27/03/15

Il timore di vedere.




         Cardini e sostegno, si alimenta l' idea di costruire e negli incastri di una struttura riparata osservo le congetture che ci raccontiamo per tenere in piedi situazioni stanche e tutti quei timori di guardare veramente a ciò che siamo. Spesso ci accontentiamo dell' ultima mano di vernice per non accorgerci che il soffitto sta crollando a pezzi e la muffa sta mangiando le pareti. Quale grande bugia e' la vita, e quante illusioni e speranze vengono affogate dalle scelte...ci ritroviamo disperati in un futuro costruito altrove e vittima dei criteri e delle maschere indossate per piacere ad altri senza che si sia provato ad essere noi stessi dentro l' intimo e nell' anima. Raccogliamo come mendicanti sorrisi e false convinzioni nutrendoci di un' altra verità soltanto immaginata, dove il piacere di piacere si scatena e tinge, passando altra vernice su quello che non accettiamo e sulla parola che tanto ci spaventa e che passivamente ci divora: il compromesso. Quell' idea mendace che ci spinge a non voler volare. Accattiamo e lentamente lecchiamo gli scarti senza far esplodere la magnificenza di ciò che siamo. Se questa patina cadesse e questa crema viscida venisse sciolta capiremmo che la vera vita e' altro, e che si può volare anche stando fermi. E invece ci tritiamo di bile e di microattimi di depressione per un vestito che non ci sta più o per un capello che si perde, ed iniziamo ad ammalarci lentamente senza comprendere che solo una e' la patologia: abbiamo smesso di guardare ritti la gioia, abbiamo perso la capacità di attendere il gusto ed il garbo, e con essi il furibondo desiderio e la voglia di toccare con tutto quello che possiamo la persona eletta ad albatro fedele. Cotti da una delusione e pilotati verso un nuovo fallimento dondoliamo fra la vita mascherata e quell' idea, alimentando un conflitto interiore con quella palla di vapore chiamata coscienza e che ci vuole volti nella direzione del destino scritto per il nostro tempo usato.
Pilastri e sogno, tremori e scosse elettriche alla schiena. Cos' e' la parola amore in verità. Occhi bagnati di commozione o viscerale fisicità? Eleganza o percezione dell' altro mediante una mano che passa fra le cosce? Le due essenze si scostano per poi trovarsi, fino a confluire in una relazione simbiotica dove coppia diviene individuo e due persone incontrano il senso di una vita passata a cercare. I momenti in cui ci si ritrova sono nitidi e fedeli, come se ci tuffassimo nel liquido amniotico dal quale veniamo riscoprendo una effettiva essenza celata fino a quell' istante in cui ci siamo persi nei due sguardi. Cordoglio e pianto nel fallimento e nella frustrazione, colpevole responsabilità nel non voler sentire dove guida il fato. Siamo pugni in faccia e nocche logorate, annusiamo l' olio rimasto in queste scatole di tonno vuote cercando di ricordare il sapore del pesce. Assurda e tacita accettazione delle delusioni quando alle spalle potrebbero spuntare vere ali e ci libereremmo in cielo, guardando la realtà col vento in faccia e ricercando l' albatro che cerca noi.
Virale annientamento della psiche e liquidi organici diffusi in una cieca abnegazione nel serrare aspettative e chiudere la porta alle semplici volontà, senza la preziosa sponda di una traiettoria umana verso quello che oltre noi resta celato. Vivide sensazioni avvolgono come quel vento ed un ritorno agli aspetti rurali delle voglie cingono ed al tempo stesso eccitano. Suggello ad un trionfo e a una scoperta in un confronto fisico come se all' apice di quegli attimi due corpi nudi si rovesciassero su sabbie umide e cortecce d' albero. Osservando sintomi di estasi e quel fuoco, dove il palmo di una mano serra il collo e lo rilascia per accarezzare, dove lo sguardo possiede e e' posseduto, dove attimi di follia di sesso scaldano ed erigono complici in una mescola di odori e tattili riscontri. E un fiore, ed un sorriso, una parola, il cuore si scalda e quei capelli volano nell' aria. Rilassato delirio e clemenza elegante, scioglie in un ammiccamento complice il sublime picco di realtà votata all' altro. In quel nido gli occhi vedono come in uno scrigno a luce accesa ed alla stessa luce trovano tracce di un' ombra che ha la forma della sagoma dell' altro. Il suono di un carillon accompagna come il fischio di un vento caldo che ora arriva, e' tempo di giacere e accorgersi di ciò che abbiamo visto e che ci vuole.

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L' immenso oltre la gemma.




             Resto assorto per un momento a guardare quel ciondolo. Incastonata in quell' oro bianco una gemma di acquamarina e nel suo azzurro mi tuffo in un immaginato mare tropicale dove l' orizzonte si confonde col confine di quell' acqua trasparente. Le onde arrivano placide verso una sabbia che sembra farina e la risacca asciuga friggendo sotto il sole che la scalda. Un unico tuffo per ascoltare i rumori dell' acqua, dove coralli e marea si mescolano in un elettrico pianeta di suoni croccanti. Mentre mi libero in un' apnea divertita, sinuoso attraversa e refrigera dal torrido caldo, e quel liquido che mi avvolge come fosse una coperta di miele.
In un simile sogno mi secca persino dover respirare. Quando al rumore costante dell' acqua che accarezza si sostituisce la brezza dell' aria e il ciarlare degli individui che giunge dalla spiaggia, mi ricordo che, mio malgrado, quella e' un' esperienza condivisa con altri, e quegli altri, hanno una percezione piuttosto distante da come mi immagino io in quel contesto. Solo la velocità degli istanti necessari per poi rimettermi a riflettere subacqueo, distante alcune decine di metri dalla sabbia asciutta, ma ad anni luce da loro e da me, in una vita tutta mia, fatta di sensazioni nuove e di riflessi luminosi sul fondale.
Perle e conchiglie, poi ancora perle. Sono i miei desideri ed il momento più alto dove mi trovo solo e dove accelero la vita concentrandola in un liquido di un attimo riassunto. Dondola il mare, e mi dondola, quando come una stella marina che osservo al fondale di sabbia, ricorda che come nel cielo altra stella io posso guardare. Luci e pesci, frigge l' acqua e ascolto il mio corpo. La piscina naturale non ha confine e sembra quasi indurmi ad aprirmi all' immenso. Non ho nulla, ne voglio di più di quel nulla. Appagato, fresco e scaldato dal sole, guardo le bolle e mi sento una parte del tutto.
Per ogni istante comprimo immaginando che possa essere eterno. In questo, il trattenere il respiro mi aiuta, e senza abbandonare quell' aria ai polmoni, mi muovo in cerca di me.
Avvito i miei fianchi e capovolto la luce mi illumina gli occhi. Non ce la faccio, non posso resistere al sole, e di nuovo la testa si volge al fondale tranquillo. Il suono e quel dondolare, quei riflessi della luce e nel mare.
Di nuovo ho bisogno di uscire, e di nuovo il mio mondo e' interrotto da un vocio che non cerco. Le braccia si dilatano raccogliendo mare e spingendolo, poi di nuovo un brivido per quel poco di freddo avvertito uscendo da questo stato che quasi ipnotico oramai mi nutre. Piroette e capriole, gambe fuori dall' acqua e di nuovo la spinta a scendere sotto.
Concentro, impilando come pagine di libri letti, attimo su attimo, e vedo l' inchiostro correre raccontando di una storia fantastica della quale raccoglierò forse solo una timida introduzione. Riuscirò a ricordare, ma soltanto come in un attimo trascorso, catturando quell' unica sensazione emotiva che mi lascerà quell' immagine di me che mi libero in uno spazio di stelle e liquido, per andare ad esplorare mondi sconosciuti fuori di me e ritrovarmi esattamente in quel piccolo angolo remoto di me stesso che non riesco ad osservare sovente. A quel punto non sarò io a tenere la mia penna ma sarà soltanto lei a  guidarmi su quei fogli asciutti descrivendomi di attimi sott' acqua e di me stesso, ridestandomi da quella pietra azzurra come se attraverso lei io non fossi mai riuscito ad osservare.
Domandandomi a quel punto se lo possa aver vissuto oppure soltanto immaginato, stupirei i miei occhi constatando che la pagina del foglio che ora ho scritto e' sotto le mie mani ed e' bagnato.

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25/03/15

Cupo mattino.




            Fragrante mattino, nello stesso umido di una pioggia insistente vedevo macchine scorrere in fila indiana oltre una nuvola di vapore che la stessa acqua caduta creava. Fra i pini e i castelli potevo osservare le mamme che come formiche accompagnavano a scuola i loro figli. Quella lingua d' asfalto era gialla, spenta come gli individui costretti a quella inutile processione. Nelle giornate dove il tempo era buono lì si poteva vedere sorgere il sole, e, se ci si alzava all' aurora, la magnificenza dello spettacolo faceva mescolare i colori del cielo in evanescenti ombre di rosa ed azzurro.
Ma il cielo era plumbeo quel giorno, a tratti coltre di fumo, e quell' acqua scendeva uniforme rimbalzando sul piano e sulla vegetazione. Dava il ritmo al tempo, lo scandiva come se fosse una lancetta di orologio, mentre il campo visivo veniva interrotto qua e la da qualche albero e qualche tetto che ne limitavano un' osservazione più profonda. Nulla a che vedere col profilo di questo insieme che poteva averne qualcuno incastrato nel traffico del mattino.
Mentre la fila indiana lentamente procedeva immaginavo il rumore del riscaldamento per non far appannare il vetro, oppure di una radio accesa. Tutto doveva essere celato, senza poter avere contezza di quello che avveniva intorno. Non e' solo un altro punto di vista, la mente si impegna a seguire la strada, ordina le mani a tenere il volante, a tracciare una traiettoria con l' ausilio di marce e di freni, e il disegno d' insieme svanisce, sulla radio come sul vetro appannato, o sullo specchietto retrovisore a un incrocio.
Zampillava sulla tettoia quell' acqua apprezzandone il suono, tracciavo una nuova linea da lì in sù alle nubi, un contatto fra me e quelle grigie esplosioni di cupo. Le potevo cavalcare fino ad osservarne la parte al di sopra, dove tra correnti e turbolenze ad un tratto mi si mostrava il cielo azzurro scaldato dal sole lontano. Ruggiti di fiumi in piena, ordinati e costanti, attraversavano il terreno rovesciandosi in quel cielo piatto. Mi perdevo ogni tanto sulla linea dei palazzi al mio orizzonte, andando poi a contare chi aveva spento già le luci e chi invece non lo aveva fatto. Poi passavo alle auto, una per una, visitate quasi come fossero oggetti di desiderio, e tutti quei vetri nebulosi trasferivano l' umido del cielo dentro altri microcosmi dilatati verso idee determinate di operosità e di guida, volti alle proprie destinazioni.
Come sollevati dal tempo interrompevano i pensieri, si recavano come automi alle rispettive sedi di lavoro, perdendo il contatto con l' albero, la foglia e la grande energia delle nuvole basse. Rigagnoli d' acqua che adesso passano dove prima era asciutto, nelle madide strisce  e nei solchi viaggiano come barche alla deriva le foglie essiccate, che dove non riescono ad avanzare formano dighe che vanno a ingrossare il letto dei solchi. Catene liquide perpendicolari al terreno precipitano in un vapore esploso vicino alla fine. Fiotti di fumo dalle auto appannate contribuiscono ad imbrunire il mattino. L' asfalto calpestato rompe in piscine di acqua putrida dove e' bene non mettere i piedi, e mentre gli ombrelli sgargianti sfilano rompendo la tenue nebulosa prospettiva, lo sguardo va a quell' albero di noce che sta lì da sempre. Al centro dell' insieme questo crepa grigio argento divarica i suoi rami fino ad intercettare il cielo, mentre io mi immagino con un pennello in mano a ridipingere su tela per fermare, immortalare quelle linee dei rami più alti che vanno a confondersi con le nuvole cupe. Poi in un istante un lampo fa lo stesso, quasi simmetrico, e lo incontra squarciandolo per rinnovarsi in esso ancora una volta ed io lo vedo adesso rovesciato. Come una fenice rinasce dalle sue ceneri in una espressione prospettica di un clima inclemente avverto questa strana sensazione di rinascita in uno stadio di morte apparente.

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24/03/15

Da una pietra all' aria.




      Ho indossato il silenzio per alcuni istanti fino a non vedere più. Rimasto fermo coi miei occhi chiusi dopo che me li ero stropicciati per trovarci i motivi geometrici che solitamente mi abbandonano dal tempo corrente per portarmi al volo. E planando fra le radure triangolari della buia stanza sono giunto fino all' essere che rappresento senza prenderne la forma. Quello che vedo mi piace, e sono granelli di sabbia che cadono via come se fossi clessidra, mescolati con piccoli ruscelli di diamanti grezzi replicati su una superficie di vena azzurra. Al cospetto di ciò che scivola c' e' quel che raccoglie: un immenso mestolo di alberi di alto fusto con le cortecce scolpite di un argento e ardesia dove madido il terreno spurga rovesciandosi in cascate flebili e costanti verso una risaia molle.
Operosi contadini sono idee, fra le quali spiccano le più intrepide, vestite da samurai e con le spade al fianco, pronte a sferrare la stoccata per raggiungere lo scopo. Corde e drappi si mescolano con la seta e un orologio fermo, mentre livree sontuose sembrano sipari e si elevano come lenzuola al vento trascinate via ma trattenute dall' immobile che tiene. Fruscii e pulviscolo dove si annida l' arte, e silenziose voglie, ed inespresse sensazioni. Salgono in un attimo dalla marea di un' onda ad una vetta dalla quale il mare sembra una costellazione. Microbiche onde come un alfabeto Morse, come punti e spezzate, e quell' impeto e la decisione mescola i successi ai fallimenti ed alle cose disattese.
Cavalcano quel lento dondolare sul ciglio di una musa bianca, dove l' inchiostro crea esplodendo in una giostra di colori e dando senso all' insensato. Corte matite e mine portano la polvere in un suono armonico che d' eco si cosparge fino a giungere al diametro di una corteccia in fiamme su una brace ardente. Scintille e nero lucido si mescola, fa esplodere l' ossigeno in ozono, mentre il leggiadro movimento nella litosfera muta quelle stoffe e quella seta in una danza di libellule sembianti. Cosparse di etereo e di licheni convogliandosi in spirali capovolgono il terreno e tutto il cielo, fino a raggiungere una sensazione inversa ed a tuffarsi nello spazio dov' e' nero.
Candidi nautili come fossili sospesi assumono sembianze di pianeti. Spirali ossute e conchiglie di una geometria marina si sollevano in un nuovo mare statico di nuvole e di quota. Foschia tendente al liquido si diffonde mentre il pulviscolo di quella sabbia scesa adesso graffia il volto di un' identità prima nascosta ed ora ritrovata. Fendenti diretti alle fessure, carni che bollono e laceri pensieri montano fra un frammento e un giacimento di ametiste e di rubini. Viole e tamburi scandiscono il rumore di una lancetta che rimane fissa, in un tema interrotto e a volte luminoso di una pietra unica che si solleva per disperdersi di nuovo in questo nulla.
Grandini e tempeste di pianto e nostalgia, sensazioni incontrollate, soltanto assaporate, dove dolce e' l' attesa e le simbiosi intrecciano fino a restare di qualcuno che non e' presente, dove quella malinconia rimane sorda ad un silenzio che di tanto in tanto da spezzato torna al mare rifugiandosi fra i crepitii dell' onda che allo scoglio poi si infrange. Odio quel sipario avvolto e quella nebula sospesa, virali assuefazioni al nulla per accorgersi che e' lentamente tutto. Tremori di una febbre emorragica di laceri pensieri andati via nel tempo, e nello spazio adesso ritrovati. Sostengono come tanti carillon la musica di un bosco di betulle, vacillano idee frangenti e scosse di volumi e intensità. Follia diviene dogma in un salato mare di nostalgici abbandoni, dove sollevano coriandoli e nevischio nell' inutile sorpresa di terreni inconsistenti dove ermetico si chiude il desiderio in un pensiero abbandonato.
Fili che si incontrano in trame confuse sciolgono per poi annodarsi altrove. Coordina le direzioni mute di un pensiero aggrovigliato per rilassarsi e andare via dal tempo ed arrivando lentamente ad un creato. Foglie e stelle come lucciole marine dannano con luci ed ombre scure, come se monti e quei pianeti nel sospeso di quei nautili inghiottissero per poi trovarsi nudi in un terreno freddo dove soffia vento morbido. Biglie che si allontanano come uno scivolo e voltano fragorose verso il cosmo di una stele di solitudine impressa  in un trasparente istante di levigato fisico che incontra.

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23/03/15

Il monsone.




      Le cime tese, mentre il vento gonfia le vele ed il timone traccia quella scia di spuma che accompagna il bastimento. Un brigantino, un veliero a due alberi, concede pause al tempo come se quell' acqua sollevata fosse vena di una dorata lingua. Sceglie la chiglia, e taglia le onde che incontra, mentre la rotta punta dritta ad Oriente. Avidi di tempo incalzano mentre le corde tendono ed un suono stride. Le stoffe delle vele al confine di lacere pressioni ottemperano, sostenendosi sugli alberi e divelte, quasi esplose, colme di quell' aria salata gridano portando quella nave verso est.
Una navigazione solida al confine delle rotte conosciute, per controllare il mare, il tempo e il vento. Solca le onde e affonda la sua prua come una lama districandosi fra quelle onde con fendenti che ora affogano per poi risollevarsi e rimontare. Crepitii e gocciole di schiuma, mentre sugli alberi, dei marinai consultano le carte ricordandosi di quanto arriva e di quel che poi si vede.
Alle Laccadive sfiora terra ed un corallo rame ci colora i mari, passa il legno ritornando al fischio di quel vento pur sapendo che disegna traiettorie già percorse. Ed il timone poggia, il bastimento volta e la marea di vele svuota il vento per andarsi a ridirigere nel disegno di una traiettoria nuova laterale.
L' India avanza ed altra terra nuova giunge all' orizzonte piano. La carta indica e l' occhio ancora e' cieco. Circumnavigare quella nuova costa per dirigersi verso le Andamane, dove pagode e mare bianco ci attende fra scogli e isole di pietra, mentre le vele ammansiscono fra vene di pace e venti interrotti. Il mare d' India ancora ci fa ballare, dondola lo scafo come un valzer delle terre austriache, ma siamo in altro mondo ed il monsone carico di nere nubi ora ci insegue.
Pioggia alle spalle e venti feroci montano portandoci quasi sospesi verso il nostro est. Lampi e tuoni ci inseguono spezzando il cielo in due e colorandolo di un viola elettrico. Come uno sciame di rumorose vespe un cielo liquido si affaccia e ci coinvolge in un mare di burrasca che difforme si sconquassa in bolle d' acqua convesse pronte ad esplodere al contatto col veliero. Piatte nuvole cupe incutono timore mentre dei nuovi venti incalzano spingendoci alle coste. Il monsone e' oramai giunto e la navigazione muta in un possesso della nave e in un controllo che la vuole governata contro il vento e il mare gonfio di colonne d' acqua inquieta.
Scende pendii di scivoloso liquido quando per risalire poggia al mare e esplode schizzi fino a non vedere, poi ricomincia la discesa e ancora giù. Morde il mare e inghiotte per poi rivomitare lento quella prua che traccia e fugge. Claudicante ed offeso il bastimento, nel suo incedere si allinea il più possibile per evitare bassi fondali e correnti di risacca, mentre al cospetto dell' impetuoso mare può poco e al vento e al buio lentamente si abbandona. Coordina e piega in una danza, che come un carillon che e' oramai scarico si muove a intermittenza. Al suono le urla delle onde e il fruscio di quelle schiume fritte che si adagiano pian piano per poi raccogliersi e precipitare ancora. Candido istante di un immenso terrore piove addosso il cielo in uno scampolo di grigio lampo e fragoroso tuono. Sacche di iuta e corde che si grattano stridono ancora sotto i colpi dei fendenti oceanici che il monsone rigonfia. Cerco lo spazio per le stelle in cielo ma quello che vedo e' una distesa di mercurio pianeggiante dove lumi ed esplosioni di correnti si accendono di tanto in tanto per unire il mare in questo polveroso assalto di liquidi fendenti. Sono gassose culle che nell' impeto di un mare mosso si addormentano come un lenzuolo fradicio dove si ferma il tempo, e quel timone e quella prua hanno ancora il loro da fare per sorreggersi al cospetto di un' amaca d' acqua che non vuol saperne di fermarsi in una prateria nuova dove fondali calmi si rischiarano col cielo di un tramonto che va via.

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Quell' istante di buio pastello.




         Al buio si vede meglio. Per la verità col buio tutti i sensi ne beneficiano, ma e' anche vero che si diventa più circospetti, più vigili, come se ci fosse una consapevolezza differente sui rischi e sui pericoli che potrebbero presentarsi in un istante.
Al buio si pensa anche meglio. Lontano dalle caotiche incursioni di individui appariscenti e volti amici, da conversazioni interessanti e meno, si scruta molto in profondità lo stato che si prova, e come se il buio fosse in realtà la chiave per entrare in un' altra dimensione, si dilatano le prospettive possibili su eventi passati e su accadimenti cui si da attenzione per poi trovarsi al chiaro di una soluzione o di un pensiero accantonato prima ed ora intatto.
Le chiavi inconsce ci portano spesso a non voler vedere, oppure a disegnare un futuro immediato con forme e colori come li vediamo noi, ma le mani di vernice sono aggiunte anche da altri mescolando in un simbolico paniere di pittura le nostre alle loro e viceversa, così da avere interpretazioni tenui o sgargianti su una stessa base di colori ma con intensità più varie.
I connotati di un disegno caotico si rappresentano sulla tela del tempo che si vive, dando pennellate a caso e producendo curve di colori intensi e di striature pastello, dondolando insieme al tempo per lo stretto necessario affinché si asciughino e diventino immediatamente storia di un passato da poter raccontare.
Nel momento in cui gli altri ritraggono loro stessi andando ad osservare il quadro del compiuto, io riposo, gustando della loro curiosità e, nel complesso, delle dolci sfumature di vernice che adesso possono rubare. Mentre in realtà mi beo di consentire a chi di cecità si nutre, di giungere ad un piccolo scampolo di luce entrata da una finestrella congelata nella loro iride, come di un individuo che non sa che può vedere meglio dentro gli occhi suoi di quanto possa fare coi colori su una tela altrui.
Vivide intensità si sciolgono e si rimpastano nell' esperienza di un vissuto andato via, come crete essiccate passate nell' acqua disperdono e liquide si addensano in una nuova melma di pittura pronta per incominciare.
Osservo il tratto dell' opera nuova, come una colata di terra di Siena si rovescia sulla stessa tela oramai bianca e pronta ad un riciclo di disegni con  volontà e sensi dispersi che ora si ritrovano in una nuova opera ed intento.
Corde e tessuto avvolgono, e soffio, e vento, e fiato, fino a trovare un istante sospeso al di sopra di ogni alito dove tutto si definisce e resta fermo, per poi rinnovarsi e ripartire al vento perché si possa asciugare e imprimere in un simbolico libro di ricordi e quotidiano da presentare ai titoli di coda.
Si rincorre fino a mettere una firma autografa sull' accaduto e sul prodotto, fino ad aspettare quella stessa sospensione che e' un istante notturno, ove la tela verticale e' immobile e in un attimo si scioglie per recuperarsi e riaffiorare nuda e ancora pronta per la pagina che scriverò un attimo dopo. Sciolgono ancora i colori e quella tela si pulisce  e torna chiara. Scivola via la firma autografa su quel che e' stato, mentre in un secchio vuoto cadono i colori sciolti via per essere recuperati. Tornano ad essere di nuovo una noiosa e viscida melma di pensieri andati per ridare nuovo tono ed aggiungere le rinnovate intensità.
Sono conscio che la mia mano corre col pennello a quella tela, camminandola consapevolmente ed altre volte in una forma astratta tutta mia, tutto per la ricerca di quell' istante, un suggello statico all' impazzito movimento, l' espressione sublime di tutto ciò che e' vortice osservandolo da un punto superiore dove rimane tutto in uno stato immobile. Vivo la mia mobilità, i miei vortici, per quel momento, e solo in quel momento io raccolgo le idee folli di una consueta quanto trasparente tempesta per poterla ascoltare. Quando tutto e' bloccato e quello che e' intorno appare nitido, mi privo delle sfumature per osservare luce ed imprimere ciò che di me resta concetto.

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18/03/15

Breve analisi della disperazione.




       Mormora quel suono che come un sibilo cammina fra i divani silenziosi di una sera spenta. Ambiti sconosciuti separano dalle consuetudini gli eventi, mentre mi guardo intorno e vedo piatta disperazione celata da una follia dilagante. Quante vite raccolte accanto, difficili le scelte e quasi sempre sbagliate. Mi domando se quello che si pone di fronte ai miei occhi e' in realtà il riflesso di ciò che sono, oppure la naturale andatura di un fiume lento che cammina al mio fianco.
Coordino i movimenti della bocca per controllare le parole che vorrei dire, impedendo all' amarezza di travolgermi per chi non ha scelto di dilatare il suo Ego per mostrarlo davvero agli altri per come e'. Ad essere bloccati sono spesso i pensieri, anche se talvolta riconosco che e' difficile non essere me stesso e dire ciò che penso di una maschera che vaga su volti ormai privi anche dei tratti somatici.
Valanghe di mute delusioni che mi fanno allungare la mano sull' entità dei danni provocati dalla totale assenza di concretezza di questo periodo storico, dove il pragmatismo degli anziani e' stato abbandonato per un' esistenza fittizia costellata di cose inutili. Mi chiedo, mutuamente accettando l' involuzione relativa agli oggetti, per quale motivo sacrificare anche l' anima a questi oggetti, intorpidendola e rendendola quasi incancrenita, al punto tale da far subentrare una disorientata miopia che impedisce alle menti il pensiero e forse anche l' istinto.
L' attenzione per i primordi e' in realtà l' attenzione per noi stessi. Teniamo tanto a discostarci dagli animali ma quello e' ciò che siamo. Trascorrere una vita da finti composti sacrificando l' istinto alla bestia, quella vera, che alberga leggiadra nelle nostre membra. Essa ci impedisce comoda di elevarci al controllo della nostra "bestialità", alla sua gestione; così facendo, il risultato che si ottiene e' quello di svuotare la gran parte dei nostri momenti del loro significato, di renderci disattenti agli istanti che trascorrono. Interminabili catene di istanti colmati dal nulla, comprimono la nostra bestialità in alcuni picchi di tutto (outliers), ed e' per questo che io credo esistano le tragedie. Delitti, suicidi, omicidi, non sono altro che l' insieme dei vuoti che la socialità odierna, mista alla nostra intervenuta incapacità di gestire la nostra "bestialità" ci impone. Come esseri atrofizzati, o come cellule tumorali, restiamo latenti, inoperosi, non siamo in grado di allentare, di guardare dentro di noi, di comprendere. Tante volte si tace il disagio, come tacciono a volte le mie parole, come le maschere di chi non comprende che la grandezza non e' in se, ma nella vita stessa che si attraversa perché e' esperienza da tramandare agli altri.
Se si avesse più attenzione per i nostri sensi, tutti dati, tutta esperienza, probabilmente i conflitti sociali e le devastazioni personali sarebbero arginate. Spalmeremmo le nostre riflessioni su un lasso di tempo più grande riempiendo più istanti e svuotandoli da quel nulla che se ne e' impossessato. La conseguenza sarebbe immediata, avendo un immediato beneficio del rapporto che gli individui hanno con il tempo, e finalmente allentando, rallentando, perché una vita fatta di istanti pieni di intensità ha bisogno di più tempo per essere vissuta rispetto ad una vita dove i momenti restano vuoti. Non sono uno psicologo, ma questo credo andrebbe inevitabilmente ad incidere anche sul tasso di "delittuosità", ma principalmente rendendo le persone, e conseguentemente le interrelazioni molto più interessanti perché se si ha qualcosa di interessante da dire c' e' sempre qualcuno che e' più disposto ad ascoltare rispetto ad individui che possono parlare per ore senza dire assolutamente niente. Abbandono questo mondo schizofrenico per ritrovarmi nel mio, parallelo, con le mie frequentazioni, dal quale ogni tanto mi affaccio per vedere di là. Parlo un' altra lingua, non con la voce, ma anche col resto dei sensi. Credo di vivere ad un' intensità elettrica differente da molti, ma posso sbagliare...

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17/03/15

L' incanto.




Di tutto quell' immenso che la vita mi ha donato, tu mi hai donato tanto,
ed il tuo tanto, ha tramutato tutta la mia vita in un incanto.
Rifletto ogni momento a quanto e' stato,
e quanto e' stato, e' stato solamente perché tu me lo hai portato.
Trascorrono giornate irregolari, senza mai temere che possa essere finita,
di tutte le persone che han raccolto, molti, non si sono resi conto mai di vivere una vita.
Scivola via lento e quasi stanco, logoro, talvolta il mio pensiero,
ma posso confermare che ciò e' vero, e intendo tutto quello che io scrivo.
Non ci sono spazi vuoti, ne angoli smussati oppure porte aperte,
esistono soltanto caldi affetti, sfrenata voluttà e azzurro fuoco che riflette.
Dondolo via dal tempo, come vedo dondolare quell' altalena,
e dondola lei con me, oscilla in basso, e dal terreno mi vedo la schiena,
capovolto e struggente, di colori pastello si mostra il paesaggio,
quando poi appena ruoto, e più evanescente, tutto il contorno diventa un assaggio.
Sali tranquillamente, sembra dire, vieni a conoscere la mia vita,
guardala da quell' albero, resta li appesa, come una foglia che non e' svilita.
Aceri che resistono alle intemperie, non temono scossoni, ne problemi,
caldi orizzonti madidi, riflettono liquidi, come ruscelli che solcano limiti che sono alieni.
Volto a Levante e' il Sole, si annuncia luce, poi si alza e scalda,
giunge un tepore nuovo, e' tinto di giallo e sembra mostarda,
Candidamente accetto, anzi felice di quanto vedo,
fumano i prati e le foglie come se fossero su un grande spiedo.
Nocciole a terra ruotano, solchi scavati e van via lentamente,
fra curve di  piante fradicie nasce la vita, ed e' come una lente.
Copiosi fiotti d' acqua si raccolgono, e sono rigagnoli di terra imbevuta,
Migliaia di microbolle si elevano inafferrabili, a somigliare a un' orchestra che e' muta.
Suonano vapori acquei, e il fruscio del vento, piano piano fa il suo dovere,
e dondolo ancora inerme, resto a guardare senza sapere,
puoi fare lo stesso, certo, se sei quella foglia che era tenace,
se non sei soltanto altra foglia, che ha timore di ciò che le piace.
Fuggi da te, fallo pure, come oscilla cadendo al terreno,
Corri, corri via forte, tanto e' l' acqua che lava ed annaffia, ed e' già tutto pieno.
Giunta al fiume e poi al mare, sarà solo il viaggio che hai fatto a parlarti di te,
fra curve e discese più grandi ne avrai pure cura, ma se ascolto non c'e',
resterà solo il terreno franato di una riva, sotto il tuo imbrunire,
sarà soltanto un lontano ricordo di un' idea che non hai mai voluto carpire.

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15/03/15

Nel tempo.




       Come un cuore di cartapesta cade a terra senza fare rumore, sono qui a raccogliere i coriandoli di un pensiero stracciato. Mi chino oramai come se fossi divenuto la gomma da cancellare, e la vedo passare su quel tratto scritto a matita, come quando non sono convinto di ciò che ho già scritto. Fluidi di me, del mio intelletto scivolano via da quella mina oramai consumata. Essi vagano alla ricerca di nuovo istinto, senza accorgersi che il contenuto rimasto e' compresso in quel pezzo di legno che si e' temperato. E' lì, fermo sul tavolo insieme alla polvere nera.
Il foglio e' guastato, e la curva e le linee si notano ancora. Cerchi di prova per dare il suo palco ad un' opera muta. Si attende che il velo si sposti e cominci a viaggiare il pensiero, sebbene quel nero ci logora ancora la carta e rovina la lucida idea. Sono ondulazioni mistiche e mi raccontano di una mente confusa, mentre nitidi passaggi di nulla si alternano ad altri disegni astratti in cui vedo una realtà di argilla messa ad essiccare.
Fragile si lascia guardare, e ne scruto anche i difetti mentre l' immenso bianco del papiro mi concede di arrotolarci le emozioni tramutate in scrittura. Vago fra le curve delle mie lettere come fossero perplessità, e raccolgo ciò che resta di una punteggiatura a volte errata leggendoci la confusione di chi non sa dove vorrà voltarsi domani.
E' ormai tempo di un' analisi concreta e di tirare le somme di quanto si sta costruendo. Carpirne i risvolti, di quanto si e' messo nel vuoto del vaso per provare a riempirlo. Quell' otre e' già pronto a ospitare. Come conseguenze i miei polpastrelli passano sulla sagoma curva saggiandone l' ampiezza, quasi a ricordare ciò che ero e che in questo momento mi contiene. Una sensazione di asciutto che graffia e' il trascorso sbagliato in un piccolo punto di liquido che si dilata.
Mentre la creta riposa le notti trascorse a pensare mi educano all' oblio, elevando le catene di istanti dove il respiro e' a tratti anche scomparso. Risorgo e tramonto ogni volta temendo di soffocare, mentre i pensieri si stendono sporchi sul ricordo confuso di un tempo già andato.
Greggi di immagini passano a ritroso come una fase rem vissuta più volte, e confondendo il tempo con lo spazio che ho intorno, nel cuscino finisco per mescolare le sensazioni di deja-vu con le nuove pressioni di vita che vado a toccare.
Attimi stracciati che ho sicuramente già vissuto. Li ascolto come un ricordo di essenza, provando a capire in quale parallelo di tempo ho potuto rivivere quello che adesso io sento. Il torpore che mi provoca l' idea di essere stato in altro tempo mi distrae scostandomi da ciò che provo, dimenticando quella goccia di passato nell' odierno che si e' mossa per tornare indietro in altro dove.
Gelo sono le luminosità di una scrittura che torna. Vaga nel mio tempo ed i miei polsi, e le mie mani, corrono impugnando quella mina che ora traccia. Sorge il ricordo mentre il presente va via, come un sordo boato nell' ingresso di esperienze e sensazioni. Uno scivolo di porcellana lucida mi accompagna come se il momento fosse in realtà uno specchio che mi inghiotte, e candidamente me ne vado da me per essere in un altra parte che ho sentito altrove. E accade tutto in un frammento, dove quel capogiro che mi spinge nell' immagine, mi svuota dei timori come l' otre che nel mentre appare colmo. Fuoriesce, scivola via l' intelletto, fino a raccoglierlo sul piano, quel liquido in eccesso e da asciugare con il cuore che ho raccolto.

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11/03/15

Il cavaliere.




             Demian cavalca, ha le redini in pugno ed il suo purosangue galoppa frenetico sul ciglio della boscaglia senza timore di calpestare in fallo. Sicuro di se come il padrone, l' equino scarta e prosegue con la bava alla bocca e con dei fiotti di calore espulso dalle ampie narici. Il sudore che ricopre il manto lo fa brillare più di quanto ancora bello sia quell' esemplare.
La ferraglia e la sella, il cuoio ed i tessuti sbattono sul fodero della spada ed un suono metallico accompagna e si propaga grazie al vento. La possenza della bestia e del suo cavaliere viene scaricata tutta sul terreno, dove una fumosa scia ne traccia direzione e ne impedisce vista dalle terga.
Demian vola davanti a quella coda curva, la velocità solleva il crine e volta il viso, mentre le natiche rimbalzano la schiena dell' equino come battito cardiaco. Gomiti  stretti e polsi racchiusi, richiama  e gestisce, ordina ed il cavallo capisce.
Messaggero e cavaliere di ventura, fra mille battaglie e la sua spada, sa cos' e' la pace e ne apprezza il suono quando può. Il lignaggio si perde nelle ruvide contese quando il campo di battaglia diviene fumoso al punto tale da confondere la polvere ed il sangue. Da questo Demian va via. L' ennesima battaglia combattuta, lo strazio della sepoltura ed il pianto per qualche amico andato. Non c' e' spazio per troppe lacrime, ogni disputa un libro troppo veloce da leggere, una storia, un' altra, troppo breve da raccontare, ed un finale ovvio, senza vincere o perdere, solo restare.
Ecco il motivo per cui fuggire, ma per quanto si cavalchi lontano il destino e il passato insegue, e nemmeno il tempo di un fuoco e di un celere bivacco resta per scansare quel che e' stato. Si rimane vigili in un sonno che non e' tale, anche quando si ha qualcuno da raggiungere l' interno resta vuoto, privo di sentimenti buoni salvo che non siano per una casa dove tornare, magari a lavorare terra, o a guardare il sole sorgere o tramontare.
Ha coraggio da vendere Demian, ed ha affrontato pericoli ben peggiori della battaglia, ma tutte le cicatrici che ha, sulla schiena e sul resto del corpo, nulla sono al cospetto di ciò che e' rimasto dentro. Il suo spirito e' vergato dalla violenza, calpestato nell' intimo, masticato e forse anche sputato. La confusione di quella feroce corsa al galoppo, interrotta poi ripresa, e quelle pacche sul collo di una bestia devota ma ormai esausta, sfumano gli ultimi timori di essere raggiunto dalla sua vita.
Fredda lama, scudo di legno e maglie di metallo con un panno sopra e con un elmo basico. Alla cintola altro cuoio, che legato quasi muta in una bizzarra gonna le vestigia di un cavaliere insignito degli onori più alti.
Tutto via ora, soltanto voglia di normalità. Dove la quiete e' un lusso da raccogliere come un frutto da un albero di vita breve. Il fuoco e' acceso e le monete d' oro a nulla servono, salvo rappresentare un inutile dispendio di energie per cautelarsi da briganti che potrebbero attaccare per averle. Cerca la luna, come per ricordarsi che c' e', e lo conforta sapere che se la notte precedente non l' ha vista era perché il suo tempo era impiegato per tenersi in vita.
Appare lì la luna, fioca e decadente, come il grimaldello che abbottona il cielo al terreno. Lo sguardo vuoto si dirige sulle braci incandescenti, e quell' arancio vivo gli ricorda che i tramonti sono incanti come il sorgere del sole. Un sorriso gonfio di amarezza, una preghiera per i suoi morti e per il regalo della vita. La tenebra lo avvolge mentre il fumo lentamente va e la fiamma cala, altra legna da mettere, una coperta spessa ed il rumore dei denti del cavallo che strappano l' erba lì vicino. Ancora un altro giorno il sole si alza, ancora un altra alba che i suoi occhi possono mirare, ancora un altro assaggio della vita. Ma non adesso Demian, perché adesso e' il tempo del riposo. Non ora, anche se vigile si placa. Coperta scalda e chiude gli occhi, fin quando sopraggiunge la foschia che annuncia l' alba.

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10/03/15

Krill.




             Lo sguardo volge a nord, dove ci sono le nevi, e dove branchi di orche banchettano con delle otarie ricche di grasso e di paura. L' iceberg che ci passa a fianco e' solo l' ultimo dei tanti già visti passare, e la nave rompighiaccio sta per iniziare il suo lavoro. E' strano pensare a queste enormi montagne bianche come ad una piccolissima parte di quanto in realtà viene coperto dall' acqua del mare. Ancora più strano e' osservare la calma piatta di quest' olio blu, così convesso da poter vedere quasi la curva di tutta la Terra, rotto soltanto dalla scia delle onde al nostro passaggio.
Per qualche istante mi fermo su quel celeste ipnotico prodotto dal ghiaccio dell' iceberg a contatto col mare appena al di sotto il livello dell' acqua. Sospeso, come i rumori degli strappi dell' acqua sul ghiaccio, come quel fumo piroclastico esploso dalla sala motori per avere spinta nella grattugia che lo apre.
Tolgo il guanto dalla mano destra per passarmi il palmo sulla barba croccante e per asciugarmi gli occhi dalle gocce di lacrime dovute al freddo, poi soffio un pò di calore che come fumo si diffonde tutto davanti al viso per poi essere immediatamente disperso alle spalle dall' incedere sicuro del bastimento.
La fronte e' imperlata dal sudore, e' la giacca che fa il suo dovere, ma fuori il freddo e' tale da riequilibrare la temperatura, ed andandosi a scontrare col calore prodotto dal corpo in risposta congela il confine.
Alla sinistra della banchisa, in un altro pezzo di mare libero dai ghiacci, le capovolte di una megattera ci tengono compagnia, suggellando lo spettacolo con l' inconfondibile firma, quella pinna che fra un salto ed un altro sbatte prepotentemente sul pelo dell' acqua increspando come un maremoto concentrico il suo denso limite. Lo fa come fosse un enorme diapason marino che disperde e che va ad investire la spiaggia ghiaccia dondolandola e spezzandone pezzi.
Altri istanti per riflettere se quel lento propagarsi di cerchi allargati sulla superficie possa diffondersi fino al fondale, e ritorna il pensiero alle sagome sommerse di tutti quei ghiacciai galleggianti.
Sbruffano di nuovo le orche, la cavità sulla testa del cetaceo espelle polveri di liquido vaporizzato. Il banchetto e' finito e si stanno spostando verso altre prede. Sontuose, le loro pinne affiorano sul pelo dell' acqua in formazione, lente, quasi curiose, virano ed appaiono in tutta la loro mostruosa consistenza. Ci sono anche i piccoli, pachidermici esemplari dal peso imponente, difesi dal branco e tenuti al centro per essere protetti da eventuali squali bianchi, unici in grado di trasformarli da predatori a prede fin quando cuccioli.
Cammina la rompighiaccio, tracciando il suo percorso con l' ausilio del GPS. Al capitano e alla sala comandi il solo compito di identificare eventuali pericoli o protuberanze ispessite della superficie ghiaccia. Abbiamo tempo eterno per perderci in questo immenso cosmo blu e bianco, mentre la colonna sonora e' dettata dal fruscio di un vento magnetico e dallo scrocchio della via che si apre. All' orizzonte timide si affacciano le sagome di monti glaciali, la meta dove i ricercatori che stiamo portando potranno dare il cambio a quelli che vivono lì oramai da sei mesi.
Quello che ci aspetta e' ancora altro bianco, ma con la consapevolezza dell' immenso blu sotto la superficie, con tutta la sua vita ricca di cetacei, leoni marini, pesci e minuscoli crostacei: il krill, come lo chiamano i norvegesi, luminescente base della catena alimentare delle balene. Queste grandi bellezze del mare, inconsapevoli, sinuose danzatrici di un' eleganza quasi commovente nel loro elemento.
Si, perché e' questo il posto dove i cetacei vengono a mangiare. Approvvigionandosi del grasso e della forza necessaria per varcare le porte del nord e trasferirsi in acque più miti per dare alla luce i loro piccoli, questi mastodonti fanno incetta dei minuscoli crostacei, che come infinite gocce di brillantina accendono le immense pareti di acqua come fossero lucciole nella notte. A passare sono megattere e capodogli, con le loro fauci spalancate e pronte a spegnere il passaggio. Tracciano, come fa la rompighiaccio, ma anche altri pesci partecipano al banchetto. Le eleganti mante, le aquile di mare, che col loro dolce rimbalzare disegnano correnti nuove nel liquido, poi il pesce azzurro e gli squali balena. L' apparente staticità della superficie cela in realtà una marea di vortici e combattimenti alimentati dal desiderio di sopravvivenza, dove intere specie si affrontano non per vincere, ma per resistere, e come gli iceberg, rimangono ignoti e silenziosi salvo le rovesciate dei più grandi sulla superficie dove la schiuma insanguinata dei duelli si poggia immediata quando appena conclusi.
Maree, acqua gelida, il calore di quei corpi in lotta, gli spruzzi ed i ripetuti attacchi, spirali di morte e di continuazione, trionfo del delirio e dell' estremo movimento sepolto dentro le sembianze di una normalità apparente. Dove la superficie e' quiete appena intaccata in realtà un fuoco sottomarino disperde energie disseminandole nel luccichio di quelle vaste distese di krill.
Clessidre di luminescenze trascorrono passando da banchi di pesce azzurro a mostri delle valli marine. Grandi distese di fluido attraversati da scosse e turbinii avvitati. Altro fluido ai miei occhi non mi impedisce di vedere cosa accade, ed il vento e la neve fitta che cade ghiaccia al contempo può nulla. Come se avessi la testa immersa in quelle gelide acque li immagino, li sento, quasi li spio, oltre il confine della mia vista nella profondità molle di un abisso acceso mi affondo, confondendomi per liberare la coscienza, vedendo gli stessi iceberg capovolti in tutta la loro magnificenza.
Cattedrali di natura gelida che hanno messo le radici nell' aria, mentre quel krill e' strano polline che vaga sospeso alla mercé di venti e cacciatori. Predatori e prede in un' aria capovolta, spazi di oblio e marasmi incontrollati, il tutto scrutando la silenziosa danza di enormi pachidermi che come libellule disegnano tracciati raffinati di muta ovatta fino a che sazi non abbandonano il campo per andare a riposare altrove.
Onde e schiuma, altro ghiaccio. La banchisa diffonde il suono di un fruscio indisturbato che sulla superficie musica pian piano, quasi come fosse un lamento, quel lamento per non poter assistere agli eventi delittuosi che sott' acqua violentemente si susseguono.
Torno in me, fuori dall' acqua, dove sono sempre stato e sulla nave. A volare via la mente, a volare via le sensazioni, quelle solite percezioni del volume, come pressioni, come intenti. Porto i miei occhi laddove i miei occhi possono vedere, dove tutto ciò che e' si assenta per divenire quel che sento. Porto a passeggio la mente in vallate d' acqua ricche di alberi ghiacciati, dove pulviscolo alimentare viene devastato per garantire ad uccelli marini ed insetti blu e argento di tornare ad essere. Vìola gli ingressi ed i cerchi, vìola spirali ed ellissi, spezza le onde concentriche e pilastri subacquei si avvitano. Ritorno a guardare quell' olio convesso che tace, altra pinna che sbatte sul pelo, altri cerchi che si propagano. Ma certo che arriva al fondale, il diapason ha rintoccato, ed il suo suono e' giunto fino al centro di me stesso dal profondo del blu elettrico, come un impulso primordiale che ricorda tutto quello che ora vedo.  


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08/03/15

Il cerchio di burro.




        Luminosi prati in un valzer di venti bassi lasciano danzare ordinate le colline. La luna di questa notte dipinge il cielo di un viola interrotto dalle nuvole schiumose di un grigio fumo. A tratti il vento guida come accarezzando le superfici visibili mentre tutto intorno come sirene, il fruscio dello stesso che passa fra le foglie degli alberi intitola un brano a questo commovente pallido incanto.
E' l' odore di questa notte a far suo tutto quanto, quando rami si flettono alla forza della spinta e increspate onde di erba vanno e vengono verso una riva che non esiste. Come mari concentrici si incontrano in una zona di risacca lasciando sfogo a mulinelli diffusi e crepitii di rami sfogliati. Croccanti ed incisive alcune foglie cadono rotolando per il breve tratto di un sentiero per poi perdersi fra la vegetazione regolare che le inghiotte. Sotto la forza di questa notte beffarde accarezzano per poi svanire.
Candida luna che come fosse di burro scioglie e si allenta lacrimando stelle nel cielo. Ogni tanto quello stesso cielo ne perde qualcuna e la precipita via veloce da una parte all' altra per poi farla svanire. Per qualche istante agli occhi di chi osserva balena l' idea di capovolgere l' immagine che ha di fronte per vedere se rimane pertinente, ma convincendosi del fatto che e' così, rinuncia, per apprezzare quegli istanti pastello dove il tempo attraversa quel quadro negli stessi occhi dando movimento all' opera d' insieme.
Gratta la terra a fondo e trema di un' emozione sorda, e' uno specchio del cielo mosso che si riversa in fluorescenti lucciole che dondolano speculari alle colleghe in alto. Vortici di raziocinio si perdono negli ultimi lampi che annunciano pioggia. Cascate di stelle e di idee per rendere madido il terreno e nutrire l' erba degli intenti, fra le nuove folate ed il fango porto quella scena in me per riviverla interiormente. Curvo sulle ipotesi di un disegno preordinato, accarezzo la cornice ruvida negli angoli più rigidi, quando un fragoroso tonfo di un tuono annuncia che lo spettacolo e' solo all' inzio. La mia poltrona da cui assistere e' un angolo del terreno, da seduto, dove masse di fieno e sterpaglie si arrotolano per scivolare via. A quel punto scruto le nubi intervenute e quel viola che era al principio luccica intermittente anch' esso per obbedire alle scariche elettriche di fulmini che si gettano a terra squarciando il cielo. E' solo in quel momento che abbandonandomi supino alla bellezza osservo il soffitto ininterrotto confondersi con la distesa d' erba e in un pensiero scivola l' inchiostro per poter dipingere l' idea di tutto quanto. E' allora ancora incantevole sognare di ambienti senza mura e senza limiti evidenti. Come mani dilatate dentro al cerchio di quel burro affonda e mescola cremandosi in insieme.

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Aliti.




        Morde e odora il collo mentre la sua lingua passa lenta su quell' incavo sensuale. La traccia e la assaggia scorrendola come una mappa da studiare. L' oblio di quei profumi irrita e quasi lo spiazza. Nei capelli getta il naso mentre i denti graffiano scorrendo dalla schiena fino al petto. Come ventagli si aprono per poi cingersi e afferrare quelle mani e come preda ormai cacciata a quegli ansimi di fiato si abbandona. Il filo dei polpastrelli si produce in una scia lungo la retta della schiena, lasciano il capo scendendo a piombo per poi divaricarsi ai fianchi e stringere il bacino fino a sentirne l' anca. Si perdono in un bacio e le due carni ardenti in una danza obliqua si sostengono sul muro che e' di fianco. Le ginocchia di lei che cedono, lui che la volge a se, lei china il capo all' indietro e il mento e gli odori esplorati divengono dato. Apre il vestito rischiando la lacerazione, i palmi delle mani di lei dal collo scendono all' addome in un profumo di genziana che promette. Spoglia dell' abito ha i seni coperti da un lembo di tessuto, immediatamente la stoffa e' coperta dai palmi delle mani di lui che accarezzano con voluttà, per poi serrare prepotenti le ambite rotondezze fino ad allora solamente immaginate. Può sentirne i battiti del cuore, nitidamente, come un tamburo ritmico, mentre la volta fino a combaciare il petto suo alla schiena dell' amante. Ritti a quel muro scaldano mentre non c' e' più tempo per quelle scarpe ed i suoi tacchi. Slaccia, serra, bacia e lecca, lei con le sue mani miete sui fianchi di lui in una posizione men che plastica e difficoltosa. Via, la gonna scende col suo raso sulle cosce fino a terra. Alla vista di quelle autoreggenti su coulottes in trasparenza non può nulla. La natica con la sua mano destra, il braccio sinistro al collo e lei che dal muro si discosta per cercare nuovamente le altre labbra e quella lingua da trovare. Lui lascia la scapola di lei con la sua bocca e sale verso il fuoco e quello sguardo che si perde. Trovarsi e volgersi di nuovo scivolando a vicenda su rispettivi corpi bollenti, avvitandosi e camminando incontrollati fino al tavolo di marmo della stanza. Mani e dita che si trovano, che si incrociano, per liberarsi appena poi e vagabondare sulle superfici cutanee dell' altro. I polpastrelli ancora scorrono mentre calori nuovi comprendono i corpi elettrici già pronti all' uno e all' altra. Lui pronto a dare come lei a ricevere, avvolgendosi in un possesso manuale estenuante. Sbattono e dondolano quando anche il tavolo di marmo sposta e il desiderio insorge. E' solo a quel punto che lui decide per prenderle i fianchi, sollevarla delicatamente e depositandola piano sulla base di quel freddo tavolo si china. E' all' altezza delle ginocchia il suo sguardo quando le mani di lei sono sulla testa e accarezzano fino alla schiena. Lui le prende i piedi e li misura, con quelle calze lucide, poi lo sguardo ancora appeso si concentra sui malleoli e sulle forme muscolari dei polpacci. Alliscia e di tanto in tanto serra, come a tastarne la consistenza, passando i dorsi verso l'alto fino alle articolazioni delle ginocchia. E' a quel punto che nel gesto di distanziarle educatamente chiede. Lo sguardo si rialza e va ai suoi occhi. In un sorriso complice rigorosamente si concede. Lui dalle calze sale fino ai ferri per sganciarli, ed in quel movimento fatto piano e in quel rumore lei divarica le cosce e razionalmente lo sfida. Le si presenta in tutto il suo splendore quella straordinaria pelliccia sulla quale lei promette guerra. Una timida donnola da coccolare, una umido lampone da assaggiare. Si abbandona in un lunghissimo bacio di conoscenza mentre lei china ancora una volta il capo e i suoi capelli sono liane in una giungla dove ha inizio la passione.

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07/03/15

Il collezionista di attimi.




      Di figure geometriche e suoni mi nutro mentre come un tamburo ritmico i palmi passano gli occhi serrati. Metto distanza fra me e tutto il mondo, come uno spazio ridotto fluttua e mi sento una pietra di vetta in un giorno di freddo. Piovono spirali di vaniglia che come scivoli rendono dolce il buio delle mie sensazioni ma le gocce sono lì ad irrigare di concreta novità i miei momenti quasi fosse rinascita. Introverso in un attimo al cospetto della socialità che incombe, adeguata distanza da un piano di vita che non ho mai raccolto. In tutta questa danza il mio restare fermo, come una scossa, un pilastro sorregge in un palco di musica assente. Veroniche di porfido e fiocchi di denso miele mi fanno scivolare in un lago di panna dove mosaici di frivola nebbia mi impediscono di essere consapevole. Come le curve di un circuito si susseguono nella notte fittizia in cui improvvisamente e' precipitato il mio sguardo. E rendo quelle curve fumose, tracciando piroette e nuove traiettorie nel cielo della mia fantasia, fino a vedermi frapposto fra aeroplani ordinati carichi di veloci e meccaniche livree. Piegato su un fianco e poi l' altro, simulo il quel volo capovolto fino a sfiorarli, poi fuggo via sulle vette cercando la mia per vedermi di nuovo di pietra. Bolle di vapore ruggiscono dalle acque sulfuree mescolandosi con quell' odore di zolfo acido che fa puzzare l' ambiente. Il calore di quelle acque nelle quali mi immergo sembrano tenermi giù sulla molle melma, e attento a non scivolare mi appoggio alla vasca quasi come fosse il letto di una casa in collina. Non ci sono ma e' come se ci fossi, addormentato in una realtà narrata a sprazzi, facendo bene attenzione a non dimenticarne i passi, il coagulo di quelle lacerazioni rimarginano i pensieri fuggiti troppo presto per una soluzione soltanto cercata. Un viaggio e' sempre anche interiore, e per uno che e' pieno di se non scivola via come se fosse indotto. Riflessioni sugli istanti che attraverso, si succedono a migliaia, come microframmenti di un eterno appena trascorso, come tessere di un domino lungo una vita si ordinano in una fila interrotta soltanto da quelle curve dall' inizio alla fine. Spezzo gli attimi fino a renderli semi, con un loro principio ed un loro epilogo sempre differente, nome tante piccole singole storie. In tutto questo schiumoso fluido di vita breve che rinasce avvolgo il nastro del passato spingendo il mio "play" per l' umano mio divenire. Racconto a me di me, come un archivio infinito di fotografie, collezionando istanti che ciclicamente ripropongo alle mie idee, vagando fra me stesso avendo già la nostalgia di ciò che penso e di quello che pensavo. Non ho più paura di nascondermi a chi sono. La mia unica battaglia da combattere e' già vinta. Tutto e' già provato ed accaduto, salvo il dolore o la morte se non si reincarna. Vivendo appieno tutto non si ha nulla di cui avere pena, e nell' esatto istante in cui andrò via sarà soltanto un altro attimo che mi e' passato e che non ho veduto.

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05/03/15

Luce mia.




           Poi accade che un giorno ti arriva un messaggio da una persona che non ti aspetti. Perché quando ci si comporta, in realtà non si sa mai se quello che si è si mostra agli altri, oppure gli altri ne hanno un' idea sbagliata o distorta. Accade che il contenuto di quel messaggio, seppur breve, ti riempia la giornata per essere riuscito in maniera silenziosa a comunicare ciò che sei realmente, qualcuno ha compreso.
Oggi si tende ad essere abbastanza sfiduciati sull' umanità in generale. Non ci aspettiamo molto perché non abbiamo più nemmeno il coraggio di dare qualcosa. Come gusci di noci ci sigilliamo impedendo a noi stessi di essere per non rendersi vulnerabili. Ho buttato via tutto questo da ben oltre dieci anni, complice una grande delusione ed un distacco freddo dal calore. Da quel momento in poi misuro persone dal volume e non dalla superficie, mentre la maschera che indossavamo adesso giace dentro un centinaio di quintali di lurida immondizia. La misura sono nuove intensità e scosse elettriche e non importa ciò che si da o che si riceve. Interiorizzando gli altri sto scoprendo me stesso, in una umanità grata e con garbo a volte spiragli indicano la strada.
Questa mattina sono così, nudo di fronte alla sorpresa, fiducioso e spiazzato per come un istante e poche parole possano mutare non la giornata ma l' intero avvenire. Qualcosa ancora c' e'. Qualcuno che ha ancora il desiderio di comprendere. Le analisi e non i commenti, sempre i soffici pensieri. Sono quelli che ho raccolto oggi, e come perle rare custodisco nella parte più profonda del mio Io da adesso in poi.
Mai avrei creduto di rappresentare per te che mi leggi quanto mi hai dipinto. Le tue mani sono state pennello e vernice su una tavola sporca. Hai corretto la strada e interrotto la pioggia longeva. A sorridere e' il cuore, e di gioia racconta di un velo caduto e raccolto. Avanza per un attimo il tempo davanti a me che mi fermo, per un istante ciò che era indietro mi sorpassa e sospeso a fermare lo valuto.
E' una questione di sangue l' umanità, e se per comprenderla talvolta occorre osservarla con gli occhi di altri tu ci sei senza dubbio riuscita. La mia anima e' in festa stamane, vorrei poter sapere che tutto e' andato via, che e' passato, quello che non sapevo, ma in questo tempo dove la difficoltà ti comprime sappi che hai liberato qualcosa nel sangue di altri, ed anche se sembra sia poco hai abbattuto con un piccolo pensiero lo spessore ferroso di un muro in cemento essiccato.

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