17/11/15

Il guardiano della montagna.



   
        Redini di un percorso che si fa tortuoso, nel pieno possesso delle idee e consapevole di nuove mete da raggiungere. Quando tutto si fa chiaro giunge un elastico a dilatare le sensazioni fra il rollio di un secchio di molecole e le perle liquide di un sudore che da pressione. Alianti attraversano il sangue giungendo fino al freddo rinfrancante di una gola che si offre ad un crepaccio. Ed io, e  i miei respiri affannosi, dove mi preparo a porre la vasca dei pensieri sedendo ad ascoltare il vento che mi avvolge fino. Cumuli di immagini e macerie. Ciottoli precipitano come se fosse spenta quell' idea di cielo che dal valico sorregge. Nuvole affiorano per poi accarezzarsi con la vetta in alto, mentre resto ad osservarle in questa loro sinuosa danza attorno a quella pietra. Il cartello delle mie volontà raccoglie in se nuova fatica e nuova voglia. In un impeto sono in piedi, pronto ad una nuova salita e a un' altra fetta di reazione alla ragione con l' istinto. Sciami accarezzano la foschia lasciando indietro la vegetazione, e quando la scena si apre, lo osservo, mentre lui resta fermo a guardare l' insolita sagoma. Fiero e una roccia sostiene, fra le piaghe del tempo assonnato la casa difende. Le sue pallide macchie di bianco pelo lasciano spazio al sontuoso manto di re della sua elevata e complessa struttura. In uno stambecco si rinchiude una montagna intera e la sua storia. Sul ciglio e sul dirupo ascolta con medesima tranquillità, nutrendosi di ceppi d' erba rigogliosa e fresca e nutrendo il vento stesso e quell' inerzia che sconfigge ogni momento. Lo guardo passare e la valle ne mostra altri ancora, ma il suo pascolo e' solo metafora di una meta nuova. Negli occhi lucidi mi scontro con l' essenza di un momento, mentre le brune espressioni mi percorrono attento per lui che di quella terra e' il signore. In un cortile silenzioso ascolto il vento e nei suoi occhi mi ritrovo ad osservare quel che vede lui, nei suoi pensieri semplici e nella sua richiesta di esistenza mite. Battaglie, vigore e forza assaggiano le mire di suoi simili per poi riabbandonarsi alla sua libertà di animale della montagna. Così mi sento, in lui, ed e' in quel preciso istante che abbandono questa idea del possesso, perché dalla montagna e' posseduto, e così anch' io. Bruno cielo, copre piombo e inizia a gocciolare, ma mentre il suo pelo isola e' la mia tenda a fare da riparo. Sebbene io abbia tutto non comprendo, e nello spazio di uno sguardo attento e' semplice capire che, fra i due, sono soltanto io che non ho nulla. Lo stambecco resta, e quella e' la sua casa e non ha tetto, mentre anch' io resto fermo li, ad assaggiare il profumo della pioggia, e ancora mi abbandono all' idea di essere un pò lui. Considero quel buio cupo mattutino e quel copioso liquido che cade come una nuova linfa che mi nutre. Pensando a ciò che avviene a valle, per la verità, deduco che e' piuttosto semplice capirlo, ma non capisco mai. Fiume e pioggia, e verde flora e fauna. In un groviglio di vegetazione tutto nasce in due elementi primi, e in quel momento sto osservando entrambi coi miei occhi timidi di ospite incapace. Parla di lampi e di tuoni e genera come una madre quella pioggia, mentre uno scivolo naturale nei suoi ghirigori le permette di scendere a valle dalla montagna con la stessa inerzia che uno stambecco, quello stambecco, sconfigge con la sua esistenza provata. Come un guardiano delle cime innevate o delle pietre bagnate lo stambecco osserva tutta la vita ricrearsi al di sotto della sua dimora, fra rivoli d' acqua ai quali si abbevera e sulla prima verdura che germoglia e, fresca, mangia. Crepitii come solerti impetuose promesse dilatano e restringono con quell' elastico che rischiara e fa tornare il sole. Il solito elastico che come i tendini di quella sacra bestia osserva il mutare dei colori che la Natura offre ai suoi discepoli ed alle soglie che un uomo soltanto di rado riesce ad attraversare senza che abbia dubbi sul percorso offertogli e sulla direzione da percorrere per poter tornare indietro. Abbandonandomi a me stesso adesso lo comprendo.


Roberto De Sanctis - All Rights Reserved
   

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