08/09/15

Follia.




     Incipit di una stravagante interpretazione e dell' impiego del suo tempo. Preludio ad un' oscena forma che dilata dentro gli occhi di chi resta ad osservare e che ne esplora il fondo cupo quando si allontana. Soggezione e grida, capovolte e tollerata confusione, come la vite e' accolta e buca il legno così la mia coscienza lo analizza e nota.
Sipario di un mondo parallelo entro il quale le regole si dissolvono mentre il suo razionale oblio ci avvolge e quasi sugge. Note sono le velette che ricordano i suoi canti isterici, come nota e' la sua voglia di sorprendere per poi scrutare e snocciolare la sorpresa dentro gli altrui sguardi. Piroette e proiezioni di un futuro che lo investe, e quel suo ghigno scuro e placido allo stesso tempo, che come immagine di un Joker ci sorride, e anche degli altri, quasi come fosse lui l' anima candida che li analizza e che li scruta.
Possenti immagini di una recondita pazzia, alveari di solerti idee che esplodono per propagarsi verso nuvole ed eserciti di benpensanti.
Ha vinto ed affrontato tutto, correndo via da una routine che non accetta. Ha corso sulle nobili distese dell' inconscio, girovagando qua e la per esplorare prima, e come in un labirinto per trovare la sua strada poi. Ora che e' uscito si solleva, e osserva quella rete e tutte quelle anime che come pesci ignari vi son chiuse dentro come fossero convinte della loro libertà.
Democratica libertà, di quella rete. Dogmi e preconcetti come fili di una tela tessuta e quel gran ragno che ci osserva per finire il lavoro. Almeno restano quegli istanti, per chi, s' intende, e' capace di goderne, in cui si possono aprire le braccia e come un aliante, portarle col vento fino a convincerci che possiamo anche volare. Con il grido liberatorio di una corsa che ci lascia privi di qualsiasi forza e fiato, così edifichiamo muri invisibili per noi e verso gli altri. Muri nei quali albergano le nostre fantasie celate, mai volute sperimentare e mai provate. Gli stessi muri oltre i quali noi temiamo di guardare, come se quei confini ci servissero, come se la solita forma ed il suo conseguente perimetro od involucro impedisse a quel che e' dentro di montare e col suo incedere portarci via ad evolvere.
E torna quel suo viso che ci osserva. Come una maschera dimena e danza, roteando fino a confonderci e a distrarre tutti noi da ciò che si potrebbe essere, ma invece si rinuncia. Quasi ad occupare lo spazio che sarebbe nostro se solo lo volessimo, o ne avessimo il coraggio, e la perenne sfida di chi per evolvere ha accettato il pegno di impazzire. Fra le nostre risa e di chi lo biasima o ne ha pena, come crateri le sconfitte e le paure arrivano a portarci il conto, con tanto di piattino e di libretto chiuso.
E' una scoperta che riguarda noi e più nessun' altro, in tutti quei momenti dove abbiam deciso di fallire o di lasciare tutto come stava per non muovere altri rischi che potevano forse investirci.
"E' la faccia della follia! Guardami!" sembra dire, ed e' quasi una sfida. E' qui, in questo specchio, ed in tutte quelle celeri smorfie di quel pazzo che ci suscita finanche disinteressata tenerezza.
Se solo avessimo più di tempo da potergli dedicare, per accorgerci che ciò che noi, in realtà, vediamo in lui, assomiglia a tutto quello che di noi non abbiamo mai voluto mandar via, probabilmente capiremmo che in realtà qui i veri pazzi siamo noi, con buona pace del cammino, di quei muri e della stessa indisponente voglia di sembrare.


Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

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