30/12/14

Tutto qui.



    Candidamente accolsi il torto come una liberazione. Assumermi le responsabilità mi ferì non poco sul principio, anche perché ero convinto, al limite, che ce le saremmo dovute dividere in egual modo; ma poi capii che poteva essere solo quella la strada da percorrere per non portarmi appresso uno straccio scivolato sul terreno sul quale sarei potuto inciampare altre volte.
Come al solito la reazione immediata fu il silenzio. Mi confortava il fatto che anche tutte le altre volte mi era capitata la stessa cosa. Poi l' analisi.
Era consuetudine che la mia parte razionale nella congiunta prossimità dell' accaduto avesse il sopravvento. Tagliavo il fatto come una mela per la macedonia, cercando di scorporare anche il minimo degli atteggiamenti miei che aveva suscitato in lei quella reazione, tanto da schiantare in me fino all' ultimo briciolo di stima che in ella avevo riposto.
Erano trascorsi quarant' anni da quando ero stato concepito,  una buona ventina dei quali, passati ad interrogarmi, fra relazioni lunghe e relazioni durate delle serate, sui motivi della mia reticenza all' apertura del cuore. Tre volte, era successo solo tre volte, due delle quali mi avevano restituito in premio degli sganassoni serviti come palancate sugli zigomi. E chissà quante altre volte avrei dovuto farlo ma non ci ero riuscito, carenza di stimoli, o non ne avevo avuto il coraggio...sta di fatto, che alla soglia dei miei quarant' anni mi ero ritrovato di nuovo lì, di fronte ad un nemico che già avevo conosciuto, di fronte a quegli stati d' animo dove tutto e' abbandono in bianco e nero, vento freddo e sabbia che se ne va verso il mare spinta dalla brezza.
Si, perché in fondo e' più comodo rifugiarsi nella grandezza della Natura. Osservarla ci da il taglio delle sue immensità, e di fronte a quelle non possiamo che sentirci piccoli e sbagliati. Ecco venir fuori il mio atteggiamento vigliacco di chi se la fa sotto magari per non dire un "vaffanculo" in più a chi lo potrebbe anche meritare. E ancora via con la favola del gentleman...si, Giulio, raccontati che sei un signore e che tutto passa... passa passa, passa un cazzo!! Tutto resta, anche una sola notte, lo sguardo di una donna amata, il suo sudore ed i suoi brividi, tutto! Altro fatto e' se ci si incontra. Si, perché scopare e' una cosa, altro e' cercare di immergersi nell' altro fondendosi fino a divenire un tutto. E non e' mica che ci riesci sempre con chi vuoi, anzi... A me e' capitato spesso che avessi una strana sintonia sessuale con delle persone che avevo prima odiato, e poi adeguatamente ignorato. D' un tratto era successo qualcosa, di li il fuoco.
Ero e sono un cercatore di sguardi e di gesti. La seduzione e' una donna vestita da accogliere lentamente e mettere a suo agio. Le sue mani, come le muove, ed il suo odore. Il profumo della pelle certo, purché non puzzi, poi morbida e sapientemente taciturna.
Eccomi qui. Era colpa mia. Cosa avevo mai potuto fare per ferirla in questo modo...? Non riuscivo a farci bene l' amore, questo si. Il compitino non era mai diventato, ma questo non implica che ci fosse una sintonia di quelle da urlo anzi, per la verità avevamo anche sperimentato, mai riuscendo ad incontrarsi sulle nostre affinità e sul nostro desiderio. Questo mi dispiaceva, perché lei era anche una brava donna, ma per uno stronzo come me ce ne voleva una parecchio più stronza, una di quelle che ti fa fregnone.
Niente. Ero andato via senza dirle niente. La porta dell' auto si era chiusa come se fosse il cancello di Paul e Nina, e dalla parte opposta chiudessi un mondo in bianco e nero che non avrei più ritrovato. Non c' erano state urla, ne dita puntate, solo la mia frase sibillina nel dirle "ci sentiamo", sapendo entrambi che assomigliava molto di più ad un addio. Il suono del motore acceso aveva tracciato una linea sopra l' accaduto non spezzando quello che era stato con quello che sarebbe stato poi. Quella strada buia e quel freddo mi avevano fatto accendere di nuovo i fari ed i riscaldamenti, rimettendomi sul serpentone di luci sull' asfalto che solo la Cassia fra S. Godenzo ed il GRA può regalarti.
Avevo freddo, un nuovo freddo dentro. Indossai la cintura, cosa che non facevo mai, solo per il conforto che mi dava averla addosso. Pensai che la radio mi avrebbe aiutato a non piangere, ma quando alzai, le note di Oro, la canzone di Mango, spentosi qualche settimana prima, mi bagnarono gli occhi di commozione, al punto da non riuscire a vedere bene la strada che fortunatamente conoscevo a memoria.
Stavo piangendo per lei? No! Assolutamente no. Mi dispiaceva, certo, ma non piangevo per lei. Allora forse piangevo per Mango? Nemmeno. Dunque? Stavo piangendo per me. Per quel tempo investito su quella persona che si era tramutato in una frazione di secondo, in un cestino pieno di rifiuti, e quei rifiuti erano i mesi con lei, dove ero stato bene e tranquillo, dove avevamo discusso e dove il nostro vivere insieme aveva iniziato lentamente a lacerarsi. Buttavo altro tempo dietro alla ricerca di quel qualcosa che non riuscivo più a trovare in nessun' altra vicino a me.
Eppure non ero una persona esigente. Auspicavo soltanto di vivere tranquillo il mio desiderio con la mia lei, raffinatamente ferendomi e guarire, per poi aver famiglia. E i suoi capelli lisci mentre accarezzando il viso con il dorso della mano misuravo le sue rughe, le mie, dando il taglio al tempo attraversato insieme, e comunque sconfitto dal nostro amore divenendone alleato. Volevo guardarla e tacere, volevo che lei capisse, e volevo capirla io. Sognavo di un fremito duale, un incontro di volontà, che ci avrebbe fatto vestire e spogliare in gran segreto, all' insaputa di tutti, come un rotolo di papiro da conservare in un comò per non rovinarlo facendogli prendere polvere, o un orologio fermo sulla stessa ora da parecchio tempo.
Giulio, hai quasi quarant' anni, guardati! Ripetevo sull' ultimo dei molti "per averti pagherei", forse e' il caso che lasci stare. Cerchi l' impossibile. Sistemati. Non puoi pretendere che tutto sia perfetto.
Ma come l' impossibile! E cosa sarebbe l' impossibile che cerco? La perfezione? Quando mai! Delle donne che ho amato ho amato soprattutto i loro terribili difetti, facendoli col tempo miei li ho corteggiati, e poi portati in alto seducendoli, e facendo di loro strumenti di stessa seduzione nei confronti miei.
No! Non smetto di cercare! Sei tu ad aver paura di restare solo, sei tu ad accontentarti del nulla pensandolo come se fosse tutto. Non smetto di cercare! Da qualche parte ci deve pur essere una persona come me, che ha abbandonato la sua patina e la sua maleducazione per un raffinato crogiolarsi in quel che lei desidera davvero.
Ho scavato, e sto scavando in me. Voglio e cerco una donna che m aiuti ed abbia il coraggio di non accontentarsi, proprio come faccio io. Se non la trovo pazienza, almeno non avrò posticipato a data da destinarsi le mie paure. Almeno non avrò il rimpianto di non averci nemmeno provato per poi trovarmi al fianco un' altra persona che mi faccia compagnia ma non conosco, per queste cose ci sono gli ospizi per la terza età.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved











28/12/14

Il coraggio delle scelte.




      L' amore immenso, insopportabile. L' amore che ti addolora, quello difficile e di cui si ha paura. Meglio quello dei vent' anni, frivolo, importante, senza vezzi ne confini apparenti ma con le maschere che ancora non l' hanno compromesso. Capirlo e' più semplice, guarirne forse anche, ma senza dubbio lascia meno sensi di colpa quando va via. Ecco perché e' più facile. Ci si innamora, poi l' amore o l' oggetto dell' amore arrivano a deluderci, ed in mezzo a drammi di cui non si delimitano gli argini, si soffre e talvolta si perdona. L' amore delle età avanzate si plasma su una base già mescolata che proviene da altro. Riguarda se stessi, perché nella maggior parte dei casi si ha già amato. Probabilmente la delusione ha già scalfito quella linfa dell' amore che infiamma. Il calore che lo avvolge e' diverso, come un ricordo di quel fuoco da rinvigorire e da riaccendere. Come brace giace dentro le nostre intensità, le percezioni. Dentro i nostri sguardi si insinua e si alimenta, dando significati o ragioni a comportamenti che ci tolgono l' ipocrisia, quelle maschere che indossiamo per timore di tornare ad amare. Arde pensoso e riflessivo, avvolgendosi ed arrampicandosi di nuovo su quel ramo di sogni che abbiamo tirato via quando tutto ci e' sembrato da perdere. Ed invece ancora lì, immobile e melenso, senza timore di apparire per com' e'. Esso giace voltandosi soltanto di fronte al non volerlo accettare non capendone la sua complessità. Irradia i nostri pensieri e di essi si nutre, non capendo quale direzione prendere per liberarsi. Forse si eleva in volo per poi ricadere a terra sbattuto dalle vertigini dell' età andata. Forse si poggia e si stringe a quella terra, impedendo a qualsiasi cosa di spostarlo altrove. Forse scava, finendosi le unghie nel terreno e scoprendo il sottosuolo per dar luce. Sotto i colpi anziani immobile patisce. Messo al vento e ai sogni il cuore ancora nasce. Fermo, torna giovane per poi cospargersi di ragnatele e polvere, fino a che le calde braci facciano il loro sciogliendo quell' attonita rinuncia in qualche lacrima caduta. Tutto tace, come dopo un terremoto. Tutto quel che resta e' ricordo, paura, e al tempo stesso il brusio qua e la di qualche superstite che di morirne non ne vuol proprio sentire. L' amore che resta dentro una persona sola e' più pesante ed aggressivo soltanto verso la stessa. Ecco spiegato il perché di tante coppie costruite su quella maschera. Persone che non vogliono esser sole. Matrimoni, figli e relazioni sono spesso il rifugio di chi non ha il coraggio di sentirsi vivo. Spostano su altri la virtù venuta meno e sugli stessi poi ricade il tomo delle colpe per le scelte che non si e' volute fare.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

27/12/14

Piatra Neamt.




    Volti di vetro e cristalli attraversano nuvole e nebbia, dove il freddo si adagia lasciandosi dietro pulviscolo e crepe. La virata del vento attraversa le giacche e dal ventre congela le ossa. Sono ibridi di sensazioni inavvertitamente confuse o rovesciate, dove il gelo fitto abbandona il corpo a percezioni di bollori e vapore. Mescola delle volontà e criteri capovolti per difendersi dall' ipotermia cerebrale, che attanaglia, che non lascia, fino ad avvolgere il residuo corporeo e le periferiche dita di mani e dei piedi. Vortici velati di brina come resina poggia al terreno ed agli alberi mentre gli occhi ormai rossi di madido freddo resistono e osservano per quello che possono. Lo scenario che si offre e' offuscato, quasi portato via. Come una foto sfocata lontano mi appare, coi contorni di nuvole grigie e tremante confine. Barre di neve si spezzano a tranci e slavine scendono pattinando e frizzando sulla neve in caduta. Un abete mi protegge, un abete mi tiene. A quell' abete io mi aggrappo cercando di non lasciarmi andare alla desolata e mistica visione di una polverosa notte insonne al cospetto del tuono di ghiaccio che osserva questo gelido cubo nel quale il mio cuore sta battendo lentamente.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

22/12/14

Taiga.




     Crepitii di neve fresca e ghiaccio friggevano sotto il sole che stava sorgendo. L' alba rinfrancava le bestie che avevano passato la fredda notte nelle tane ed alla spicciolata un pò tutti gli abitanti della foresta si stavano riaffacciando. Una pioggia colata dagli alberi si precipitava sul terreno bombardando quel soffice velo di granita limpida, mentre il ruscello ospitava quei piccoli insetti sulla sua superficie, e fra breve sarebbero giunti anche i loro predatori per bere e mangiare. L' alce passeggiava fra la radura colpendo il terreno con la bocca in cerca di qualche radice. Il suo manto aveva acquisito una tinta cenere causa la fitta neve degli ultimi giorni passati mentre la stagione degli amori si approssimava e, come tutti i cervidi, cominciava a sviluppare le sue grosse corna che gli sarebbero servite per duellare e dare il suo forte seme alle femmine per la continuazione di una robusta razza. Al passaggio il rumore degli zoccoli allertava gli uccelli sui rami che in coro di musica spiavano e avvisavano gli altri. Al terreno scoiattoli ed ermellini candidi saltellavano indisturbati ma vigili, così come faceva quel lepre bianco come la neve che in questo momento non aveva avversari.
Con l' orso in letargo l' unica insidia rimaneva il branco di lupi che batteva in lungo ed in largo il territorio in cerca di qualcosa da mangiare, ma quella mattina c' era troppa luce perché potessero tentare una sortita. Altre volte il branco aveva colpito sapientemente; strategicamente aveva atteso che la nebbia si abbassasse per attaccare, oppure la notte, col numero a favore, aveva tentato sortite anche contro prede parecchio più impegnative, e qualche volta aveva anche vinto.
La foresta aveva un' anima, nel risveglio fermo, il vento si piantava e sembrava guardasse, quasi rapito e per non disturbare timidamente si ritirava fino a non soffiare più. La danza di quell' acqua che si scioglieva tiepida accompagnava e le gocce che vi si immergevano come tamburi battevano il ritmo. L' uomo non aveva spazio in questo mondo fatto di immenso. La vastità del paesaggio come consuetudine regolare raccontava di distanze siderali dall' insediamento umano più vicino. Tutto appariva perfetto, intonso, nessuno aveva mai toccato nulla, ed a scandire le giornate erano solo il sole ed il buio, vergati qua e la nel loro trascorrere da qualche predatore e qualche preda che di tanto in tanto vincevano o perdevano per la buona o la cattiva sorte dell' altro. Le bufere arrivavano per spazzare e pulire. Gli alberi più vecchi sotto le raffiche crollavano e diventavano a loro volta tane per ulteriori bestie scampate, e tutto si rinnovava con un ritmo quasi immobile che attraversava il tempo. Bestie morivano ed altre nascevano, le prime diventando nutrimento per altre bestie, le altre attendendo che qualcuno gli portasse nutrimento. Non si udivano fucili, ne cacciatori, ne bracconieri. Non si udivano gli echi di elicotteri e di aerei che passavano per perlustrare. Non c' erano militari che avevano bisogno di difendere ne file indiane di esploratori in cerca di nuova fama. L' ovvia staticità di questo paesaggio, il suo silenzio assoluto, la sua straordinaria purezza sconcertava da una parte, mentre dall' altra dava il saggio senso del vero nelle cose: in Natura non si deve fare niente. Non  perché il pigro o l' immobile abbia ragione, ma perché nel lento scorrere alberga l' effettivo senso della vita, che non e' un precipitare a terra come un sasso ma rimane sempre un lento oscillare dolcemente su una zattera di piuma.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

17/12/14

La sedia vuota.



      Il Federale aveva chiamato a raccolta tutte le società che praticavano il Calcio a Roma. Non poteva ignorare la Lazio, la più antica, tant' e' che fu quella chiamata per prima. Foschi passeggiava su e giù per la stanza, e quel tavolo ovale aveva ancora i posti vuoti in attesa che quel giorno arrivasse, ma già pregustava tutti quei complimenti e quelle pacche sulla schiena: "ce l' hai fatta Italo, adesso saremo invincibili. Vedrà la Juventus e quei signorotti di Torino... non ce ne sarà più per il Genoa... la Pro ed il Casale saranno battuti da una squadra romana...". 
Chissà quanti altri fascisti lo avrebbero sostenuto, chissà quanti lo avrebbero invidiato. Lui, nato in un piccolo paese del teramano, adesso Federale di Roma, e ricordato per aver creato un sodalizio che farà piacere al regime conquistando titoli e dando lustro alla città di Roma. "Anche Mussolini si accorgerà di me!" pensava, "sto facendo questo per Roma, la città ha bisogno di una compagine nuova che possa guerreggiare contro le altre del Nord d' Italia".
Di tanto in tanto lo sguardo si concentrava sui movimenti delle persone, dalla finestra, che come laboriose formiche si agitavano per andare di qua e di la. E di qua e di la qualche guardia, a controllare che tutto fosse normale.
L' Aristocratico Club si era detto entusiasta, avrebbe volentieri messo a disposizione il suo campo, il "due pini", proprio sotto Villa Ada. Era comodo , ma meno capiente sia del Rondinella della S.S. Lazio che del Motovelodromo Appio, in concessione all' Audace Esperia. "Ce lo darà la Lazio, si, ce lo darà la Lazio!" pensava ad alta voce scrutando l' esterno delle finestre di quell' appartamento di Via del Vicario. 
Dal Roman di Scialoja arriveranno dirigenti del calibro dei fratelli Costarosa e Renato Sacerdoti, il banchiere di Testaccio. "Si, avremo tutto pronto a breve, e potremo finalmente vincere".
Il passo fece per rivoltarsi verso il centro della sala, il rumore dei tacchi di quegli stivali e quel passo militare sembravano cadenzarne i pensieri. "La Lazio ha il blasone, ma anche il campo, prenderemo dirigenti da tutte. Pochi! Soltanto i migliori, od i più facoltosi. Gli altri via! Non possiamo perdere altro tempo. Ho già fuso la mia Fortitudo, i leoni di Borgo, con la Pro Roma, anche i preti saranno contenti, da Borgo ce ne andremo ai Parioli".
In effetti aveva pensato proprio a tutto. Nel 1926, dopo la fusione del '24 fra Fortitudo e Pro Roma, anche Alba ed Audace Esperia si fusero per essere più competitive a livello nazionale, fondando così l' Alba Audace. 
Si stava insomma preparando il campo per questo grande passo: la nascita del club che sarebbe divenuto il più forte d' Italia. L' amministrazione e la situazione debitoria delle varie società appianate dai soldi dell' Aristocratico Club, il Roman, solido e sostenuto sin dall' immediato dopoguerra da larga parte della comunità ebraica romana. Il blasone ed il campo dalla Lazio, che da piazza d' Armi, in Prati, si era spostata al campo Rondinella, altri giocatori dalle compagini di Alba Audace e Fortitudo Pro Roma.

E' il 25 Giugno del 1927. Olindo Bitetti e' comodamente seduto sulla sedia di Presidente della Lazio, affaccendato fra scartoffie e telefonate, quando il postino bussa, entra e recapita una lettera raccomandata. Il rumore del tagliacarte occupa tutta la stanza, poche righe, una Convocazione da parte del Federale Italo Foschi presso la sede della Federazione Fascista. Scorrendo quell' inchiostro il volto di Bitetti si fa scuro, senza dire una parola vola via, verso la caserma della Milizia, in Via Magnanapoli. Varcata la soglia della caserma si dirige immediatamente verso l' ufficio del Capo di Stato Maggiore, il Console Giorgio Vaccaro.

Vedendolo entrare il Generale, anche lui socio della Lazio, e' sorpreso, ma non ha nemmeno il tempo di aprire bocca che Bitetti tuona: "siamo fregati! Foschi vuole farci assorbire, guarda!".
Vaccaro cerca invano di calmare Bitetti, ma vedendo fallire il suo tentativo, prende fra le mani la Convocazione ed inizia a leggere fra cento improperi dell' astante. Sembra non ascoltare quanto Olindo Bitetti sta contestando, quando ad un tratto solleva il volto verso di lui e leggendo: "Il Presidente della Lazio deve presentarsi entro e non oltre i due giorni...", poi guarda Bitetti e chiede: "ma perché anche la Lazio?". Alla domanda si vede rispondere: "l' idea di Foschi e' di creare una unica compagine che possa imporsi nel panorama nazionale, noi siamo forti ed organizzati, potremmo essere d' intralcio al suo disegno, e poi abbiamo il campo, cosa che loro non hanno, almeno non come il nostro". 
Seguono minuti di silenzio, alternati a poche parole, riflessioni ad alta voce: "certo due giorni sono pochi, cosa possiamo fare", domanda a se il Generale, poi altro silenzio. Al vedere Vaccaro pensieroso, Bitetti sembra quasi rasserenarsi, oramai rassegnato alla cosa, quando d' un tratto Vaccaro tuona: "Possiamo fare solo una cosa, nominare Presidente il Generale Varini e Vicepresidente il sottoscritto! Poi da Italo ci vado io. Tu pensa a convocare l' assemblea dei soci e fai subito le nomine". Con nuova speranza Olindo Bitetti domanda: "Varini accetterà?" e Vaccaro:" a questo penseremo dopo".
Scalmanato Bitetti fugge via, arriva in sede urlando "assemblea! assemblea!", gli altri soci dal principio vedendolo strambo non gli danno peso più di tanto, ma all' indomani l' assemblea si fa, e le nomine sono fatte: Generale di Cavalleria Ettore Varini Presidente al posto dell' Avvocato Micozzi,  il Console della Milizia Capo di Stato Maggiore Generale Vaccaro Vicepresidente, Bitetti Segretario.

Il giorno dopo, come previsto, Vaccaro si reca dal Federale Foschi. Bussando entra, e al vederlo Foschi gli domanda: "ciao, cosa vuoi?" e Vaccaro: "sei tu che mi hai mandato a chiamare". Foschi sorpreso domanda: "quando, scusa?" e Vaccaro: "guarda, la tua Convocazione...". Foschi replica: " Ah...si, ma e' per la Lazio, ho mandato a chiamare il Presidente...", Vaccaro risponde: "ecco, appunto, da ieri sera il Generale Varini e' il Presidente ed io sono il suo vice, dimmi pure".

Foschi attonito lo guarda e comincia: "stiamo creando una società ed una squadra forti, Alba, Roman e Fortitudo già sono d' accordo, mancate voi che siete organizzati ed avete anche un bel campo, il Presidente sarà la Medaglia d' Oro Ulisse Igliori...", nell' ascoltare quanto Foschi sta dicendo Vaccaro lo interrompe e domanda: " i colori?", a quella domanda Foschi replica: "beh, mi sembra ovvio che saranno i colori del Comune,  giallo e rosso". Vaccaro si irrigidisce e chiede: " come si chiamerebbe?", e la risposta di Foschi: "come vuoi che si chiami...Roma, sarà l' unica squadra della città". 
A quelle parole il Generale Vaccaro sbotta: " sicché la Lazio scompare...i colori del Comune, il nome della città, col campo nostro...giusto?". Foschi va per annuire ma Vaccaro rincara: " beh, allora caro Italo, ti dico che hai dimenticato che la Lazio e' costituita in Ente Morale, pertanto se di fusione si vuole parlare si può fare, ma col nome della Lazio!" 
Foschi fissa Vaccaro: "ho capito, non se ne fa niente."
Pochi giorni più tardi avverrà l' incontro fra l' Alba Audace, la Fortitudo Pro Roma ed il Roman. I dirigenti di queste società si incontreranno per siglare l' accordo di fusione e per dettarne le regole. Dalla Fortitudo la neonata A.S. Roma prenderà la Lupa Capitolina, dall' Aristocratico Club i colori, dall' Alba Audace il campo. 

Sono passati 27 anni dalla fondazione della più antica società di Calcio romana. Negli uffici di Via del Vicario, il Federale di Roma Italo Foschi, di Corropoli, un paesino in provincia di Teramo, sta tenendo a battesimo questo nuovo ed importante sodalizio che sta nascendo.

Seduti al tavolo ovale ci sono i dirigenti ed i rappresentanti delle più forti società di Calcio romane. Con la nascita dell' Associazione Sportiva Roma almeno una dozzina di piccole società sportive che praticano il Football nel tessuto sociale di Quartieri e Rioni di Roma muoiono, non potendosi sostenere da sole al cospetto di quello che il Calcio sta diventando. Unica eccezione la Lazio, grazie ad Olindo Bitetti, a Giorgio Vaccaro ed all' inconsapevole Ettore Varini, un Presidente che non sapeva di esserlo, che ad un tavolo ovale ha lasciato la sua sedia vuota.
Per sempre grazie, per sempre. Grazie.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved 








    

L' orgasmo.



   Suggere nettare come una laboriosa ape. Sentirne il profumo come di un fiore, poi spingere come uno schiavo ansimante, uno schiavo il cui sudore mescola alla polvere la sua corteccia cotta al sole.
Assaggiarne il gusto, ed averne fino a che i fremiti non ne rendano difficile la presa. Serrare e cominciare ancora, di nuovo, come un moto ondoso vederne il corpo torcersi fino a perdere l' ultimo briciolo del suo controllo. Bramo quella scossa elettrica che la paralizza, la osservo perché arrivi. Voglio che crolli sotto i colpi dell' amore e nei miei occhi avere la certezza di saperla ardente. Il fuoco e la sua pelle ruvida d' un tratto lasciano per poi ricominciar la danza. Allora ancora lì, cullandola in un alveare bollente, dove alle ali sbattute da migliaia di api si sostituisce la dura abnegazione di chi la tiene in se scaldandone le membra.
Crepitii liquidi dalle pareti chiuse affiorano alla foce, le rosse gote ed un fiatone anomalo segnalano che il fuoco e' lì. Con la mia mano, con la lingua e tutto ciò che posso vado a scontrarmi con la realtà di quell' istante in lei. La guardo e la tengo a me, volendone ancora. E nel momento in cui il suo sguardo incrocia il mio, mi inchioda. Quell' attimo giustifica il resto del giorno che attraverso nella sua immagine, proprio in quell' attimo la privata e sensuale schiena di chi la vuole si scioglie in una ultima spinta che dai reni e da muscoli fino ad allora sconosciuti si abbandona in un lago di solitaria tristezza per averla purtroppo soltanto immaginata.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

15/12/14

Castello.




       Il glicine sporcava a terra. Quell' immensa mole rosa e violacea di campanelle si era liberata dal suo guscio ed aveva prodotto una montagna di bucce sul terreno. Noi eravamo passati facendo attenzione a non scivolare, la pioggia delle ore precedenti aveva rammollito questo tappeto sul quale, senza attenzione, i nostri corpi non si sarebbero di certo adagiati. La sosta a destra e la fila ci permetteva di sentire quei rumori di ferraglia sbattuta, mentre il costante friggere accompagnava come il rumore di una cascata dal letto ampio. Il capanno si apriva a noi con le sedute in ordine e quello sporco rurale che ci sapeva di casa, poco importava se ai lati la tenda era aperta e ogni tanto il vento soffiava. L' affaccio sul fiume e quella pellicola antica riaffiora. Quegli attori degli anni '70 e lo schiaffo di una eco mostruosa, mentre adesso quell' angolo e' il nostro, nessun' altro all' affaccio si posa. Esclusivo ed ultimo, o meglio, degli ultimi. Goderne a pieno era un vanto, e come un segreto di pochi, a pochi altri si tramandava. Sedute di legno e un biliardo che pende e accompagna giornate lievi. Un camino bollente e poltrone, poi una voce: e' il padrone. Quella barba e la strana andatura, un sorriso, fratello e cognata, il saluto e uno spicchio di sole che sta entrando dalla vetrata. Qualche passo e mi affaccio al balcone, molti alberi piante e una riva. Guardo in basso e il rumore del fiume mi dondola, ipnotico come quel fuoco. Seduti alla tavola arriva, scorre il fiume, entra a Roma, si ammira.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

09/12/14

Cheers.




     Portane un pò anche a me, e' giusta e quel colore ambrato mi fa venire voglia di toccarla e farla mia. Fammene accarezzare il fianco, lo voglio fare con il dorso della mano mia, quell' elegante fianco. Fammi baciare le sue labbra fino a sentirne il gusto, e quando lei comincia a prendermi, io prenderò lei. Falla muovere meno che puoi, perché e' a me che tocca, voglio pensarci io, scaldandola con la mia mano, respirandola e che il suo buon odore si avviluppi intorno per donarmi ancora un desiderio in più di averla li con me. La sorseggerò piano, come se fosse un' emozione ogni momento, ma la gusterò per tutto il tempo necessario, fino a quando la mia lingua avrà smarrito anche il pensiero di quello che lei era, fino al punto di farmela desiderare ancora e prenderla per farla ancora mia. Fredda la scalderò sapientemente, e le mie dita non creeranno solchi ma direttrici entro le quali come vetro il corpo suo si lascerà cullare, quando il suo gelido sembrare scioglierà gocce d' acqua fino a terra per poi perderle in silenzio.
Già, il silenzio, silenzio e sorda sta, ferma in attesa di una nuova mano da cercare, quella mano va a cercare, e quella mano arriva. Di nuovo un impeto che muove, ali di rumori si allontanano e le luci fioche danno una contezza di fiabesca visione. Guardami mi sembra dire, prendimi, fino alla prossima non posso essere che tua. Cullo lo sguardo profumando le narici del suo olezzo, di nuovo ne prendo, e la mia bocca da serrata s' apre, per nutrire ancora il gusto di colei che giunge. Il tatto e' coinvolto perché e' presa e non va via. Sarà per quell' attimo così sublime che cerco intorno un altro interprete di questa voluttà di sogno, un complice con cui condividere l' istante in cui quel tintinnio completa. Due vetri che si incontrano fan si che anche l' ultimo dei sensi si coinvolge e con gli altri e' a chiudere quanto già di più perfetto non accade.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

Brividi.




         Come in una piscina di acqua termale sono in montagna e mi immergo quando fuori dall' acqua si gela e sta nevicando. Il calore ed il fumo mi fanno sudare e la fronte madida accoglie i cristalli di ghiaccio soffice che si poggiano mitigando il freddo nel caldo ed il caldo nel freddo. Le stelle celate da un piatto cielo grigio comunque sono lì, più vicine, come quella Luna immaginata, ela cornice di quel quadro e' la montagna, e quel colore grigio e blu che appare luminoso con la neve. Punto i piedi bollenti per sentirli e ricordare che ci sono, poi mi abbraccio e mi immergo un centimetro in più per godere di quei sensi. Ho cura di me in questo modo, come i fon di una stanza rotonda concentrati nel caldo e nel letto, sempre brividi e crude lenzuola. Asciugando morbidi tessuti accolgono e riparano da un alito di vento che giunge dall' esterno, e altri fon per scaldare e altri morbidi sospiri per accogliere il calore.
Ermetica visione di un mondo solitario e silenzioso dove tutto avvolge e protegge dalle forze che da fuori montano. Resto lì in quell' idea di sospeso già provata e poi cercata ancora e ancora. Mescolo le soglie di quei mondi paralleli alla realtà, con quegli ingressi che da quegli attimi ritornano alle prove empiriche del quotidiano. Lo schema rimane quello, come il tentativo di gestire la possibilità di esserne dentro oppure fuori. Tintinnii di ricerche sbagliate e delusioni sorde si mescolano al sontuoso trionfo di un rinnovato calore che dona quiete. Tutto resta immobile, l' unico aspetto che la staticità d' insieme non avvolge e' al solito la mente. Picchetti di libertà e reti di desiderio. Vette, freddo spirato, tessuto cutaneo protegge e non sente. Calore abbraccia, mentre la mente danza in un vortice di movimento che in una bolla di delirio muove le immagini bloccate di una foto andata via che resta fissa.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

05/12/14

Beacons.



        I nibbi danzavano in quel cielo di mercurio mentre i tagli ordinati spogliavano qua e la qualche parete di quelle colline. Alberi erano segnati, mentre altri erano già stati scorzati e portati via per le segherie della regione. Il vento dellle Brecon Beacons sferzava ma quegli ovini gonfi di lana sembravano non interessarsene. Brucavano il terreno nelle parti più alte, facendo attenzione a non calpestare i ruscelli d' acqua che dalle vette scendevano a valle. Interi fiumi rumoreggiavano cascate versandosi in altro fiume. Il suono costante era rotto di rado dal passaggio di qualche vettura. Lo sguardo rapito ed inerme, come fermo, sul volo di quegli straordinari uccelli, sulla loro caccia, e staccavo su quei monti dolci come una playland per bambini enormi. Il ghiaietto e l' ardesia, ciottoli e briciole di pietra, raccontavano gli anni trascorsi immobili di quelle terre al nord delle valli. Una lingua di asfalto catapultava i passeggeri in una fiaba di talco e fruscii, sospendendo il tempo e facendo assaporare il gusto di quella Terra straordinaria.
Sembrava spesso il volteggio di una ginnasta impazzita di musica, toccava corde di un intimo remoto e quasi sconosciuto, abbandonato. Per poi mutare in un brivido di freddo e calore al cuore, riflesso di quel dolce ondeggiare con dei fiumi dondolanti anch' essi, a fare da cornice. Assaporare gli istanti e assaggiandone le parti più lontane, questo e'. Il senso di fine che si prova alle Beacons, quel termine delle cose di chi vuole esserci quando cala la scena e le luci si abbassano fino a sparire. Un terzo occhio primitivo allora si dischiude, sbocciando come un tulipano ed aprendosi al mattino ed al sole che non c' e'. Sente cose di altre frequenze del corpo, avverte istinti e primordi raccontati come "deja vu", quella sensazione che nulla deve essere toccato, così perfetto, così semplice, ma maturo e schema.
La Natura e' lì che si lascia guardare, quei monti uno specchio oltre la collina di Hereford e Ross on Wye. Discendere da Brecon verso Merthyr e incanalarsi nelle strade laterali fino a perdersi nella convinzione non di scoprire ma sollevare polvere su un libro scritto da secoli. E quelle parole amiche che tornano nella mia testa quando tutto questo spettacolo si mostra al mio istinto: "non devi fare niente", diceva e dice il mio amico Guido. Non posso fare a meno di pensare che vorrei lui fosse lì con noi in quel momento, in quei precisi attimi, per nutrirsi così della soluzione che non chiede domanda, dove il silenzio sono urla e gli aliti di vento sono note musicali sulle singole esistenze, dove ci basta per comprendere la vera essenza, sollevare un pò d' erba e capire che si può volare anche da seduti.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

    

04/12/14

Victor.




     Laceri vessilli tornano da una campagna al Nord. Barbare scuri hanno colpito e scudi hanno protetto mentre urla disumane accompagnavano una immonda battaglia. La ferraglia scossa masticava suoni fin dalle valli più vicine e polveri e sangue si mescolavano in un terreno madido di colore grigio. Fiamme e odori freschi di olio mentre l' elsa della spada era ferma e leggera intorno alle dita. Lo sguardo vigile evitava e l' arto deciso colpiva sferrando vortici di lama e parando colpi ove il sudore esplodeva via con un vigore inconsueto. Mausoleo della violenza gli occhi, dove flash intermittenti raccontavano a se stesso quanto visto. In un assurdo tentativo analizzare quella vergogna che aveva vissuto, udendo e respirando. Poggiato l' elmo ed affondato l' otre il movimento era quasi meccanico. Voleva bere, ma non solo dentro di se. Voleva bere e lavare anche l' esterno dopo quanto accaduto. Lo sporco di una inaudita violenza non si lava via nemmeno grattando con la pietra ma provava. E ad affiorare erano altri ricordi, altri dettagli. Il fumo nero dei corpi caduti mentre l' incendio li mangiava, oppure il pianto di chi non si era rassegnato a tutto questo. Denti serrati e versi di fatica, marcia e scudi che assettati si sfioravano. Poi gli sguardi, quegli sguardi. Persi di chi non vive più in se stesso, privi di chi ha perso e giace. Volitivi e ragionati in chi ancora e' pronto ad affrontare, complici di chi lo osserva e ammira ancora la sua vita. Esplode, ignaro, lo sdegnoso impulso di sopraffare o di resistere ferendo. Quegli sporchi lunghi capelli e quelle pelli di bestie sulle schiene. L' incomprensibile rumore di quelle strane voci gutturali. Divide il senso dal colpire, la regola abbandona e viene sopraffatta da una barbarie ulteriore che trasforma il trascorrere di quel tempo in una ultima possibilità se non speranza di essere civile. L' epilogo di quei momenti in una mano che si stringe in uno straccio di bandiera raccolta dal terreno che per lui ha significato Roma. Victor.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

01/12/14

The frog is joking.



    Was in a perfect world since I' ve been stalked from a frog. It starts to speak with my ideas, and step by step divided my way of thinking in many sides. If it rains, it gave me warmth all around my body as if you are in an Hokkaido snowing spa. When the sun was high, it touched my skin and made me really slow, finishing to be cold in a sunny hot day. The balance of this frog gave me everything unreal. The front should have been the back, and the back the front. In my opinion, the frog still moking me as if I am living in a circus where anything is not as I saw before. Clouds and rain, with just one "cra", this frog drives me to my real opinion and not to the dark side of my way, that I watch when I am in silence. Rest in peace old Roberto, a new Roberto is just growing up from the plants of the river where a small green frog starts to sing his noise...as you did from the moment where you are reborn in a tear of a lullaby.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

Sottosopra.




      Vascelli capovolti adagiati su soffitti d' acqua increspata. Dondolo su un terreno di nubi grigie e la burrasca si solleva dal basso mentre i lampi sono scosse accese che si liberano nell' aria. L' inerzia non esiste ed i corpi fluttuano trasportati da un vento caldo che arriva dal nord. Pilastri di ghiaccio bollente e tegami fumanti abbassano idrometeore. Tempeste e vortici di silicio in sabbia feriscono e lacerano i tessuti delle nostre vesti, mentre possenti dromedari hanno il peso dei viaggi e delle pene sotto i loro zoccoli, limando il terreno con una soma gonfia di otri di sale aperti che piovono luce.
Altre dune passano mutando dall' ambra al cinereo, come tendaggi antichi dipingono un sipario di polveri e grani, mentre il salto di uno sciacallo ammette roditori in un terreno di vetro fine e curve cangianti. Galoppa una libellula nella sottile frontiera del cielo, facendo attenzione a non allontanarsi troppo dal calore diffuso da quel soffitto. Lacera quel tendaggio una pozza di liquido sospeso che, come un' oasi da speranza, lima le identità di chi l' attraversa nel rigore di chi ne obbedisce le ardue regole.
Accolgo in me lo sguardo tondo che giunge da sud. Chiedo al mio inconscio di interpretare quanto non vedo, e di quel che vedo quanto non torna. Un rovescio silenzioso alberga nelle mie idee soluzioni che altri non posseggono. Capovolto il mondo nutre l' intensità dell' essere e perde monete cadute come pioggia su terreni di aria tersa. Se l' Inverno portasse la neve scioglierebbe dubbi ed altre inerzie, fino a far giungere le intenzioni davanti alla porta delle scelte nitide, fuori da ogni rango di celere conformità al paesaggio ed al tempo che stiamo vivendo.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved