26/10/14

Due Popoli.




     Gli occhi aperti su una Domenica, mentre l' odore del caffè e del latte che bolle si diffonde per le stanze di casa. Mia madre e' in cucina alle prese col pranzo, e lo sa, alle tre la partita, devo andare via. Si mangia presto la Domenica in casa mia, o quanto meno ci si prova. Lo stadio grazie al cielo non e' lontano, saranno 5 km al massimo, ed il motorino mi aiuta. Il risveglio e' comunque un pò lento. Quel biscotto inzuppato nel caffellatte, la odio la schiuma, perfetto. Mia madre che aspetta il verdetto, poi un sorriso felice per aver accontentato il suo pargolo di un metro e novanta. A tredici anni ero già una colonna, ma a tredici anni era papà a portarmi allo stadio. Ora vado da solo, e quando giochiamo in casa mi prende un' ansia che vorrei essere lì la mattina alle sette.
La mattina trascorre lenta, fatta una doccia, quasi bighellonando fra cosa mi chiede di fare mia madre ed il televideo. All' estero giocano prima, alcuni anche al Sabato. Da noi non e' così, tutti insieme alle tre, alle quattro quando giunge l' Estate. E allora giù coi risultati, sognando di incontrarli un giorno. Scorro di fretta gli esiti sognando di volare sull' Europa. Spesso l' atlante mi aiuta, ed e' così che sono a Madrid per vedere il Real, poi volo via a Barcellona, schizzo su per raggiungere Lione, poi Parigi, poi Londra. Arsenal, West Ham, Chelsea, ma anche Aston Villa e Liverpool. Aston Villa non e' una città, allora scopro che esiste Birmingham, un buon esercizio di geografia, ignorando che fra qualche hanno mi sarà utile. E allora United e City, poi Leeds. Di nuovo giù, verso Londra c' e' Norwich, la squadra dei canarini, e via dall' isola fino ad Amburgo. "Mainz cos' e'?" mi domando, e mi accorgo che esiste Magonza. Ho già sentito parlare del Colonia, così come del Borussia Moenchengladbach, una squadra che per scriverla penso, ci metti sei giorni. Verdeneri, non come quelli di Dortmund, che ricordano le api. Poi il Bayern di Monaco, per poi scoprire che Monaco ha un' altra società, più antica, che ha i nostri stessi colori ed e' del 1860. "Ma il Bayern e' nato nel 1900" penso, allora pareggio e proseguo per tornare a quello che sarà.
Oggi la Lazio gioca col Toro. La nostra storia e quella del Toro hanno degli aspetti che le fanno assomigliare. Non tanta gloria, se si esclude l' immediato dopoguerra per loro, ma voglia da vendere, determinazione, mista ad altrettanta sfortuna. Con dinamiche assolutamente differenti, carpito rose bellissime e punto spine molto dolorose. Sono poco più che un adolescente, ma amo la Lazio, e conseguentemente tutto quello che la riguarda. Non posso non sapere della tragedia che colpì il Toro nel 1949, quando quel maledetto aereo stava rientrando a Torino e si schiantò sulla collina di Superga: tutti morti. Anche questo mi riguarda, anche se non ero ancora nato e mio padre aveva un anno. Così come mi riguarda l' assurda morte del nostro "Angelo Biondo", in quella maledetta gioielleria del Fleming, oppure la lunga speranza vanificata dalla dipartita del Maestro. Io non potevo ricordarlo, se non dai racconti di mio padre. Lui, laziale come me, come mio nonno, come disse a me di Re Cecconi e Maestrelli, nonno fece lo stesso con lui parlando del Grande Torino.
Il Calcio non significa molto per me se non c' e' la Lazio di mezzo. La Lazio e' "anche" Calcio, ma ho sempre pensato che oltre le squadre di calcio, ed allo straordinario gioco cromatico delle casacche, esiste qualcosa di differente. Per carità, in ogni Paese probabilmente, ma nel mio, l' Italia, ho sempre pensato che Lazio, Torino e Genoa sono qualcosa di differente, forse Popoli, forse Famiglie, comunque non solo tre squadre.
Il Genoa deve questa mia considerazione al fatto che i seminaristi inglesi che nel 1893 decisero di fondarlo, fecero del Genoa CFC la compagine con più storia della Nazione, e questo vuol pur dire qualcosa.
Per Lazio e Torino il discorso e' diverso. Un attaccamento timido, quasi isterico. Un tifoso della Lazio, del Toro, non parlano di Lazio o di Toro, spesso nemmeno con altri laziali o granata. Un tifoso della Lazio, o del Toro, custodisce, sorveglia, accarezza la sua storia gelosamente. Strana gente il laziale, il granata, non deve convincerti di nulla, non vuole parlarne, e' una cosa che vive in cuor suo, e questo fa si che l' affetto divenga tempesta, se non uragano.
"Preparate la tavola, e' pronto", mia madre dolce avvisa. Mi risveglio dal sogn(n)o sportivo in cui mi ero adagiato, per vedere l' ora, scattare in piedi e prendere la tovaglia. "Ottimo, sono ancora le 11.30", bicchieri, posate, piatti e tovaglioli volano sul tavolo della sala da pranzo, seguiti dall' acqua, dal vino e dal pane. Tutto e' pronto mentre mamma arriva sostenendo il tegame con le pattine. " Attenti che scotta", accompagna sporzionando la pasta. Altro sguardo all' orologio, 11:37, tutto a posto, la Lazio mi aspetta. A tavola si parla, neanche a dirlo, di Lazio. Papà mi chiede se gioca Ruben Sosa, se si e' rimesso oppure non ce l' ha fatta. Fra un boccone e l' altro, ci si sposta al secondo, ed al Torino, con buona pace di mia madre che oramai ha smesso da anni di tentare un cambio di conversazione e di genere. Tutti a casa sanno che se c'e' la Lazio altro posto non c' e', siamo pieni. Sono forti, quel Lentini poi... non pensiamoci, oggi c' e' il sole ed il cielo e limpido. Oggi di sopra fanno il tifo per noi.
Il pranzo mi ruba quei venti minuti, mezz' ora. Quando gli altri sono al caffè, io comincio i miei riti. "Roberto, accendi che e' pronto", in cucina rispondo ed eseguo, ma se possibile nell' altra mano ho già lo spazzolino da denti. Plano sul bagno per ottemperare alle ultime necessità igieniche, sono fuori ed il caffè sta uscendo. Il rumore della nostra Bialetti non tradisce, ed e' quello che fa scattare la molla della partita. Torno di la, tazzine e bicchiere per me, zucchero, cucchiaino e verso il caffè, neanche mi siedo. La camera aspetta, e quello e' un momento tutto mio. Sono disordinatissimo, ma mi accorgo che mentre ero sotto la doccia mia madre ha già provveduto a rifare il letto. Calzini, Jeans e camicia, il bottone non entra nell' asola; pullover indosso e giacchetto sul letto, apro il cassetto. Le mie cose della Lazio sono tutte lì; "si, la sciarpa, ma quale?" penso, "l' ultima a bande con la toppa o quella NON OMOLOGATI? O magari quella degli Eagles, Uniti per Vincere...".  Per me già a quel tempo la Lazio aveva valore "1". Non esistevano gruppi, o club, esisteva soltanto Lei. Legare i lacci delle Clarks cenere era facile, mettere i jeans a sigaretta all' esterno di queste affinché scendessero bene lo era meno. Fatto questo, passavo alla scelta cappello. Da pescatore celeste bianco celeste con aquila stilizzata e scritta Lazio, o cappello a visiera del Chelsea F.C. blu con righine bianche che scendevano e visiera rossa? Oppure ancora anonimo col cappello da pescatore "Barbour" che tanto mi piaceva col mio giacchetto di pelle aviatore "Schott"? Fatto sta che con questa vera e propria vestizione annullavo totalmente l' effetto "pranzo anticipato" per accorgermi che era un quarto all' una. Altra consuetudine, salutavo tutti di fretta e mia madre: "sta attento", per poi chiudere la porta e rientrare immediatamente a prendere qualcosa che avevo dimenticato, fossero forse le chiavi o forse il portafoglio, ma mai l' abbonamento.
Il mio EsseAcca volava via fuori dal cancello, e quello che vedevo da quel motorino con la mia sciarpa al collo erano sogni, non strade e palazzi. Guidavo con una certa attenzione alle altre auto per poter vedere qualche sciarpa fuori dal finestrino. Altri motorini come il mio passavano qua e la per poi raccogliersi al semaforo, chi con la sciarpa al collo e chi no. Qualche istante e mi gettavo giù per la Cassia Nuova, verso Corso Francia, qualche radio parlava di Lazio e nel traffico che dovevo sviare c' era tempo per sapere cosa aveva detto la mattina il nostro Mister. Salito sulla tangenziale l' ultimo incanto: quel tunnel sempre troppo buio che quando si bagnava di bianco e di azzurro diventava un turbinio di clacson assordanti. Giunto alla quasi completa cecità, avvolto da questo festival musicale rumoroso, l' uscita del tunnel era quasi mistica, e quello che appariva di fronte, se possibile, lo era ancora di più. Quella Statua, la carraia, la mia Curva. Svoltavo a sinistra per aggirare il ministero degli esteri, ma puntualmente il pezzetto contromano per andare a mettere il motorino giù, in fondo alle scale. Un mare bianco e azzurro si affacciava dall' edificio del M.A.E., travertino puro, candido come le nuvole. Maestoso lo guardavo, e vedendo quel bianco, lo sguardo non poteva che scivolare su quel cielo terso, azzurro, perfetto, che con quell' edificio era quasi un' altra bandiera, la più grande. Scendevo verso la marea umana, dove cercavo ed incontravo i miei amici al solito posto, ai "paninari", per passare due ore insieme aspettando Lazio-Toro.
Lo stadio distrugge in un attimo estrazioni sociali, professioni, interessi. La Lazio e' "1", si parlava soltanto di Lei e di come poterla aiutare. Naturalmente il nostro tempo scivolava verso l' ingresso allo stadio, dove tanti volti e tanti cenni d' intesa insieme ai "permesso" ci accompagnavano prima verso le tre rampe di scale in salita, poi, dalla vetrata, una rapida occhiata ai granata, di la, poi allo striscione più bello, e via, sui gradini che ci portavano al di sopra del boccaporto. Giunto al mio posto salutavo chi non avevo ancora visto e chi non mi aveva ancora visto salutava me. Cominciava il nostro lavoro, tutti insieme, io e i miei amici, a sostener la Lazio.

L' appuntamento era con loro. L' appuntamento era con Lei. Loro ed io eravamo Lei, Lei noi.

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