10/03/15

Krill.




             Lo sguardo volge a nord, dove ci sono le nevi, e dove branchi di orche banchettano con delle otarie ricche di grasso e di paura. L' iceberg che ci passa a fianco e' solo l' ultimo dei tanti già visti passare, e la nave rompighiaccio sta per iniziare il suo lavoro. E' strano pensare a queste enormi montagne bianche come ad una piccolissima parte di quanto in realtà viene coperto dall' acqua del mare. Ancora più strano e' osservare la calma piatta di quest' olio blu, così convesso da poter vedere quasi la curva di tutta la Terra, rotto soltanto dalla scia delle onde al nostro passaggio.
Per qualche istante mi fermo su quel celeste ipnotico prodotto dal ghiaccio dell' iceberg a contatto col mare appena al di sotto il livello dell' acqua. Sospeso, come i rumori degli strappi dell' acqua sul ghiaccio, come quel fumo piroclastico esploso dalla sala motori per avere spinta nella grattugia che lo apre.
Tolgo il guanto dalla mano destra per passarmi il palmo sulla barba croccante e per asciugarmi gli occhi dalle gocce di lacrime dovute al freddo, poi soffio un pò di calore che come fumo si diffonde tutto davanti al viso per poi essere immediatamente disperso alle spalle dall' incedere sicuro del bastimento.
La fronte e' imperlata dal sudore, e' la giacca che fa il suo dovere, ma fuori il freddo e' tale da riequilibrare la temperatura, ed andandosi a scontrare col calore prodotto dal corpo in risposta congela il confine.
Alla sinistra della banchisa, in un altro pezzo di mare libero dai ghiacci, le capovolte di una megattera ci tengono compagnia, suggellando lo spettacolo con l' inconfondibile firma, quella pinna che fra un salto ed un altro sbatte prepotentemente sul pelo dell' acqua increspando come un maremoto concentrico il suo denso limite. Lo fa come fosse un enorme diapason marino che disperde e che va ad investire la spiaggia ghiaccia dondolandola e spezzandone pezzi.
Altri istanti per riflettere se quel lento propagarsi di cerchi allargati sulla superficie possa diffondersi fino al fondale, e ritorna il pensiero alle sagome sommerse di tutti quei ghiacciai galleggianti.
Sbruffano di nuovo le orche, la cavità sulla testa del cetaceo espelle polveri di liquido vaporizzato. Il banchetto e' finito e si stanno spostando verso altre prede. Sontuose, le loro pinne affiorano sul pelo dell' acqua in formazione, lente, quasi curiose, virano ed appaiono in tutta la loro mostruosa consistenza. Ci sono anche i piccoli, pachidermici esemplari dal peso imponente, difesi dal branco e tenuti al centro per essere protetti da eventuali squali bianchi, unici in grado di trasformarli da predatori a prede fin quando cuccioli.
Cammina la rompighiaccio, tracciando il suo percorso con l' ausilio del GPS. Al capitano e alla sala comandi il solo compito di identificare eventuali pericoli o protuberanze ispessite della superficie ghiaccia. Abbiamo tempo eterno per perderci in questo immenso cosmo blu e bianco, mentre la colonna sonora e' dettata dal fruscio di un vento magnetico e dallo scrocchio della via che si apre. All' orizzonte timide si affacciano le sagome di monti glaciali, la meta dove i ricercatori che stiamo portando potranno dare il cambio a quelli che vivono lì oramai da sei mesi.
Quello che ci aspetta e' ancora altro bianco, ma con la consapevolezza dell' immenso blu sotto la superficie, con tutta la sua vita ricca di cetacei, leoni marini, pesci e minuscoli crostacei: il krill, come lo chiamano i norvegesi, luminescente base della catena alimentare delle balene. Queste grandi bellezze del mare, inconsapevoli, sinuose danzatrici di un' eleganza quasi commovente nel loro elemento.
Si, perché e' questo il posto dove i cetacei vengono a mangiare. Approvvigionandosi del grasso e della forza necessaria per varcare le porte del nord e trasferirsi in acque più miti per dare alla luce i loro piccoli, questi mastodonti fanno incetta dei minuscoli crostacei, che come infinite gocce di brillantina accendono le immense pareti di acqua come fossero lucciole nella notte. A passare sono megattere e capodogli, con le loro fauci spalancate e pronte a spegnere il passaggio. Tracciano, come fa la rompighiaccio, ma anche altri pesci partecipano al banchetto. Le eleganti mante, le aquile di mare, che col loro dolce rimbalzare disegnano correnti nuove nel liquido, poi il pesce azzurro e gli squali balena. L' apparente staticità della superficie cela in realtà una marea di vortici e combattimenti alimentati dal desiderio di sopravvivenza, dove intere specie si affrontano non per vincere, ma per resistere, e come gli iceberg, rimangono ignoti e silenziosi salvo le rovesciate dei più grandi sulla superficie dove la schiuma insanguinata dei duelli si poggia immediata quando appena conclusi.
Maree, acqua gelida, il calore di quei corpi in lotta, gli spruzzi ed i ripetuti attacchi, spirali di morte e di continuazione, trionfo del delirio e dell' estremo movimento sepolto dentro le sembianze di una normalità apparente. Dove la superficie e' quiete appena intaccata in realtà un fuoco sottomarino disperde energie disseminandole nel luccichio di quelle vaste distese di krill.
Clessidre di luminescenze trascorrono passando da banchi di pesce azzurro a mostri delle valli marine. Grandi distese di fluido attraversati da scosse e turbinii avvitati. Altro fluido ai miei occhi non mi impedisce di vedere cosa accade, ed il vento e la neve fitta che cade ghiaccia al contempo può nulla. Come se avessi la testa immersa in quelle gelide acque li immagino, li sento, quasi li spio, oltre il confine della mia vista nella profondità molle di un abisso acceso mi affondo, confondendomi per liberare la coscienza, vedendo gli stessi iceberg capovolti in tutta la loro magnificenza.
Cattedrali di natura gelida che hanno messo le radici nell' aria, mentre quel krill e' strano polline che vaga sospeso alla mercé di venti e cacciatori. Predatori e prede in un' aria capovolta, spazi di oblio e marasmi incontrollati, il tutto scrutando la silenziosa danza di enormi pachidermi che come libellule disegnano tracciati raffinati di muta ovatta fino a che sazi non abbandonano il campo per andare a riposare altrove.
Onde e schiuma, altro ghiaccio. La banchisa diffonde il suono di un fruscio indisturbato che sulla superficie musica pian piano, quasi come fosse un lamento, quel lamento per non poter assistere agli eventi delittuosi che sott' acqua violentemente si susseguono.
Torno in me, fuori dall' acqua, dove sono sempre stato e sulla nave. A volare via la mente, a volare via le sensazioni, quelle solite percezioni del volume, come pressioni, come intenti. Porto i miei occhi laddove i miei occhi possono vedere, dove tutto ciò che e' si assenta per divenire quel che sento. Porto a passeggio la mente in vallate d' acqua ricche di alberi ghiacciati, dove pulviscolo alimentare viene devastato per garantire ad uccelli marini ed insetti blu e argento di tornare ad essere. Vìola gli ingressi ed i cerchi, vìola spirali ed ellissi, spezza le onde concentriche e pilastri subacquei si avvitano. Ritorno a guardare quell' olio convesso che tace, altra pinna che sbatte sul pelo, altri cerchi che si propagano. Ma certo che arriva al fondale, il diapason ha rintoccato, ed il suo suono e' giunto fino al centro di me stesso dal profondo del blu elettrico, come un impulso primordiale che ricorda tutto quello che ora vedo.  


Roberto De Sanctis - All Rights Reserved


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