15/12/15

La precessione degli equinozi. In me.




        Milioni di scintille brillano sotto le palpebre, dipingono figure geometriche che si allontanano e mi raccontano di un nuovo cosmo dentro il quale perdersi come se fosse pece mescolata a marmellata. Aliena rapida contesa sfregia e lacere contuse vesti si abbandonano a quella schiera di quadrati e cerchi che ne esplorano distanze. Ciondolandosi fra quanto e' andato e quanto invece resta a fare mucchio, un monte di ardesia grattugiata sembra mina pronta a scrivere destino, e al tempo stesso pala di sibilla illumina offrendone un percorso valido per una uscita quieta e senza ansimi. Tremori di setacci agiscono per sezionare e far disperdere, mentre al contempo nuove sabbie di colori affiorano, come nelle migliaia di mandala dove monaci si spendono per dare immagine a una corsa verso il raziocinio, e a quella stessa disciplina dalla quale l' uomo spesso corre via adagiandosi sulle fragilità dimenticate come dogmi e contro tutta la sua nuova paura di cercare.
Scoperte come tombe egizie, dove gli indizi oramai vuoti si solfeggiano come una musica che giunge piano dalle cavità di mastabe remote. Mai viste e senza scossa alcuna, a ragionarci per avere nuove traccie di una mappa andata via, col vento sotto nuova sabbia che per nuovo tempo cela, resta nel mistero di piramide a gradoni, come Zoser, il sommo faraone, volle fosse eretta per portarne ricordo alle generazioni che sarebbero venute dopo.
Impianti di coscienza e conoscenze late, pareti illustrate e sagome di semidei con teste di animali e scettri, vivide speranze di tesori ed intuizioni, lasciano lo spazio angusto di un ambiente sotterraneo per elevarsi al cielo come Horus, il Dio falco, ma consegnandone quella scoperta arcaica che di densa polpa e ricamata intima perla ci sofferma sulla fiaccola che adesso ci permette di osservare.
Un Dio che vola via ed officia la morte, e una rinascita volta verso l' eternità. Sali di stelle come cristalli allineati verso il mito, simboli di un vetusto privato piacere di conservare, abbandonando il lacero tessuto della mummia e tutto l' oro coi gioielli. Il vero tempo, la vera ricchezza alberga nel valore donato alla rinascita, ed e' lì che si racchiude il dono. Ed a quel nuovo dato di sapere che ci informa di quanto trascorso ha lasciato più che traccia di cometa.
Sothis, Iside, la Madre. Colei che e' sposa e che e' sorella. Colei che e' donna ed anche stella. Bramosia di un ricordo di umidore che si incontra al Sole, sfere di brillanti esplose nubi come inganni e sciami nuovi di pulviscolo che si diffonde.
E nello stesso cosmo dove mi ero perso anch' io ritrovo finalmente ragione ed inerzia, pensando di sorreggermi sul manto erboso delle stelle e sulla Via che adesso ci si offre fra dilatazioni geometriche affini e magmatiche ellissi sulla volta celeste.
Il faraone resta fermo ad impartire. Non c' e' bisogno che la voce si diffonda, ne che ordine sia consegnato: il grande Imothep già saggia quanto del creato non ha ancora appreso, e nuovamente studia. Cardini e piombi, distanze e matematiche ricorrenze. I calcoli del più esperto di sempre nulla possono se non nel riscoprirsi schiavo di fonetiche resistenze verso il cielo e di ritorni dentro vani sotterranei che svuotare vuole dire anche disperdere.
Ed e' allora che ricordo i moti cui siamo soggetti. Ed e' allora che la precessione degli equinozi e la nutazione riaffiorano come ricordi ancestrali sotto le palpebre di un' agitata fase R.E.M.
In quell' esatto istante incontro Imothep ed osservo Zoser, il faraone, mentre il soffitto si agita furioso, come fosse un terremoto cui tutto, tranne il mio mondo, ora appartiene.
Trascorre in pochi attimi la storia del destino della Terra, potendo rimirare in queste scosse il corso delle cose che e' descritto nella geometria dipinta nelle stelle. La volta del cielo appare lì, come l' ellittica, dentro una nuova stanza di profondità che non riesco a misurare. Horus il falco torna a cospargere il terreno delle spoglie di Osiride, così come la luce dentro gli occhi apprezza e nello stesso istante spezza questo mio faldone di istanti vissuti al fianco delle più grandi entità del tempo andato.
Tefnut, Nut, Amon Ra. Li ho visti in pochi istanti succedere alle stelle e diventare al tempo stesso immensi mondi dentro gli individui che al confine dipingevano la completa totalità. Dei e semidei, faraoni o semplici architetti costruttori di infinite informazioni e conoscenze. Avidi di loro stessi, e sensibili percezioni di un tempo che si insegue per poi tornare ad essere il solito trascorso nel presente che noi attraversiamo. Vesti di un passato anomalo dove quel buco nero che attraversa il tempo ci possiede e ci consegna ad una nuova possibilità di vita inconosciuta. 13000 anni per una stella polare, gli altri 13000 ad aspettarla ancora, e in tutto questo un cielo che si ripete, notte e giorno, stagione dopo stagione, ad intervalli regolari come se tutto fosse stato sempre uguale e come se nulla fosse giunto poi da quando tutto avvenne..



Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

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