31/07/16

Anna.




          Quella traccia sottile che delimitava i tuoi occhi quando stavi concedendo un tuo sorriso adesso si mescola ai pensieri ed al ricordo, incastonato dentro quella folta chioma nera e quelle curve dolci che ammantavano il tuo viso. Dei sorrisi che mi facevi fare, insieme agli altri due, adesso non resta che una foto antica scattata chissà da chi, e comunque distante da ciò che gli anni ti avevano consegnato, scagliandoti lontano dalla tua professione e dalle pareti di casa mia, dentro le quali entravi sempre con piacere e buona educazione.
La bellezza risiede talvolta fra le righe stropicciate di un vestito liso, oppure la si può trovare nei più reconditi anfratti di un pensiero buffo che però, dentro di se, cela una malinconia frenetica che può arrivare anche a distruggere.
Ho amato il tuo sarcasmo ed ho apprezzato la tua femminilità elegante. Forse non e' un caso che tu te ne vai proprio in questi anni, dove stiamo perdendo tutto senza accorgersene, e dove il mostrarsi, dentro una ricerca spasmodica di costruzione ad hoc per ogni differente evento, ci rende quanto più mai falsi ed assolutamente immeritevoli di quell' attenzione che talvolta fragilmente richiediamo. Come se fossimo tanti gettoni usati per continuare a conversare, poi non si sa nemmeno con chi.
Via da questa dimensione, come una bambola chiusa dentro un carillon, e dove quella scatola e' la tua malattia che ti ha distrutto lacerandoti pian piano. Allontanato fra le cose che non si usano più, per poi un giorno ritrovarlo, aprirlo e sentire che quella sua musica ancora suona come nell' attimo in cui lo abbiamo chiuso e messo via.
E delle sottili linee di una vita che se ne stava andando non hai più dato notizia. Talvolta, ma solo raramente, raccontandoci del mare che passavi, ma sempre in quel sorriso di donna immensamente affascinante, e che non perde neanche quando e' la sua vita che la sta battendo. Rimasta lì a combattere in silenzio, come il soldato giapponese a cui non era stato detto della fine della guerra, ostinatamente garbata, privata, con quell' idea di essere distante da quel tritacarne che e' la ricca e dannata notorietà, e rilasciandoti in quella dimensione umana che ti era appartenuta sempre e che non avevi mai lasciato andare via da te.
Corpo lascia e il tempo lo cattura, ma invece l' anima lievita e va via, dentro il suo viaggio e nella esatta dimensione che vuole raggiungere per ritrovarsi e finalmente essere quieta.
Sei lì Anna, e quelle immagini trascorrono dicendoti di tutto ciò che e' stato. Adesso tu ritorni a te, e a quell' idea che ti volle nata a calpestare questa Terra nel tuo modo. Parole e inchiostro, di fogli laceri e ingialliti, come le pergamene che nei vasi si ritrovano colme di polvere, e come tutti quei disegni fatti da bambina e messi via che fra le carte di un trasferimento si ritrovano e alle quali non sappiamo rinunciare.
Vai via così, come sappiamo fare noi, dentro un orgoglio silenzioso che ai più racconta poco o nulla, ma che per chi lo sa ascoltare fa un baccano assordante e disintegra un ricordo trasformandolo in una lacrima che scende via. E dentro quella lacrima tutto il dolore e le tensioni si raccolgono per imbrigliarle e farle andare, come una cima che si fissa e che nessuno scioglie che nel vento si tende e flettendo ci canzona.
Arrivederci dolce Anna, veglia carinamente come sai, e proteggi la piana dei giusti come se quelle pareti fossero divelte e ci potessi ancora entrare come hai fatto un tempo.


Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

25/07/16

La disciplina e il ricordo.



           

                  La magnifica quiete di queste valli. Il silenzio.
Dove le riflessioni, il tempo che occorre e' lì da prendere, e basta per tutto.
Dove una visita allieta, e dove un simposio all' ombra di un fuoco può legare per sempre.
Dove lo stesso fuoco ci fa ricordare come se tutto fosse rimasto lì esattamente com' era, come se non ce ne fossimo mai andati via.
Il nostro specchio e nei volti di chi resta a vigilare. Guardiani della luce e dell' alba.
Affondano le radici e orgogliose si nutrono di quella pioggia e di quelle sorgenti che alimentano questi monti.
Che questo convivio non sia soltanto un convivio, ma anche e soprattutto uno scambio.
Come se la tavola si elevasse, portando con se un po' di brace e quei piatti da cuocere ancora.
Serve a rinsaldare e a gridare una volta in più, se ce ne fosse bisogno, che si può, si deve reclamarla.
Reclama e pretende l' appartenenza a questi monti schivi, dove anche il silenzio talvolta ha la suo eco e la sua voce.
Dove alcuni cavalli al pascolo possono insegnare i ricordi, il naturale abbandono solo a ciò che e' effettivamente necessario.
Ove e' lo stesso concetto di tempo ad attraversarci, e resta lì, come se ormai noi non riuscissimo neanche più a riconoscerlo.
Cammina veloce chi adesso e' lontano. Altre abitudini, altri impegni, e si sa, l' essere umano plasma se stesso in base alle sue esigenze.
E' per lo stesso motivo che quel cordone, ritenuto talvolta lacero, alla fine riesce sempre a ricondurre dove la strada fu costruita dal solco.
Come una gestante che da alla luce un bambino, oppure come una nonna od un nonno che scalda il suo cuore osservando i nipoti crescere.
Tutto attraversa ed il passaggio e' lieve e ci rallenta riportandoci all' inerzia di quei tempi andati via.
In questa terra l' impeto e' proprio solo del freddo, di un freddo vero e del vento che sferza, e che accompagna quel freddo.
E' buona abitudine resistere a tutto senza prestare il fianco o farsi cogliere impreparati.
Come se fossimo ciocchi di legno accatastati, provvigione per l' Inverno, pronti ad ardere e scaldare mentre si accompagnano altre provvigioni per sedere al tavolo in quel solito insieme ritrovato e ricordare.
Consumando pasti ed accumulando riposo, oltre allo stesso tempo. Recuperando per far si che poi si torni a riafferrare quell' essenza e queste stesse valli, che poi le stesse non sono mai.
Esse mutano in maniera impercettibile, ed in un buon bicchiere di vino, ed in qualche grasso sorriso, se ne vanno via dentro l' inconscio che in quegli stessi bicchieri macchiati di rosso si riflettono e ci percorrono come noi crediamo di aver fatto prima con le stesse.
Anime trascorse e violacea traccia di quell' uva che ci offusca un po' le menti.
Ci costruisce semplici sorrisi. e una gran voglia di lasciarsi andare e di tornare ad essere lievi.
Senza le curiose abitudini e senza quelle solite sarcastiche illusioni che ci costruiamo per poi crollare ove non c'e' lavoro e delle buone fondamenta a sostenerle.
I monti insegnano la disciplina della fatica e del rispetto. In essi tornare e' gioire del ricordo da la nuova spinta per quello che sarà a venire.
Cercando la vita in lunghe passeggiate, ascoltando quello che la corteccia degli alberi ha da dire, e che il vento al passaggio fra le fronde le stesse fa suonare.
Cumuli di foglie che son funghi. Lepri che attraversano la strada. Grugniti di cinghiali oppure ancora nuova mescita apprezzata.
Ed in questo clima di risvegli compie solenne il passo al suo tempo e ne rallenta il movimento.
Leva ancora un' altra volta il calice a toccare il cielo per celebrare la ritrovata unità che fa percorrere la stessa strada.
Durante l' anno non si perde, si accantona e mette via, per poterla cogliere di nuovo quando il giusto tempo ed il riposo arriva.  


Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

24/07/16

Il Silenzio che si Racconta.



       Questo scritto va alla frazione di Piedimordenti, Comune di Borbona, Rieti.

Ma va soprattutto ad alcune persone che già da molto tempo ho modo di apprezzare e che si prodigano spesso per la mia felicità e per quella di un nutrito gruppo di miei amici.

Amo la vita semplice, e allo stesso modo rifiuto sovrastrutture, finzione e tutto ciò che della vita e del viver comune non e' nucleo.

Massima espressione di Libertà, come questo dipinto di pastelli dai confini di un immaginario ampissimo e denso, dove un incontro dell' essenziale, del basico, finisce per mescolare gli elementi tutti insieme. 




IL SILENZIO CHE SI RACCONTA

E' come un orto di cartapesta
Questi terreni, quì a Piedimordenti
Dentro un ricordo che come pastelli
Disegna curve discese dai monti

Se poi e' l' inchiostro che tinge la mano
A ricordarci la traccia che scorre
Placido passa da sempre il Velino
Modella scene, anzi le vuole imporre

Intima passa e n' e' testimone
Cambia, accarezza, poi scivola a valle
Gelida e' l' acqua ed e' il bene comune
Corre, si stringe, va via come un folle

Ora e' lo sguardo che fissa un pensiero
Ritto si posa su un volto segnato
Racconta un viso che non sembra vero
Parla di un tempo che se n' e' andato

Raggruma gocce che poi fa matassa
Come se un filo le tenesse insieme
Passa la vita che pare melassa
Sciolta in un tempo che non le conviene

Osserva il tempo e lo guarda negli occhi
Dentro lo aspettano rughe e un signore
Ecco che adesso memoria riaffiora
Nei pochi istanti racchiudono ore

Brilla scintilla di quel caldo fuoco
Legna che arde riscalda la fiamma
Piedimordenti ha dipinto per gioco
Ma adesso a bruciare e' il mio cuore che affanna

Resta a diffondersi un fumo di brace
Varca il confine come fosse un cancello
Passa un cinghiale poi plana un rapace
Di un bel disegno ora il cielo e' mantello



Roberto De Sanctis - All Rights Reserved


04/07/16

Le tessere cadute.




          Come un elastico rimbalza sulla vita e si rapprende per poi tornare a tendersi e ad irrigidirsi sulle cose, quasi impotente aspetto che la nuova estensione mi dilati su questi giorni caldi che sto attraversando liquido e che mi hanno fiaccato fino a rendermi quest' apatia verso le mie giornate che ora soffro ma che non posso in alcun modo contrastare. Disintegra il mio stato d' animo, rendendolo in piccoli pezzi chiusi nelle stesse situazioni, che di me vivono parti separate di un insieme, e che non sono mai allenato a riattaccare.
Un viaggio spezzato fra le tessere di un antico mosaico, messe in fila come nel gioco del domino e pronte ad essere colpite per cadere a terra. Le guardo camminare e poi cadere l' una dopo l' altra, come tante giornate andate via che non ritorneranno, mentre le curve e tutte quelle tessere che scivolano via m fan pensare a quante cose ho valutato giusto il tempo di un momento e poi ho lasciato andare via distrattamente. In quante notti e quanti fondi di birra ho lasciato parte della mia storia e delle mie esperienze. Talvolta le ho blindate e tante altre invece le ho perdute senza affanni.
In tutto questo come corde di un violino pizzicate, le intensità che di volta in volta invece si impossessano di me io le rilascio sotto forma di altre note e di tremori. Condizionato da quell' alveo di realtà che ho abbandonato, e concentrato soprattutto su quella parte di sogno che affiora laddove lo spazio empirico cede il passo all' effimero ed al creativo, e dove altri suoni vanno a mescolarsi a quelli miei, fra quei toni avvolgenti che lentamente poi si placano rilasciandosi ad una realtà che ora ritorna mutata e ricomposta in tutti i suoi molli tasselli umidi di tempo andato.
Corrimano come scivoli ed assestamento fra le gravide mutevoli crisalidi che sbocciano liberandosi in farfalle. Così i pensieri miei abbandonano distrutti per poi raccogliersi dentro quei battiti di ali colorate che mi spingono fra le onde e che allontanano. Crogiola in una nicchia di marea che lo accompagna, dentro saliva e custodia ovattata rapprende per poi filare dolcemente della seta che si fa tessuto tutta insieme.
Semplice inclinazione al possesso ed all' esperimento dove la materia e' il pensiero e che non ha sostanza. Spessori e clima, dentro canicole di lucide cuti ed in pensieri stantii che si ribellano, vuoto il mio sacco al cospetto di chi lo sta sciogliendo e che mi scioglie.
Vomita fuori idea come sorgente e come sotto il sole evapora, ricorda il ghiaccio sofferente che lo incontra e che non lo sconfigge. Un' idea, intoccabile ed impeccabile, finalmente chiusa dentro i confini di uno scritto e che con questo caldo la abbandona e al tempo stesso la imprigiona. Scivola via una nuova idea dentro quel recipiente che raccoglie molli tessere di un domino finito e da ricostruire. Le curve son raccolte ed ogni irregolarità, ciascuna critica, evapora di nuovo come fosse il nulla e dunque al nulla mi abbandono anch' io col muro che ho dentro, fr ai miei pensieri e fra le cose che ho deciso di tenere in mezzo a tutte le altre andate via.


Roberto De Sanctis - All Rights Reserved