23/08/15

Isole Borromee.




         La navigazione di quelle acque placide lasciava ampi spazi per coltivare le proprie idee e svilupparle come quelle onde sotto le quali il nostro natante lentamente avanzava. Avevamo certamente trovato il vero indirizzo della bellezza, anche se rinchiuderla entro il prezzo del biglietto ci sembrava di offenderla. Essa albergava su queste poche isole che si stavano mostrando proprio ora dinnanzi ai nostri occhi. Come informazioni messe in un database incameravamo quella vista sbigottiti da quei giardini e quelle ville così ordinate, scambiandoci di tanto in tanto sguardi di misto compiacimento e di solerte curiosa incredulità. Eravamo come dei bambini di fronte ad un nuovo giocattolo che faceva cose mai viste prima, e che poteva suscitarci nuove manualità ed un livello maggiore di sviluppo del nostro intelletto. Anche gli alberi erano in equilibrio perfetto col resto, come perfettamente inserita in questa visione del complesso ci era parso anche quel drappo a due fasce orizzontali rossa e blu. La guida ci diceva che i padroni dovevano essere a casa se il vessillo era in piedi. Io fra le comunicazioni che ci stava dando, mi ero perso sull' eco di quel cognome che aveva riecheggiato nella mia mente quando lo aveva pronunciato: Borromeo. Come dei dadi tirati su di un piano, queste isole e qualche piccolo scoglio, apparivano come gemme sospese sul lago Maggiore. Ne condividevano il possesso il Piemonte e la Lombardia, ma una volta lasciata la riva e cavalcando le onde la storia cambiava. Come resina colata e lasciata raffreddare quelle isole non appartenevano a nessuno se non a loro stesse, e nell' ambra che negli anni ne era rimasta, non era rimasto rinchiuso nemmeno un insetto, nemmeno una bolla. Avevano sistemi di fontane e giardini all' italiana di cui si era andata perdendo traccia lungo il tempo. Coltivavano il terreno e le piante come se in quello stesso terreno, e in quelle piante, ci fossero spiegate le motivazioni dell' esistenza di quelle stesse isole. E non e' escluso che qualcosa davvero ci fosse in quella vegetazione. Un liquido di piacere bagnava gli occhi oramai quasi commossi nel guardare quella fiaba che stava respirando a pieni polmoni. Come una scena di un quadro impressionista d' un tratto prendeva corpo definendosi in un sogno avviluppato nella realtà, ed il lento incedere della nostra barca, e l' ormai inutile tentativo di asciugare l' iride, facevano della sua essenza tutto quello scivolo emozionato di foschia da consegnare al timido ed inquieto sogno dentro il quale stavamo navigando piano. Avrei voluto tuffarmi per raggiungere quel terreno di stella, lo avrei voluto accarezzare solo per il gusto di dire "ce l' ho fatta", ma il timore di spezzare l' incanto era tale che con riverenza mi ero chiuso in un ulteriore, se possibile più severo, silenzio. Costellazioni e sorgere del sole non son nulla se non si e' passati ad osservare almeno per un poco la magia che ci si mostra lontani dalle rive di questo immenso lago. Piccole preziose pietre incastonate in una iperbole di acqua dolce che talvolta diviene convessa altre concava, nella loro staticità sublime ci concedono il concetto di movimento come se il punto fermo dell' intero universo albergasse li di presso per poi far capovolgere l' intero liquido circostante. Aride vasche di pensieri si infilano in una legatoria di sensazioni da congelare così da poter essere portate via al ricordo e da dissotterrare ogni qualvolta si dimentica cos' e' che del bello va custodito gelosamente. Gremite pagine di gioia e pianto, solerzia immensa e generoso canto. Fugge via dal conscio accarezzando con il velo della mano il suo destino, replicandolo in immagine riflessa verso gemme sgocciolate dentro un lago che di colpo si allontana.



Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

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