25/09/15

Clan destino.




            I muri dell' incomprensione appaiono lì, di fronte a noi, in tutti gli aspetti ed i momenti delle nostre giornate. Sappiamo che stiamo camminando, ma spesso questo accade senza che si abbia direzione, o con uno scopo distante da quello che realmente vorremmo. Nostro malgrado, o forse e' meglio dire malgrado i nostri sogni, spesso ci accontentiamo di quello che ci ritroviamo in mano, evitando di pensare a tutto quello che invece abbiamo lasciato andare via. Come se il futuro di ognuno di noi non fosse influenzato dalle scelte fatte lungo il percorso, come se ogni istante passato fosse stato assolutamente privo di conseguenze.
E invece il conto eccolo qua! E' tracciato,ed e' qui di fronte a noi, o meglio, di fianco. Come una clessidra che misura il tempo possiamo osservarlo senza che sembri mutare di un solo nulla, ma invece cambia, e ci cambia. La sabbia attraversa quell' imbuto come se il paniere delle possibilità si riducesse giorno dopo giorno, ed e' metafora di tutto ciò che noi non siamo diventati e che invece saremmo potuti essere. Fredda disamina sul trascorso mal impiegato, camminando in modo vago e alla mercé di quel che ci e' successo volta dopo volta. Direzioni prese, rinunce e spesso abbandoni.
Cos' altro siamo se non sabbia che va via? Il tempo ci disegna gli angoli smussati dei nostri errori, accantonandoli come degli appunti che conserva in un grande database chiamato "ricordi". Facciamo in modo che non ci risulti nulla, come se una formattazione quotidiana ci distruggesse il file per non pensarci più, ma poi accade che mentre stai vivendo quella situazione esatta, tutto riaffiora, e quegli appunti li puoi leggere comodamente, perché sono scritti talmente bene che potrebbe essere un lavoro di amanuense, con tanto di ghirigori e curve grafiche di pregio vero.
Nulla toglie a ciò che vive e che e' vissuto, ma la qualità, le scelte, la direzione, sono ben altro, e sono tutte cose dalle quali poi ci discostiamo durante quelle fasi spezzettate che sono le nostre giornate. Tempi come logaritmi e regole preordinate, rispettate come fossero dogmi e con dovizia militare disciplinatamente eseguiti.
Spezza la giornata, sorprendi te stesso. Abbandoniamoci all' ego e al nutrimento di esso. Meravigliamoci di quanto ci e' concesso potendolo attraversare con gli occhi di chi osserva, senza recepire o raccogliere, ma cercando, come risposta o colore, suono, musica o profumo, in tutti quei momenti dove tutto e' lì con noi e niente fuori. Amidi, brine e freddo ci danno il senso mentre un tiepido sole ci racconta di quello che proviamo. Tele e pennelli, od una penna in mano, per portarsi via dal resto e caricarsi di quel file dimenticato.
Non occorre sognare ad occhi aperti, o lasciarsi andare nel vino e gli altri vizi. "Status Mentis", idea di se, mentre attraverso l' iride riscoprono colori nuovi e aspetti mai considerati, mentre le direzioni capovolte di un solo istante ci disegnano la strada che luminescente ci indirizza e ci solleva.
Una lettura, magari di un interprete che ha visto differenti cose, di un altro tempo. Raccontandoci i ricordi suoi, senza passare da quelli dell' odierno limite che ci possiede. Soggiogati da quell' intervenuta incapacità di saper "provare", di sentire noi stessi, in quell' aspetto incredibilmente nostro che non riusciamo nemmeno a definire e che in Albione invece e' disegnato come "feel". Frantumati dalla frenesia di un nulla diffuso, che come schegge impazzite ci fa navigare in acque quiete come se fossimo nella burrasca più assoluta. I muri sono tutti lì, nelle variabili che non gestiamo e che noi non riusciamo ad accettare. Il tempo che passa: un tempo per il quale non esiste "lifting" che possa illudere. Regola del danaro e del possesso: non avremo nulla che non ci e' dato conquistare. Spazio: aerei, treni o lunghe passeggiate possono nulla se non si sa come guardare.
Fiocchi di neve obliqui discendono da questo grande schermo piatto che e' il soffitto. Esplosioni di calore rispondono a quell' umida percezione di freddo che ci avvolge. Sentire noi stessi in un contatto elettrico col resto delle cose per misurare la distanza fra di noi e le stesse, accarezzando quell' idea di vivere senza il costrutto che appartiene a terzi, scegliendo per se quella luminescente rotta che ad un buon timone si rivela infine con il nome di "destino".


Roberto De Sancti - All Rights Reserved




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