe anche me, che oramai ero l' oggetto delle loro conversazioni, era del tutto evidente.
Continuavo a non capire ed a chiedere. Lei iniziò a parlarmi finalmente nella mia lingua conosciuta: "il signore è venuto a ringraziarti" mi disse. Io le chiesi il motivo, e lei continuò: "quando il bambino è tornato a casa il padre era convinto che quei soldi li avesse rubati e sono venuti qui tutti per sincerarsi del fatto che non fosse così". Io subito mi apprestai a difendere il bambino, ma lei mi disse che lo aveva già spiegato lei continuando: "per questo ti ringrazia. Tu non sai cosa hai fatto...". A quel punto divenni curioso, continuavo a non capire. Lei tacque e iniziò a parlare di nuovo quel padre, in uno spagnolo lento che non feci fatica a comprendere: " La mia paga è di 18 dollari americani al mese. Per la verità noi abbiamo i pesos, che sono la ventitreesima parte del dollaro, però abbiamo anche la possibilità di accedere al mercato nero dove, col peso convertibile, possiamo acquistare al pari valore del dollaro". La mia testa già stava ragionando su quanto potesse essere difficile la vita con quei pochi soldi a disposizione, quando lui continuò: " hai regalato a mio figlio quasi tre giorni del mio lavoro, per questo sono venuto a sdebitarmi!".
Io cercai di dissuaderlo dal sentirsi in debito, dicendo che il mio era stato un gesto per ringraziare la disponibilità di suo figlio, ma lui non volle sentire ragioni e mi disse che lavorava alla produzione di sigari. Quello era il suo lavoro, e quello era quello che mi poteva dare. Tirò fuori un Cohiba, dicendo che lo aveva fatto con le sue mani, me lo consegnò, mi chiese se lo avessi mai fumato. Io risposi di si per non sembrare un bambino, anche se quel momento sarebbe stata la mia prima volta.
In realtà fu molto difficile per me simulare che fumassi, non avevo mai toccato neanche le sigarette e questo tizio pretendeva che dovessi fumare un sigaro con loro...non fui bravissimo a mentire, tant' è che il morso strappò via una sostanziosa parte del tabacco oltre quella che era necessario togliere. Il mio essere così imbranato suscitò una grassa risata collettiva. Credo che ad un tratto tutti avevano capito che non avevo mai fumato e che erano stati i miei ventidue anni a parlare per me. Si allentarono gli animi, per la verità solo il mio,  e li adagiò in un rilassato convivio fatto di rum e di coltri di fumo. Avevo fumato per la prima volta, come avevo assaporato la gentilezza e la dignità di questa gente. Quel sigaro durò due giorni, lo fumai di gran gusto, ma poi non ne volli più sentire. Conservo ancora in una scatola quello scatto con quel bambino, e mi fa piacere ricordare quel giorno.


All Rights Reserved- Roberto De Sanctis
      

15/09/14

Una vita.



   La nave era salpata da poco. Mi avevano detto che a poppa l' effetto del mal di mare si sentiva meno che a prua. Ascoltando questo consiglio mi ero spostato lungo la parte finale del corridoio in basso. Vedevo la terra allontanarsi piano piano, ma la mia attenzione era rivolta a quei gabbiani che ci inseguivano prima, e alle immense onde schiumose prodotte dal nostro passaggio. Rimasi in silenzio in questo mio quadro pastello, mentre il rumore del mare riusciva finalmente a vincere il chiacchiericcio dei compagni di viaggio che si era andato via via placando.
Le 17.00 sono una buona ora per partire. L' aspetto più importante e' prettamente di carattere estetico:  il fatto che se il tempo e' clemente si può osservare un bel tramonto, quando sei in mezzo al mare i punti cardinali perdono importanza, da una parte o dall' altra il sole sta scendendo all' orizzonte e contribuisce a dipingere quella splendida magia che affiora negli occhi. Quale modo migliore per iniziare un viaggio...? L' altro di carattere pratico. Affrontare subito una giornata intera di mare non ti permette di prendere le misure per bene alle scottature, quelle due, tre ore di sole tardo ti fanno capire se il cappello basta o ci vuole la protezione massiccia di una crema. Un problema e' quindi posticipato al giorno dopo.
Finendo per accogliere il freddo umido di una sera che arriva, quando gli esseri umani sono andati a cambiarsi per occupare le sedute dei vari ristoranti per la cena a bordo, ho finalmente la possibilità di assopirmi nelle mie riflessioni. Un cielo macchiato di blu, di azzurro e di arancio, mi lascia ancora sognare prima che giunga la malinconica notte che cieco mi allontana da tanta bellezza.
La brezza permea il mio corpo mentre sfioro l' idea di dipingere. La terra ormai lontana ha disperso i gabbiani ma dei salti nell' acqua mi lasciano intendere che adesso la compagnia e' differente. Un delfino, poi un altro ed un altro ancora, come dei cavalli galoppano sulle onde di fianco alla nave, poi altri si accodano come stessero giocando oppure per spezzare la monotonia di quel gonfio liquido blu che al passaggio diviene scia biancastra che si dilata.
Salgo di qualche piano. Sul ponte della piscina ci sono le sdraio, perché non averci pensato prima. Lasciati i delfini a cavallo e lontano il rumore del mare, quasi al buio mi accorgo che adesso non sono più il solo ad aver preferito l' esterno alla cena. Un uomo e una donna appoggiati sul bordo conversano a bassa voce osservando il mare oramai quasi celato dal buio. Sono solo le luci del bastimento a rischiarare una sera che diventa notte. Lui indossa un cappello che tiene con la mano destra, lei lo guarda come un pulcino che aspetta di essere nutrito. Si capisce che il discorso e' complesso, anche se sereno, anche se c' e' vento.
Sul mio viso un sorriso quando una folata di vento più forte delle altre fa alzare i capelli di lei verso l' alto, con il garbo che li distingue, che la distingue, fa scivolare la mano sulla sua fronte e percorso il tratto da sinistra a destra raccoglie i capelli eversivi per riportarli al nodo originario e castigarli con una biro.
"Avranno sessant' anni" penso, ma la gestualità e' quella dei quindicenni innamorati, dove l' amore vede solo altro amore, dove tutto e' dato incondizionatamente, dove le delusioni sono ancora oggetti sconosciuti.
Non faccio rumore, sollevo la sdraio per non disturbarli e mi seggo, quasi temendo di esser sentito. Pur volendo il vento soffia da loro verso di me, e porta con se anche i suoni. Sicuro e sereno continuo a pensare, o meglio a pensarli, senza poter staccare lo sguardo mai, nemmeno un istante da quello splendore. La musica e' lontana e le slot non fanno rotolare monete ne rovinano coscienze, almeno non qui.
La mano si tende ed una carezza sul viso di lei lui fa scorrere lenta. Lei sorride ed appoggia la sua fronte alla spalla di lui. Vedo il suo  braccio levarsi e prenderla dolcemente per cingerla a se. In quel momento non ci sono io, non c' e' la nave, ne i passeggeri, forse non c' e' neanche il mare. Vedo due sagome in una, e vedo l' interesse totale negli occhi di lui per lei e viceversa. Adesso si, il buio e' arrivato davvero, ma non importa, per lo meno non a loro, che restano lì intirizziti a stringersi per darsi il calore di una vita.
Un cammino di oltre 40 anni dentro uno sguardo, impensabile ai giorni nostri penso, anche se lo vorrei tanto. Li invidio, ed invidio il loro modo semplice di provare rispetto l' uno per l' altra. Altra cosa, giù il braccio di lui dalla spalla, ma solo per toglier la giacca e donarla alle spalle della sua signora. Rimango in balia dell' emozione, tale che sento gli occhi bagnarsi di lacrime. Altre voci silenziose e lui si volta verso una sedia di plastica, ne infila un' altra e la porge a lei, che siede, poi fa lo stesso per lui, e si siede. Corpulento, grandi mani e la faccia di chi ha lavorato una vita. La fatica ha scavato quel viso ma non l' ha sentita. Lei lo guarda e ha le braccia conserte sotto la giacca. Seduti a guardare affiancati in un cinema senza il telone. Il soffitto di stelle e' un sipario e la Luna gli bacia le ombre. Non ci sono fauni ne ninfe in questo teatro, ne giullari, ne comici o attori di dramma, soltanto due protagonisti di schiena sul palco seduti e lo spettatore che non ha pagato il biglietto.
Un epilogo senza morale. Lui parla a lei e lei dice a lui. Lasciano le sedie, si alzano e volgendosi verso l' ingresso mi vengono incontro, e' solo allora che li guardo bene e li saluto: "ciao, mamma e papà".


All Rights Reserved - Roberto De Sanctis





Spirale verso l' evoluzione.



     Ogni granello di sabbia un pianeta, e la distanza fra un granello e l' altro lo spazio. La marea ed il vento la quarta variabile: il tempo. Del resto la spiaggia, si sa, come lo spazio aumenta, mangia terreno e trasforma altra sabbia. I granelli di sabbia lo stesso, sotto il passaggio di pesi diversi come supernove si disgregano finendo per essere materia e poi antimateria.
Ogni atomo un granello di sabbia, e la distanza fra il nucleo delle varie molecole lo spazio. Il movimento la quarta variabile: il tempo.
L' universo e' un eterno ripetersi di questi fattori che si incontrano e si disperdono come echi di un' esistenza a più livelli. Questo e' il motivo per cui credo che la reincarnazione sia in realtà un passaggio da un livello inferiore ad un altro, superiore, dove si hanno più nozioni e conseguentemente maggiore coscienza di se e degli altri. In tale lettura non esistono intelligenze ma attitudini, ed i geni sono soltanto persone che dispensano consigli da un livello più elevato, più evoluto.
Credo che un individuo finisca realmente soltanto nell' estasi della totale consapevolezza quando, semidio, abbandona lo stato terreno per essere iniziato alla vera virtù. Il massimo dell' elevazione terrena e' giunta, si lascia la Terra volgendo lo sguardo ad altro, che solo in quel tempo si e' in grado di poter vedere.
A chi non e' mai capitato di giocare con la sabbia asciutta, prenderla in mano e lentamente farla scivolare fra le dita fino a farla depositare dove la si e' presa, quante volte ho considerato quello scossone provocato allo spazio come una tempesta cosmica, magnetica, un' esplosione o chissà. Penso così ai meteoriti che di tanto in tanto colpiscono o schivano, alla luce, che arriva per poi andare via, oppure a quei suoni simili a disturbi elettrici su onde lontane.
Ecco allora i gradini, come quelli di una piramide che sale al cielo. E' individuo l' atomo, con il suo nucleo e con gli elettroni che girano in tondo concentrici. E' individuo il granello di sabbia come la spiaggia. Ognuno di noi e' spiaggia, fatto di granelli ed insieme di molecole, ma siamo anche la Terra, a sua volta un bel nucleo, con l' elettrone, uno solo, che gli gira intorno. Vi sono altri nuclei con più elettroni che vagano nei pressi del padrone, uno di questi e' Giove, con le sue lune, ma anche il Sole stesso, le cui lune sono gli stessi pianeti. In sostanza camminiamo in una spirale di verità a più livelli, e ad ogni livello ci sono cose comprensibili che perdono importanza ed altre che la acquistano. Immaginate un' onda di marea per un granello, così importante per quel piccolo pezzo di materia, quanto poco possa importare al Sole, altro granello. Pensiamo ad un uomo, ad una malattia, guaribile oppure no, uno sconquasso dello stato di un individuo che crea conseguenze sanabili ed a volte no. Il tratto della natura e' netto. Essa ti da perché tu carpisca, poi toglie perché tu capisca. Essa ti emancipa e poi ti distanzia, come una fisarmonica di sogni e realtà, quando inizi a comprendere il perché questo ciclo ti serve, vedi il centro della spirale e da lì un' ascensore ti porta all' esterno della spirale successiva, quindi tutto reinizia da capo.


All Rights Reserved - Roberto De Sanctis

13/09/14

Il mio Tempo.




       Come una colla adesiva e con somma sorpresa mi accorsi che erano passate tre ore da quando lo avevo incontrato. La conversazione più fitta, più rada, aveva avuto risvolti che lo riguardavano in tutti gli aspetti della vita che stava vivendo in quel momento ed in quella passata. Per la verità in maniera quasi noiosa lo avevo lasciato parlare, non avendo cura più di tanto per quel che stava dicendo, ma continuavo a domandarmi il perché me lo stava dicendo.
Anche uno psicologo alle prime armi potrà confermare che i nostri comportamenti sono sempre riconducibili ad aspetti della nostra personalità si, ma inquinati da quanto abbiamo vissuto, il come lo abbiamo vissuto invece, agisce in maniera latente e ne affina l' espressione.
Beh, non c' era nulla di espressivo in quel che avevo sentito. Una costante nenia mormorata e narcotica mi aveva fatto socchiudere gli occhi di tanto in tanto.
Ai suoi solleciti sulle richieste di conferma, di quando in quando mi ero perso, non impedendogli di stoppare, almeno per un pò, queste onde magnetiche che mi avevano attanagliato come una tela tessuta dal ragno della peggiore specie e dalla quale non avrei potuto in alcun modo divincolarmi.
Vedevo non davanti ai miei occhi, ma negli occhi, una spirale ubriaca di suoni che mi paralizzava.
Fu a quel punto che la mia mente si ribellò. Iniziai a viaggiare per conto mio, volevo fuggire da quell' oblio fonetico che mi stringeva ad un angolo come un pugilatore che le sta prendendo di brutto. Volavo come un airone nei miei pensieri, pensando a quello che avevo fatto e a quello che avrei dovuto fare. Ero uscito da me, temporaneamente, per assentarmi un pò e dissociarmi da quello che stavo vivendo. L' airone planava anche sulla conversazione, e credetti che fosse anche egoista; chi poteva avere a cuore le sue cose così tanto da poter pensare che dovessero essere prioritarie rispetto a tutto il resto delle cose di chi lo ascoltava? Ebbi una punta di rabbia per questo...l' airone intendo. Volò via di nuovo, più veloce di come era arrivato, famelico di nuove notizie diverse e deluso dal bassissimo tono che avvolgeva quel tempo, come avevo deciso di viverlo.
Per la verità avrei potuto congedarmi con una scusa ed andare via, ma era tanto che non incontravo quella persona e non me l' ero sentita di essere cafone al punto che mi sarei potuto salvare.
Ovviamente nel trascorrere della conversazione il mio pensiero era andato mutando, anche piuttosto velocemente.
L' airone volava sulle scogliere dei miei impegni, planando sulla fine del lavoro svolto e sulla cena che mi stava aspettando. Gli amici mi avrebbero senza dubbio purificato. Una quarantena necessaria che avrei goduto avvolgendola al mio nuovo tempo e come recupero di quello vecchio, perso.
Ma perché lo diceva a me? Tutta questa voglia di tirar fuori questa voce strozzata, come si fa ai palloni gonfiati quando gli si tende l' apertura per farli suonare stridenti. Vada per la componente nervosa, ma posso essere io lo sfogo di questa componente o, peggio, e se lo facesse con tutti quelli coi quali parla?
Voglio andare via! E l' airone spazia fino al cielo ed alle stelle, non c'e' bisogno nei miei pensieri dell' ossigeno per respirare. Schivo satelliti e vedo luci anomale, la luna è lì che si fa guardare, con suoi crateri immensi che dalla Terra non si possono vedere così bene, mentre lui parla...
E l' airone prosegue, dallo spazio va a quando ero bambino, ed apprezzavo giocare con chi adesso mi stava tediando. Quei nascondigli segreti al tempo delle replay, con quei banchi e quegli zaini così pesanti mentre il pomeriggio raccoglievo la terra con la benna della mia piccola ruspa, per poi andare a quando mia nonna mi faceva mangiare le olive sulle scalette e ancora tornare sul motorino con la mia ragazza quella volta che cademmo e lei si fece male, ed i pantaloni raschiati dall' asfalto che avevamo grattato.
Spirale di frasi e tempo noioso nel quale stavo rivedendo lo spazio ed il tempo. L' airone spiegava le ali, l' odore del cloro mi faceva tornare alla mente il sapore dei supplì che mia madre ci comprava quando uscivamo dalla piscina. Via sopra uno stadio pieno con le torce accese, oltre il Pordoi e mio padre che mi richiama mentre mi avvicino ad un crepaccio. Ci sono le Estati in Corsica in catamarano e quelle in montagna sul Gabiet, così come gli Inverni a giocare ai soldati o con le macchinine di fronte al camino. La scuola, le delusioni e le cose vinte, gli amici e le persone che mi hanno fatto incazzare, o quel giorno che il cielo arancione ci piovve sabbia dentro l' auto con papà.
Tre ore a volare per non ascoltare, altri viaggi fatti e da fare dentro un limbo incatenato di noia che deve passare. Alla fine di tutto, mentre saluto e vado via, penso che tutto quel tempo in realtà non è stato realmente perso, per lo meno da me, anche se non ricordo nulla di ciò che mi ha detto.

All Rights Reserved - Roberto De Sanctis

08/09/14

Noor



       La musica di Battiato accompagnava quel desiderio magico che intorno al fuoco sembrava un gigante. Non aveva osato sfidare quell' amaca, ma quando l' ha vista distesa non aveva immaginato mai che si alzasse così in fretta. L' aveva spinto in un oblio di pensieri che lo incatenava a quegli istanti, subito dopo rivelando tutta la differenza fra una donna che fa la donna e chi la vuol sembrare. Per la verità ci mise molto a capirlo, ma come al solito i momenti per intervenire erano stati sbagliati, tant' è che un cuore fatto con le mani ed un discorso lasciato in sospeso erano la sola eredità che aveva portato via da quelle sere senza soffitto.
Eppure era chiaro, doveva comprendere. L' aveva seguita e vedeva che stava piangendo, fresca di una delusione e senz' altro un pò carica d' alcool. Se solo l' avesse presa nell' istante in cui stava svoltando la strada, prima di entrare nel locale, tutto questo oggi non sarebbe, o meglio, avrebbe etichettato il nulla come tale. Invece l' ha lasciata camminare ignara nelle valli del desiderio andandosi a cullare in calmi laghi abitati da acque davvero tranquille.
Colpa sua l' età di lei, ma non le sue idee. Stringeva il cuore vedendola buttare così, in un affranto passaggio di vita doloroso e ripeteva, quasi per convincersene, che tutto ciò era distanza formale da lei, che era meglio così. Quegli occhiali appannati si mescolavano alle ore tarde di una notte di whisky. Facce sorridenti ed andate rumoreggiavano nella testa mentre stava salutando anche il barman dal dialetto marcato. Più in là la musica, una replica, e la sudaticcia sagoma di un d.j.
Era crollato sotto i colpi del freddo gin, la musica e tutto lo aveva lasciato ma non il ricordo di quanto non fatto. Si ripeteva: "va bene così", ma dentro era una centrifuga di voglie e sogni, di sguardi e intenzioni sopite.
L' aveva ritrovata sull' amaca, ma con una grande valigia piena di voce e racconti, da quando lei è via non le manchi. Una ripida ascesa verso la consapevolezza ed un pezzo di carne passato a guardare. La bambola dei giochi è lì, su quel tavolo piatto, come lo sono la musica e i suoi ricordi. Ciò che manca è il cavallo, e il suo principe sopra, col vestito ricco di fronzoli e altro tempo da perdere. Allora che fare? Lei è lì, ed è bella, questo è innegabile. La guarda come mai nessuno.
Come uno straordinario tomo da apprezzare, quello che immagina è l' appendice, l' introduzione e due o tre capitoli in più, ma passando dalla copertina e dalla dedica si accorge che se il libro attira il suo sguardo, dentro ci sono solo pagine bianche da scrivere. Passerà da altre mani la stesura di un' opera straordinaria, quanto scritto sarà purtroppo vittima dello stesso suo inchiostro. Rileggendolo sarà magnifico, come una bambola ben fatta ed orlata di tutto punto. Sarà la fine del mondo, ma forse le farà difetto l' argomento, come una candida, ben scritta, assoluta, variazione sul tema.
Reiterato si presenterà di volta in volta fino a giungere alla pagina dei ringraziamenti e del prezzo.
Meglio Battiato, se è mancato il fiato. Non lo sa, ma sa come ha lasciato andare via quegli occhi. Certo che andava messo nero su bianco: il diretto interessato aveva un libro da scrivere. Voleva definire, e non ha aggiunto altro perché è chi legge a dover trovare errori.
Lasci se può l' incoscienza, e via anche l' irascibilità, senza dover trovare necessariamente colpe, senza dannarsi per trovare colpevoli. Quanto scritto è solo il frutto della pagina vuota.
Au revoire mademoiselle.

All rights reserved - Roberto De Sanctis

07/09/14

Atalanta-Lazio.




          Il treno era lì già da un po'. Il Sabato sera la stazione pullulava di esseri in movimento, sembrava un vespaio con concentrazioni e diradamenti di folla impazzita. C' era chi tornava a casa, c' era chi arrivava, c' erano pendolari che avevano staccato tardi dal lavoro, c' erano i soliti dipendenti delle Ferrovie dello Stato con quelle antipaticissime macchinette per i bagagli. C' erano poliziotti ed ambulanti, negozi aperti e gente in fila, persone giunte a Roma per le vacanze e gente che se ne andava, poi c' eravamo noi.
Sempre attento a far si che non avessi problemi, partii per tempo da casa con la mia sciarpa ed indossando indumenti di tutto punto per l' occasione, fatto sta che ero arrivato alla stazione alle 22.00.
Chi è stato almeno una volta a Bergamo a vedere la Lazio sa perfettamente che le 23.30 non è un orario come gli altri, ma è il minuto spaccato in cui l' Intercity diretto alla stazione centrale di Milano lascia la stazione Termini. Un tempo il treno buono era solo quello, non come oggi che si fa confusione perfino fra Termini e Tiburtina, fra Freccia Rossa ed Italo, o Freccia Argento. Il treno buono dicevo, che ci depositava alle 06.55 del mattino nel capoluogo meneghino, il treno per il quale spesso ragazzi senza soldi chiedevano spiccioli o passavano il tempo nei bagni per non pagare il biglietto.
Arrivare alla stazione per una trasferta del genere è bellissimo. E' una di quelle partite dove si parte in pochi, e per come la penso io, dividendo equamente la Lazio fra gli astanti, Atalanta-Lazio è uno di quegli incontri dove riesco ad averne un pezzo più grande per me.
Mi guardavo intorno circospetto, la sciarpa ben dentro il giubbotto per non regalare vantaggi poi, alla prima faccia nota, un' alzata di capo per salutare od un cenno di intesa. Sei lì, e stai partendo con lui, sembra che dica "saremo insieme". Se poi la confidenza è maggiore ci si avvicina e: "hai visto gli altri?". In quel momento eleggi a base un piano di marmo, oppure vicino al serpentone dove c' è la biglietteria, stando però sempre attento a non raggrupparsi con gli altri per non dare nell' occhio. A tua volta è lo stesso quando altri ancora continuano ad arrivare, certo, non puoi conoscere tutti, i più grandi non ti salutano, e tu non saluti i più piccoli, osservi tutti ma cerchi di evitare quelle persone con le sciarpe o coi cappelli bene in vista, anche se vederli ti fa piacere. Non vuoi che qualcuno legga i tuoi spostamenti, anche se non puoi essere lì se non per quel treno.
Le operazioni di acquisto dei biglietti vanno avanti, ed è con l' approssimarsi delle 23.00 che ci si comincia a contare. "Siamo buoni, un buon numero, 250, forse 300".
Al binario il display non esiste, rotolano insegne di località e di treni che di volta in volta si susseguono, ma il nostro, agli ultimi binari, lo leggi già da parecchio, IC, rosso e piegato verso destra, 23.30, Milano Centrale.
La prima corsa ha inizio per accaparrarsi i posti negli scomparti, cosa che puntualmente viene capovolta all' arrivo dei personaggi di spicco, quelli che ci sono sempre. Scelgono loro, se sei uno sconosciuto, io fortunatamente sono nel limbo, non troppo noto per essere uno che decide, non così ignoto da non meritare rispetto. Quando sei seduto e ti sei scelto gli altri cinque stai a posto, devi comunque soprassedere sull' apertura della porta scorrevole che ti fa prendere un colpo, ma un "c' è posto?" oppure un "ciao regà...", si esauriscono in pochi attimi per poi tornare tranquilli a vedere fuori dal vetro o a fissarti con gli altri. Discorso diverso succede se hai intenzione di restare un po' comodo. Quando si è fortunati il treno non è pieno all' orlo, in questi casi cambia tutto, formazione da tre e si abbassano i due sedili facendoli convergere gli uni verso gli altri, questa magia disegna un letto in movimento mentre il fischio del controllore ci avvisa che l' operazione è riuscita.
Il treno inizia a muoversi, chiuse le tende, gli edifici di Roma corrono via lasciando presto spazio alle zone più a Nord della capitale, la mia città, ma un brivido percorre la schiena perché con la testa io sono al Brumana.
La notte in treno mostra le persone per come sono. L' ansioso fa su e giù per il corridoio senza chiudere occhio. Il menefreghista si fa una ricca dormita. C' è quello che non ci riesce, quello che fa casino e quello che come me, si assopisce chiudendo gli occhi sotto l' incedere delle rotaie ma sentendo ogni minima cosa di quanto c' è intorno. Ovviamente tutto è in movimento, non solo il treno sul quale viaggiamo, anche gli equilibri fra chi fa rumore, chi cammina chi riposa, si va modificando. Un silenzio ovattato si fa strada nelle carrozze. I forza Lazio e gli Atalanta merda volano via sostituiti da una pace surreale che già verso Orte, con un suono che ci accompagna: "tutun tutun tutun tutun..." dondola le notti di ciascuno.
La notte ogni tanto un rumore, una porta che si apre, il via vai per pisciare nei bagni. Qualche voce sparsa nei corridoi, ed altri racconti. Nello scompartimento silenzio, le tende tirate, e allora diventi parte dei problemi degli altri: le loro voci ti coinvolgono senza che loro lo sappiano, ed il litigio coi genitori per essere partito, la bugia alla fidanzata o al datore di lavoro, le problematiche della settimana o semplicemente il commento della partita della Domenica prima ti fanno riflettere sul tempo che passa. La testa viaggia a domani, agli atalantini, oppure al derby che si avvicina, o a qualche altra trasferta, fatta o da fare. Gli altri diventano te e tu gli altri, mentre la notte attraversa via via paesi e città.
Firenze, Campo Marte, e quel muro inconfondibile che lo annuncia. Rimane li a sinistra, che se sei sveglio e lo scompartimento è a destra ti alzi e lo vuoi vedere dal corridoio per ricordarlo. Passa il ponte di ferro e capisci che a un' ora, o poco più, c' è Bologna, non passa ma passa anzi, arriva.
Arriva Bologna, la stazione centrale, sono quasi le 04.00, ma la sosta è breve. Via dalla città felsinea, verso Modena, Parma e, col sorgere del sole, quando il risveglio contagia qualcuno, la scritta "Lodi", 25 minuti alla meta, massimo mezz' ora.
Il treno viene inghiottito da quell' ala di ferro, il fischio noioso dei freni ci annuncia Milano. La stazione è lì, come la Polizia che ci aspetta. La grande eversione è defilarsi mentre la celere prova a controllare un po' tutti; meta: il bar sulla sinistra, dall' altra parte dei giardini, appena scese le scale della stazione. Vaghi ci riconosciamo, la tattica "no scarves" ha pagato come al solito, ora siamo fuori, almeno per sentirci liberi durante una colazione di cappuccino e cornetto. La selezione è avvenuta in maniera naturale, liberatici dalle maglie della Polizia, abbiamo due ore da consumare prima di ripartire per Bergamo con il treno a due piani delle 09.00.
Il calore del cappuccino e la pancia occupata da una brioche, come la chiamano su, ci rincuora. Alla spicciolata per timore di essere visti (tanati) dalle vedette dello Stato, ci defiliamo uno alla volta per poi raggrupparci più avanti. Via Turati, Castello Sforzesco, Duomo, San Babila, Milano non è Roma, con un paio d' ore si può vedere parecchio, ovviamente passeggiando, ma almeno abbiamo messo a frutto quelle due ore di nulla che sono toccate agli altri rimasti con le loro sciarpe al collo in bella vista, elemento distintivo che li ha fatti trattenere.
La Polizia queste cose le ha sempre fatte. Io non le ho mai digerite. Alla domanda "perché?", sempre la stessa risposta: un lapidario "ordine pubblico!". "La libertà non ha prezzo, la possibilità di viverla nemmeno", penso, ma se non ti salva un po' di teatro...
Trascorso il nostro tempo per le vie di Milano si ritorna alla base. 08.30, tutti a fare il biglietto. I più "bravi" riescono a risparmiare anche sti soldi. Il treno parte, Bergamo è vicina, le facce della gente la Domenica mattina sono apatiche, non pensano a nulla, quasi sospesi. Noi pensiamo alla Lazio. A Treviglio una sosta "inaspettata" ci concentra nel parcheggio del piccolo paese in prossimità del capoluogo orobico. Tutti giù, un nutrito comitato di accoglienza, rigorosamente in blu, minuziosi controlli di routine che scatenano qualche parapiglia con gli agenti, autobus arancioni colmi all' inverosimile: è iniziata Atalanta-Lazio.

All rights reserved - Roberto De Sanctis


04/09/14

Sguardi.



     Canone di bellezza. Lei rimane lì, come se nulla fosse, e come se non ci fosse nulla. Seduta di fianco al tavolo del bar col suo giornale in mano. Ha smesso gli occhiali, poggiati sul piano, vicini al telefono e al tè.
Capelli castani raccolti da una biro, parte dei quali si ribella a quella gabbia per scendere sul collo appena celato, sinuoso fino alla camicetta che nella parte superiore è stretta ad esso da quel golf.
Un viso puro, dolcissimo e sensuale, con quei suoi occhi che mi tuffano in un campo mosso dall' aratro in Val d' Orcia.  Sembra di porcellana che ti accorgi che è viva perché volta la pagina del giornale. Non ha un decolté generoso, e' pronunciato appena nelle curve sotto il tessuto. Poi le gambe e la scarpa col tacco, non uno spillo, non pronunciato, non alto. Vedo il rosso della parte inferiore perché, una sull' altra le gambe, sta dondolando il piede.
Le sue calze scure terminano appena sotto alle ginocchia, sostituite da una gonna a tubo color antracite che ne mostra un momento i generosi fianchi per poi farli sparire dietro un piccolo colpo di natiche assestato alla sedia.
Frivolo profumo di muschio, un piccolo vezzo per una signora. A tratti distoglie lo sguardo dalla notizia e sembra guardare, poi poggia il giornale e la mano scivola via sulla tazza di tè che finisce di bere.
Rapito dalla sua eleganza di modi mi lascio tentare, mi abbandono a un fugace sorriso, ma sembro banale. Lei lo ha visto ma non dice nulla e non sembra importare. Animo ed osservo quella scarpa che non si ferma, come una danza ipnotica mi coglie sorpreso. Lei resta assorta nella sua lettura, ed il sole brilla quella perla sul lobo dell' orecchio, anch' esso elegante e minuto.
Quale spettacolo sublime la naturalezza con cui indossa e comporta. Io nuoto in un sogno di fantasie di cui lei è ignara o forse sapiente. Si concede così, nella sua ovvia bellezza che la rende straordinaria, una bellezza di cui è consapevole ma che non deprezza, come un nido ha la sua rondine che vi ritorna.
Chiude il giornale e lo poggia di nuovo sul piano. Indossa i suoi occhiali da vista. Un ultimo sorso a quel tè perché è ora di andare. Splendida ancheggia e la perdo solo quando svolta la strada.

All rights reserved - Roberto De Sanctis

03/09/14

Il Pieno.



            Avevamo rischiato di rimanere senza benzina. Mai consideravo che a quelle latitudini si potesse viaggiare per oltre 100 km senza trovare un rifornimento. Per la verità uno lo avevamo trovato, ma siccome in disuso, avevamo dovuto continuare.
Qualche risata ci aveva fatto abbandonare l' isola di Mist, percorso il ponte avevamo passato Kyle of Loch Alsh in scioltezza. Fu lì che Alessandro mi disse di fare della benzina.
Guardai la spia del serbatoio, ne avevamo per poco meno di mezzo, parlando agli altri dissi che la strada da fare era ancora parecchia, potevamo pensarci più in la.
Di fronte alla foresta di Avernish svoltammo a sinistra, sulla A890. La strada si fece subito ripida, e qualche tornante ci diresse verso gli alti monti, dove un insieme di saliscendi degno della miglior parco giochi ci stava facendo oscillare. Lo scenario che si offriva a noi era di una costante alternanza fra boschi di legname madido d' acqua e laghi rigonfi, quasi convessi di liquido azzurro. La strada, sebbene fosse una statale, ci parve subito difficoltosa. La sporcizia portata dal vento sul manto stradale faceva il resto, non sentivamo certo la nostalgia del tipico cielo plumbeo di Scozia, ma non tardò ad arrivare, e della fitta pioggia sottile si mescolò alla nostra ansia di valle chiusa donandoci un buio piuttosto strano per quell' ora, un buio claustrofobico che non aiutava affatto la mia guida.
Agli altri non lo dissi, ma temevo che avremmo potuto forare. La vegetazione era davvero straordinaria ma, ciottoli pregni di acqua e sterpaglie strappate dal fondo del bosco, mi preoccupavano non poco in un vortice di "chicane" percorse a bassa velocità.
Decine di chilometri di nulla. Sterzate a destra e a sinistra in una guida che non era nemmeno la mia. La lingua d' asfalto bagnata e ruscelli di fianco viaggiavano come fiumi impazziti sotto l' incedere della pioggia che intanto cadeva costante.
Cartina alla mano del mio prode navigatore Federico, non riuscivamo a capire quanto di quel paesaggio monotono avevamo messo alle spalle. Zero riferimenti, sapevo che avevamo percorso circa 20 km ma su quel circuito di montagne era sembrato eterno. D' un tratto vedemmo delle case sulla sinistra, qualcosa che somigliava ad un villaggio. Dovrò parlare sinceramente, la vista di un luogo abitato mi rincuorò, fui sollevato da quest' ovatta di legno ed acqua nel quale stavamo affondando. Un bivio per qualcosa, e quel qualcosa era Strathcarron, un pugno di case, ma quanto basta per ricordarsi di essere in un posto con altri individui.
Strada stretta, livida di fango e torba, poi il lago di Dughail, poi altra strada, altra foresta e altro lago, e poi ancora. Passando gli altri laghi di Scaven e Gowan, questa A890 non si era mostrata per come la immaginavamo: troppo impegnativa per apprezzarla e per osservare lo scenario naturale.
Arrivammo finalmente in un altro avamposto dal nome quasi impronunciabile dove gli umani strappavano un pò di terreno alla natura: Achnasheen, fu li che mi accorsi che la luce della riserva era accesa. Da una rapida considerazione sulla strada fatta e su quella ancora da fare, dando per scontato che su questa maledetta A890 di galloni di benzina nemmeno l' ombra, e non sapendo se era accesa da quel momento o da qualche km prima, dovevamo percorrere ancora buoni 25 km di A832, attraversare foreste, altri tre laghi per arrivare sulla Main Road che da Ullapool portava ad Inverness, la A835 poi, direzione Inverness, sperare che una pompa di benzina si fosse mostrata a noi il prima possibile. Con un' incognita supplementare: venivamo dalla A890 che era fin li stato il nulla, ci tuffavamo in un' altra A, la 832 che era uguale, poi la A835. Ragionevolmente nutrivamo parecchi dubbi sul cosa aspettarci, compresa la possibilità di trovare un benzinaio anche li.
Avvisai gli altri che potevamo avere un problema di benzina. Subito fui criticato per la scelta di non aver rifornito a Kyle of Loch Alsh, ma potevo immaginare che per altri 100 km realmente non avremmo incontrato un benzinaio, e' come pensare che partendo da Roma non troveremmo una pompa di benzina prima dell' Aquila...
Iniziammo una serie infernale e preoccupata di accelerazioni e tratti in folle per cercare di garantirci la possibilità di allungare quanto più l' autonomia del motore. Passarono altri boschi, il fiume Bran accompagnava la nostra avventura, passò il lago di Achanalt, poi un altro lago, fra un folle ed una ripresa al motore. Era Loch à Chuilinn, sulla sinistra la foresta di Strathbran poi un lago ancora.
Fu la volta del lago Luichart, che venne accolto da un boato degli astanti perché insieme ad esso abbandonammo quella oramai orribile segnaletica nera su sfondo bianco, trovando una scritta bianca su sfondo azzurro, speranzosa che potessero cambiare le cose di li a poco.
Le cose cambiarono effettivamente, e cambiarono precisamente quando svoltammo a destra in direzione Inverness.
La strada era decisamente più trafficata. Questo faceva aumentare la possibilità per noi di trovare qualcuno disposto a venderci benzina nel nord della Scozia, ma al contrario non ci permetteva, per questioni di sicurezza, di poter procedere a folle come stavamo facendo da 30 km. Un limbo strano, nel quale muoverci con circospezione. La politica che usammo fu quella di procedere piano limitando al minimo il consumo, non senza aver preso accidenti e maledizioni dagli altri autisti, ma forti della massiccia presenza di TIR, pressoché una costante nel nord, che rallentava anche noi, e gli altri.
La lancetta era ben oltre il rosso dell' ultima linea, eravamo quasi a secco oramai, ma come una visione apparve una indicazione per i "Services" ad un miglio e mezzo, se fossimo rimasti a piedi quella sarebbe stata la massima distanza da percorrere.
Il fatto che la misurazione delle distanze è in miglia invece che in chilometri, fa sembrare sempre tutto più difficile da raggiungere ma, non so come, noi, quel giorno, riuscimmo ad arrivare.
Non ricordo quanto spendemmo dentro quella piazzola di rifornimento. Fra pieno (colmo) di benzina, club sandwiches, dolci, bevande e barrette di cioccolato, per 6... fu il nostro modo di ringraziare quella struttura che ci sembrò come un monumento immancabile da visitare.

All rights reserved - Roberto De Sanctis

01/09/14

Animi guerrieri.



       Odore della polvere si mescola al rumore della ferraglia, il sudore sgorga da fronti e muscoli provati. La legione è in movimento e la cadenza dei passi è scandita da un tintinnio di armature. Scudi e lance, e spade, si dirigono verso il fronte ove si svolgerà la battaglia. I consoli attenti alle truppe sono sempre divisi fra ordini e richieste di bere. Ci si accampa e i cavalli vengono fatti pascolare e riposare. La notte rimangono chiusi in un recinto non tanto vicino alla truppa per non farne sentire l' odore, ne troppo lontano, per evitare che ci siano furti. La guardia, si sa, la notte è sempre difficile, ma una luna luminosa stanotte aiuta e lascia presupporre che domani gli dei saranno propizi.
Risa e coppe di pessimo vino accompagnano i soldati dalla sera alla notte, il morale è buono, poche torce rimangono accese per vigilare che non ci siano intrusioni del nemico, nè di animali in cerca di un facile pasto. La calura estiva si fa ancora sentire e cicale e altri insetti, rumorose le prime, fastidiosi gli altri, attirati dalla luce e dal sudore giungono a colpire. In questo alveare notturno lucciole intermittenti si cercano in una danza lungo la valle guardandosi bene dall' avvicinarsi troppo ai bivacchi. Sotto la superficie le braci ardono ancora, e consumano gli ultimi rami tagliati. L' avanguardia ha pensato bene di procacciare solo legno essiccato, tagliare legno fresco avrebbe voluto dire aumentare il fumo prodotto, non un buon consiglio per chi si sta per tuffare in un conflitto.

E' il primo ad uscire, il sole sta sorgendo e una prima luce apre uno squarcio in mezzo alla foschia delle nebbie notturne. Il fiume contribuisce con una buona coltre di condensa umida, alla nebbia più bassa, qualche bivacco è riattizzato. Da una parte e dall' altra guardie ancora sedute. I cambi son giunti e gli uomini sono tutti vigili. Cenni di intesa, capi che si chinano in segno di riverenza, palmi delle mani in saluti appena accennati. La risposta arriva celere, come la vampata di calore che prende il collo. Lucio Vero sente che le truppe sono un tutt' uno. Non è la prima e non sarà l' ultima volta che un risveglio lo getta in una battaglia, ma lui rischia. E' uno di quei comandanti che comanda anche in campo, non solo a parole. La strategia è messa da parte, e la mischia lo esalta. Mestoli e coppe sui fuochi sopiti ora riaccesi, pian piano il campo si ravviva, alcuni si recano verso il fiume per lavarsi, altri sono intorno ai fuochi. Ve ne sono altri ancora che non mangiano e che si sistemano le uniformi l' un l' altro. In mezzo a tutto questo uno basso sibilare di conversazioni che di chiacchiere sono soltanto un timido eco.
Conta della forza. La procedura di ogni mattina. Striglie ai cavalli, sellati e pronti per le natiche dei cavalieri. Un ritmo metallico riaccende la valle mentre la foschia grazie al sole comincia a disperdersi; una sola voce, e tutti  per incanto in uno sforzo mnemonico riprendono il posto e la marcia.
La notte l' avanguardia è avanzata, essa perlustra, controlla, osserva. Sono la prima guardia e non parlano con nessuno se non fra loro. Sono i più esperti, molti hanno la barba bianca, curata, e sono i più diffidenti. Per questo gli viene chiesto di non combattere ma di fungere da osservatori, i consoli ed il comandante chiedono che la loro esperienza venga messa a frutto per essere utile e limitare le perdite in un attacco che dovrà iniziare perfetto e concludersi, se possibile, un pò meglio di come comincia.
La piana di Mediolanum è di fronte. Abilmente la strategia ha fatto marciare verso destra il fronte d' attacco, che si trova adesso nella località di Laudes, ed attaccherà come un cuneo la linea nemica, ma ha spedito la cavalleria a Viglevanum, per rompere il fronte laterale appena sarà nel vivo lo scontro. Non solo, un soldato dell' avanguardia è partito e va incontro alla riserva, più a Nord. Loro stanno scendendo dalle Alpi dopo aver liberato dei villaggi nei pressi di Inter lacus da altri barbari.
Metodo. Questa la parola d' ordine del soldato romano. Dal generale all' ultimo dei soldati, metodo. Ruoli. Rispetto di essi, affinché tutto avvenga nell' assoluta prossimità della perfezione. Ogni soldato romano rappresenta per Roma una straordinaria risorsa che se testuggine protegge e serra, se d' attacco compatto sferra.
Mediolanum è lì, affiora con le sue costruzioni che di Roma sono una faticosa ed incocludente imitazione. Popoli barbari la governano ed è con questo obiettivo che Roma parte, l' ha raggiunta ed aspetta un unico segnale per prendere ciò che il destino ha fatto suo.
La colonna si ferma, soffia un timido vento che dirada la foschia. La cavalleria giunge ad una distanza impossibile da scorgere ad occhio nudo, ma c' è. Di ritorno, l' uomo d' avanguardia mandato comunica che anche le truppe scese dal nord sono giunte. Un corno suona, il segnale è ben chiaro per tutti, ne segue un altro, e un altro ancora. La terra d' un tratto sembra tremare, maglie di ferro e di cuoio tentennano ruvide. Gli zoccoli dei cavalli alzano polveri che si mescolano a nebbia. Roma stringe la morsa su una città che pur difendendosi cadrà sotto i colpi dei suoi liberatori.
Lucio Vero osserva dalla monta del suo cavallo ed immagina dove potrà attaccare per rendere i suoi movimenti più efficaci. Splendido il suo cavallo, fra finimenti dorati e drappi di seta arabesca, bestia degna del migliore dei comandanti. Nitrisce e scarta come se sentisse la battaglia imminente, impaziente attende disordinata sotto le briglie del suo cavaliere, mentre una spada si leva al cielo e poi mostra la strada.
"Avanti soldati! Per Roma, per la nostra dignità e per liberare questa terra dall' invasore. Siete il mio orgoglio e voglio le vostre spade al mio fianco alla fine della partita, nessuna spada caduta mancherà di essere omaggiata, non una lancia spezzata sarà resa al nemico per riattaccare. Le vostre famiglie sono famiglie di Roma, voi siete figli di Roma, e sotto l' egida dell' Impero le nostre gesta saranno ricordate per anni a partire da ora. Formazione a Testuggine! Avanzate!".

All rights reserved - Roberto De Sanctis