21/11/15

Un sipario lacero.




           Intensità dai toni critici stridono come ricordi intorno ad un fuoco mentre dentro il lago dei pensieri posso osservare quel volto che torna ad affacciarsi. Noor e' lì che mi osserva con un' espressione che non lascia trasparire nulla, ma nei suoi occhi vitrei posso leggere gladioli di ceramica e perle nere lucide perfette. Ascolto quella immagine recondita che stagna ferma come fosse una ninfa delle acque. Tutto tace ed anche il vento intorno sembra fermarsi, mentre zampilli nuovi di fresca pioggia iniziano a colpirle il volto e ad agitarla.
Una trasposizione dell' immagine che io ho di lei, adesso la dipinge vivida su un grande albero, il cui fusto, come tela, ne definisce i perfetti contorni e in chiaroscuro mi fa pensare al volto di Salomè in un quadro di Tiziano. Crogiola una danza che colpisce dritta senza fare nulla, e candida l' immagine senza cornice mi attraversa come fossi di cristallo. Frane di sensazioni affogano dentro quel lago che adesso e' tornato placido, ma Noor rimane ad osservare ed io la immagino dentro le lingue di fiamma del solito fuoco dei primordi che mi ossessiona dal momento che fu acceso.
Coordina male i movimenti pensando ai dondoli di corda che li sorreggeva. Al soffitto delle stelle li allontana e scarta come un cavallo senza monta che va via, per poi fermarsi a brucare la stessa erba che fu di quelle sere germoglio dentro un errore che sapeva di commettere senza pagarne il prezzo. Onde e strisce luminescenti come fossero aurora avvolsero scaldando il cuore e immaginando tiepidi intrecciati istanti, ma il flusso di lava che sembrava il sangue dipinse come pastelli allora la mia tela che per esplodere dovette solo scardinare i ranghi di un ordine mai ricevuto e mai messo a tacere.
Cervidi rappresentanti e cupi versi, copioso legno e istanti di un sogno notturno, ma anche pragmatico desiderio ed inciampi in un bon ton oramai lontano, ritornano all' istante avvolti in esplosioni di zucchero filato e sesso, che come ragnatela intrecciano le voluttà portandole alla fonte dove un tempo bevve quell' equino.
Allori e cinture di rossi petali raccontano una storia che e' di altri, mentre Noor, adesso sorridendo, ridisegna, riavvolgendo il nastro, in un disordine complesso di quel treno che fischiava e che strideva nei pensieri di un capostazione andato via in muto silenzio. Pagine sfogliano come pellicola e quel fusto dell' albero muove quasi sviscerandosi dal terreno. Precipitando, le radici di quel sogno si dirigono verso l' alto capovolgendone la corteccia e frantumandone un desiderio che si ricrea però senza evolvere e privo delle sensazioni necessarie affinché sembri reale. Crimini di pressioni fossili fra me e l' immagine di quella sagoma. Contenuti esplosi di un sipario lacerato nel tessuto e nelle foglie. Miti acque dolci divengono in un attimo tormentati correnti ravvivando l' idea di una musa lontana e del non senso, mentre il contesto avvolge e il freddo aiuta a far sembrare quel fuoco lontano e pronuncia di sibilla sottovoce. Lo spazio di radura accoglie e non dissemina momenti laceri in una schiena madida. Mentre un candore si dissolve fra le scosse di un torrente avvelenato pioggia poggia fra le vele e si raccoglie dondolando dentro un tempo sigillato dalle sensazioni. Oltre lo sguardo fermo di un' immagine che ritorna sovente ascolto fra le righe un poema del non detto che però non e' sepolto. Noor, in attimi che zampillano come i vulcani di fango del Gobustan.



Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

19/11/15

L' esplosione del cielo.





             Piccole tessere di un mosaico che va a comporsi come una iride dinamica che osserva. Tasselli di un tutto che come un emisfero riesce a scrutare sigillato nei suoi occhi, reconditi fondali di un' anima che lentamente si allontana. Volge al sogno gli interessi primi di geometriche stratificate immagini, mentre la lancetta corre scandendo il tempo come fosse un battito di ali. Fioca luce quel che resta, come sagome liquide che si disperdono su un piano lucido.
Sonde all' interno misurano pressioni e intensità emotive, come se fossero rigogliosi prati dove correre per poi distendersi a guardare il cielo. Sublimi essenze, ed in quei fiori si racchiudono i profumi, che lo inebriano in quegli attimi dove non c' e' più spazio, se non per l' assoluta sospensione entro la quale sta brillando. Brezza accarezza fra gli steli mentre il fruscio produce suoni come note che diffondono. Raccolte le impressioni di quegli attimi solleva e l' anima gioiosa torna ad esplorare il manto di orizzonti in movimento, mentre l' iride rimane pulsante come fosse una supernova pronta ad esplodere e a ricacciare tutto indietro come esperienze assimilate e fatte proprie.
L' ego trionfa sul confine, candide bocche di leone si mescolano ai campi di lavanda. In un tratto il cielo esplode come divenisse tutto sole, per poi tornare indietro a quei lamenti soffici di nuvole danzanti. Attraverso il disegno di un creato cerco ancora, credendo di poter trovare altro me intorno. Saliva e brama di una nuova linfa, con raccapricciante e inusuale vigore provo, sentendo che la sagoma dilata fino a premere sul vento, e come se io fossi bollente, in questo alveare di correnti ascolto il propagarsi di quell' aura che io sento.
Mescola il confine all' orizzonte e come supernova anch' io dilato per poi esplodere coscienza in una capovolta di espressione. Le percezioni sono movimenti, e i movimenti disintegrano gli attimi. Come impulsi di primordi conoscono direzione, inizio e fine. Viaggiano sospesi e indipendenti come rette che attraversano le nostre fasi rimaste a librare, per darci il senso di un ricordo appena percepito e ritrovarci a vivere qualcosa che ci sembra già vissuto.
Passano, allineate e perpendicolari senza tagliare e senza creare traumi. Disciplinano il tempo attraverso la quarta dimensione della materia, creandosi nel movimento e ricreandosi nell' impulso come un' onda di magnetismo che sovrappone due parti dello stesso corpo in istanti diversi nello stesso punto. Simboli e strane coincidenze, ricordi di immani drammi e grandi esplosive felicità.
Deflagra come una bomba percorrendo gli equinozi che abbiamo dentro, la dove siamo tutti pianeti, e prima di giungere a compimento per poi rigenerarmi, per qualche attimo e' tutto antimateria. In quei pochi istanti ricevo gli impulsi del nulla così da poter assistere alla manifestazione dell' assoluto. In quegli esatti istanti vedo, ed una comprensione strana, laterale, da il taglio alla consistenza che e' del resto.
Come assente la osservo ammirandone bellezza e complessità, potendone delimitare sagoma. Torno in quella tessera che come un mandala tibetano va a comporre un disegno superiore, e mi accorgo che e' ancora tutto sovrapposto in altro tempo. Vestiamo gli attimi come indumenti per la sera, ed in quell' occasione noi scegliamo di proporci in un esatto modo. Sfioro l' idea di essere altro tempo ed io mi cambio, l' iride osserva il mutamento dentro tutte le emozioni ed all' interno mutano veloci come ho visto esplodere la luce in quel disegno.


Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

18/11/15

La libertà che brilla.




        Mi assento spesso, e accade anche da me stesso. Per poi tornare a getto, e un nuovo impeto travolge come un fiume in piena. Così le cose, che come vanno arrivano, ma sempre inaspettate, e con sorpresa io raccolgo oggetti levigati cui non so dare una forma.
Cosa significa se accade...e se succede, e' mai per caso? Come una liquida malinconia che mi attraversa, osservo splendere la goccia di rugiada in mezzo a quello strano effetto che mi fanno le notizie altrui. Soggetto a quella sola parte interessante che accompagna, con egoismo mi disinteresso del mondo che pur mi lacera, fra morti ed esplosioni poco chiare.
Ma in tutte le deflagrazioni c' e' la mia, la più insistente, che non e' un fulmine ne un lampo, ma che fa contenere vuoti di animo compressi come fossero di antimateria.
Risorgive e risacche di tessuti si ammassano per cautelarsi dagli effetti di sorpresa. E torna quella sensazione di quel libro antico impolverato dove ho letto la mia vita in altro tempo. Dove tutto e' già stato vissuto, e di cui resta al tempo mio solo un lamento.
Sordo rumore lontano di una via che ho già percorso e come pagina già scritta non c' e' andata per chi e' solo di ritorno. I tremori di una foglia mi ricordano che la passione e' tutto fuorché statica. Dimena quella foglia come succube di ambito mostruoso, per lunghi istanti il vento la accompagna mentre l' albero la cinge a se che l' ha voluta e che la vuole ancora.
Partire e andare via soltanto per morire sul terreno. Lo strano fato di una foglia, e come foglia anche io mi agito nell' impunita storia in questo luogo e questo tempo. Lacero nei tessuti di un vestito oramai liso, e dentro l' anima complessa di una storia che non e' successa a me, ma mi riguarda.
Fra le foglie secche adagiate sull' asfalto, qualcuna vola via, placida o con grave diversione, fra queste madide folate di umido, qualcosa si risveglia nelle strane pareti e porta le mie mani ad allenarsi nuovamente nel dipinto di una soglia antica che ritrovo quasi come fosse andata. Sciolti i colori e stesi, senza assoluta tecnica mi immagino percorrere la tela della vita come fosse quella mia.
Fra inciampi e sollevate fra scudi e spade, fra braccia tese e voglia di aiutare chi non ha ancora capito. Sciolti da diluente e salubri passeggiano su quel tessuto, incrociandosi con la maestria assente di chi ne può scrutare l' anima attraverso. Robusto legno sorregge una dozzinale tela fino a trascorrervi l' intero scorso che riaffiora. Ancora un fiume, ancora un' altra ora, si dota della necessaria curiosità di chi vuole scoprire, ma al fianco si distende un vecchio saggio che ricorda anche le cose andate via. Sciami di sismi lontani interessano le cose nostre come fossero accaduti accanto, mentre la mia giornata guarda e l' attraverso come foglia che si dondola sospesa per cadere e andare via.
Cosa credere? Cosa pensare? O e' meglio evitare di porsi domande? Pensare alla scossa senza occuparsi di cosa l' ha provocata. Rispondo tacitamente assentandomi esattamente in quell' istante. Vedo le mie lacerazioni apparire sui volti di altri che noncuranti anche se preparati se ne vanno verso una realtà che e' solo ovvia.
Flette l' asse della bussola inventata, mentre strugge e porta avanti il conto di una molle livida realtà. Il passo incede come un paziente che deambula in un ospedale, ma la corsia e' per chi non ha rimedio e chi non sa più cosa cercare. Tremule corde di una nenia che addormenta, determinate ore, e pasti che si officiano come sentenze o messe. Il cuore batte e siamo in grado di ascoltarlo, ruggisce e non e' sazio di comprendere le strane informazioni. Filtra col passaggio di un setaccio buono di complessa verità, entrando in contrasto con quello che ci stanno disegnando addosso, addirittura dichiarano guerra a quell' abito di menzogna preparato per quest' occasione.
Crepitii e briciole di libertà noi le lasciamo a terra, come quei corpi fermi e gelidi di quella notte brava. Le corde dei nostri tessuti sono spezzate e non possiamo nulla fra le vigne di questo casale ormai distrutto. Dunque restano gli sciami ed i ricordi, che come tali giungono dal mio passato di egoista, che come incudini mi pesano sul cuore, ma come ali di gabbiano mi sollevano portandomi lontano da questo dolore.
Riflettere e' pensare, come se ci svegliassimo da quel torpore replica che somministra il tempo. Follia del vento e quella foglia a terra mi ricorda che per ogni foglia sola sempre un albero mostruoso e' stato madre. Vagiti di suoni e strani rumori ancora echeggiano come per raccontare che non e' così, ma mentre provo a definirli, a dargli forma, il quadro di quegli altri e' già sul tavolo per essere osservato mentre la tela mia rimane ancora col passaggio di un pennello che distende altro colore da far essiccare.
In quel tratto di pastello ascolto, e nello stesso tratto vedo che la vigna rigermoglia pronta per la nuova libertà. Assaporando il vento, io nel vento confido affinché possa brillare ancora quella goccia di rugiada che per un istante sulla tela adesso riesco ad imprimere come se fosse stato lì da sempre.



Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

17/11/15

Il guardiano della montagna.



   
        Redini di un percorso che si fa tortuoso, nel pieno possesso delle idee e consapevole di nuove mete da raggiungere. Quando tutto si fa chiaro giunge un elastico a dilatare le sensazioni fra il rollio di un secchio di molecole e le perle liquide di un sudore che da pressione. Alianti attraversano il sangue giungendo fino al freddo rinfrancante di una gola che si offre ad un crepaccio. Ed io, e  i miei respiri affannosi, dove mi preparo a porre la vasca dei pensieri sedendo ad ascoltare il vento che mi avvolge fino. Cumuli di immagini e macerie. Ciottoli precipitano come se fosse spenta quell' idea di cielo che dal valico sorregge. Nuvole affiorano per poi accarezzarsi con la vetta in alto, mentre resto ad osservarle in questa loro sinuosa danza attorno a quella pietra. Il cartello delle mie volontà raccoglie in se nuova fatica e nuova voglia. In un impeto sono in piedi, pronto ad una nuova salita e a un' altra fetta di reazione alla ragione con l' istinto. Sciami accarezzano la foschia lasciando indietro la vegetazione, e quando la scena si apre, lo osservo, mentre lui resta fermo a guardare l' insolita sagoma. Fiero e una roccia sostiene, fra le piaghe del tempo assonnato la casa difende. Le sue pallide macchie di bianco pelo lasciano spazio al sontuoso manto di re della sua elevata e complessa struttura. In uno stambecco si rinchiude una montagna intera e la sua storia. Sul ciglio e sul dirupo ascolta con medesima tranquillità, nutrendosi di ceppi d' erba rigogliosa e fresca e nutrendo il vento stesso e quell' inerzia che sconfigge ogni momento. Lo guardo passare e la valle ne mostra altri ancora, ma il suo pascolo e' solo metafora di una meta nuova. Negli occhi lucidi mi scontro con l' essenza di un momento, mentre le brune espressioni mi percorrono attento per lui che di quella terra e' il signore. In un cortile silenzioso ascolto il vento e nei suoi occhi mi ritrovo ad osservare quel che vede lui, nei suoi pensieri semplici e nella sua richiesta di esistenza mite. Battaglie, vigore e forza assaggiano le mire di suoi simili per poi riabbandonarsi alla sua libertà di animale della montagna. Così mi sento, in lui, ed e' in quel preciso istante che abbandono questa idea del possesso, perché dalla montagna e' posseduto, e così anch' io. Bruno cielo, copre piombo e inizia a gocciolare, ma mentre il suo pelo isola e' la mia tenda a fare da riparo. Sebbene io abbia tutto non comprendo, e nello spazio di uno sguardo attento e' semplice capire che, fra i due, sono soltanto io che non ho nulla. Lo stambecco resta, e quella e' la sua casa e non ha tetto, mentre anch' io resto fermo li, ad assaggiare il profumo della pioggia, e ancora mi abbandono all' idea di essere un pò lui. Considero quel buio cupo mattutino e quel copioso liquido che cade come una nuova linfa che mi nutre. Pensando a ciò che avviene a valle, per la verità, deduco che e' piuttosto semplice capirlo, ma non capisco mai. Fiume e pioggia, e verde flora e fauna. In un groviglio di vegetazione tutto nasce in due elementi primi, e in quel momento sto osservando entrambi coi miei occhi timidi di ospite incapace. Parla di lampi e di tuoni e genera come una madre quella pioggia, mentre uno scivolo naturale nei suoi ghirigori le permette di scendere a valle dalla montagna con la stessa inerzia che uno stambecco, quello stambecco, sconfigge con la sua esistenza provata. Come un guardiano delle cime innevate o delle pietre bagnate lo stambecco osserva tutta la vita ricrearsi al di sotto della sua dimora, fra rivoli d' acqua ai quali si abbevera e sulla prima verdura che germoglia e, fresca, mangia. Crepitii come solerti impetuose promesse dilatano e restringono con quell' elastico che rischiara e fa tornare il sole. Il solito elastico che come i tendini di quella sacra bestia osserva il mutare dei colori che la Natura offre ai suoi discepoli ed alle soglie che un uomo soltanto di rado riesce ad attraversare senza che abbia dubbi sul percorso offertogli e sulla direzione da percorrere per poter tornare indietro. Abbandonandomi a me stesso adesso lo comprendo.


Roberto De Sanctis - All Rights Reserved
   

05/11/15

Il muto canto ai quadri di Averin.




       Quella fila di mandorli in fiore ci spingeva diretti dentro un quadro di Alexander Averin, che con le sue tonalità impeccabili di un tenue dolcissimo ci accarezzava tiepidi in quell' abbraccio evanescente proprio di un ambiente impressionista. Come in un quadro passeggiavamo fra le onde che si increspavano e il rumore del vento e del mare, cercando una cornice rigida dentro la quale confinare il senno docile ed abbandonarsi alle conquiste del primordio più grave e intollerabile. Dentro la vernice agli alberi e ai giardini si frapponevano gli ombrelli di signore elegantissime mentre a quei fiori di lavanda si mescolavano dei prati lucidi accarezzati dal quieto alito di morbide colline. Immaginavo le mie voluttà nei piedi scalzi e nelle impronte che lasciavo sulla sabbia. Decise si imprimevano l' una dopo l' altra, come una fila di emotive e sconvolgenti verità per poi velocemente essere sommerse dall' impeto di una matrice nuova che dal mare si lanciava a cancellarle. Ascensori come petali caduti riaffioravano in un rotolarsi livido sotto folate nuove di quel vento che arrivava. Erano golfi dentro un chiuso e placido alveare al cospetto di vallate ricche di ametista e di raccoglitori di lucenti pietre. Come mitili quando marea si abbassa, o come lacero fogliame a terra fa fanghiglia, l' ibrido dei sensi e delle percezioni divagava per accaparrarsi un posto quieto dove madido terreno gli fornisse torba. Ardesia e lame di lucente pietra nera sconvolgevano un immenso carico di duro legno di parrozia. Avido di appigli e crepe, quel duro confine racchiudeva il morbido fluire del mio sangue chiaro, senza che potesse liberarsene o addolcirlo prima di cadere. Scosse elettriche mi dilatavano lo sguardo come se un terremoto mi prendesse per fiaccarmi un pò, leggevo nei suoi occhi tutta quella pena per i miei, come se coppe di vino e calici fossero scorsi ad ungere la mia espressione donandole quell' agitato oblio. Perle, sulla fronte e sulla schiena, scivolavano in rigagnoli di umida rugiada distruggendosi al contatto coi tessuti. Mentre scorgevo ancora gli occhi suoi, di lei, cercare di affogare il mio riverbero dentro i pensieri di un nuovo pennello che passava, per descrivere altro senso ai quadri di Averin. La completezza in quegli istanti, dentro lo sciame candido di tutti quei colori a tratti cardine di dimensioni e pure profondità. Il vertice di quella sinergia fra silenziose curve e dannazioni di quei liquidi essiccati, esplose sulla tela come fossero struggenti attimi di un ricordo andato via, e per quegli attimi restare a contemplare ritrovandosi e torcendosi fra ciò che lo cattura. E quella foto, mnemonica, rimane lì come una stampa di giornale racchiusa dentro la cornice dei miei sogni, che e' il confine fra un disegno ricco di colori impressi e la rigida struttura che sostiene. Si infrange in emozioni vivide di quello spettatore o questo che la osserva. Provo la sensazione di cadere nei pastelli, di fondermi per poi ascoltare il vento che racconta. Mi guardo intorno come se un oblò chiuso mi arginasse l' impeto spingendomi verso pareti di colori mescolati, e poi d' un tratto la sua mano mi raccoglie ricordandomi che l' opera non e' la mia ma che la sto guardando come se volessi viverla da me. Mi abbandono alla sua mano che accarezza, volgo lo sguardo a lei che proprio in quel momento mi innamora.


Roberto De Sanctis - All Rights Reserved