10/05/15

Quando manca il fiato.




    A piedi nudi sulla sabbia, e con il sole in fronte che come fuoco ci socchiude gli occhi. Varcare e' scalare ed una porta ancora da scoprire già si dissolve dal madido sguardo come fosse un' oasi. Miraggi di un concreto lontano, dove magnetismo salta e febbri improvvise avvolgono per far bruciare e rendere la bocca asciutta. Fragorose urla si diffondono accasciati al suolo su di un nuovo monte che si affaccia. Un' altra cascata di sabbia riflette quello specchio in uno specchio nuovo mentre gli occhi ormai vitrei sembrano mescolarsi alle idee confuse di quell' oasi apparsa per caso.
Costretti ad asciugare la fronte con l' ultimo lembo di tessuto rimasto asciutto strofino bruciando gli occhi al sale ed il sale all' ultimo liquido che sgorga dalle mie pupille che non sia sudore.
Esattamente come quella lacrima e' il respiro. Lo sento ansimare come se si protraesse verso l' esterno da me, poi guardo gli altri e noto che per loro e' lo stesso. Come un' aura nuova che si divide, come il fumo del calore si diffonde, dal corpo espelle solitudine per ritrovarsi annebbiati insieme. Perso l' Oriente, persa la lucidità. Andata via la forza riconosco adesso esattamente la sagoma delle ginocchia, e chinando il capo per fuggire qualche istante da quel sole che mi scoppia, mi accorgo della pressione esercitata su quel monte e in un momento osservo una lucertola correre via per poi trovare del ristoro in una buca scavata sotto sabbia. Invano all' orizzonte cerco alberi, e quell' oasi persa non si lascia ritrovare. Dalla borraccia scivola via quel brodo caldo che un tempo mi sembrava fosse acqua, e un' altra volta la mia mano che attraversa col tessuto dentro il palmo la mia fronte per detergere i capelli di sudore. L' occhio osserva ed un attimo prima di rialzarmi punta il sole. Gli altri come me sono oramai claudicanti e stan sfinendo sotto i colpi di quei gradi che bruciano le pelli. Via! Ripartendo fino ad una nuova rampa di sabbia che si dilata ad ogni passo. Corre la lancetta della vita e tracce di passaggi rettili ci innervosiscono. Non siamo bestie pronte a resistere a lungo in quegli ambienti estremi, ed il sollievo di una notte che arriva si può facilmente trasformare in un oblio di specie di animali cui possiamo fare da preda prelibata. Ad uccidere non e' solo un predatore ma spesso una puntura di un insetto, quando lo shock anafilattico non ci possiede per il morso di un serpente che ci dilania dentro terribili agonie. Nessuna roccia e tutta sabbia per clessidre. Una vasca immensa che raccoglie il tempo di tutti e lo spazio di tutti i tempi. Mentre vomito calore e cuocio lentamente il bordo di un crinale di una duna cede e rotolo evanescente verso l' altra ala di quel sabbioso monte.
Come scivolando ingoio sabbia e allora gli altri credendomi svenuto mi raggiungono con un ennesima spinta di inerzia fisica per cercare di accudire un loro compagno. Non sono morto, ma credo ci manchi poco e in quell' istante il circolo che vedo intorno mi copre il sole e per qualche istante mi da sollievo. Le fessure dei miei occhi sono oramai due linee con uno specchio all' interno, che ad ogni tentativo di dilatare le ciglia si serra dietro ombre e luminose cupe nubi. Sono invisibile in un sol punto, svengo e non ricordo più quello che accade, e in una storia simile al buon fine di una scena all' epilogo credo di abbandonarmi ad una leggerezza ignota. Sospeso sopra le teste dei miei compagni come un drone osservo loro e me sdraiato ancora, ma e' come se non mi interessasse, e da quella clessidra inghiottito io mi accorgo che per me e' finito il tempo. Sciolgo così le riserve e più non sento il calore, nulla può più mordere o divorare e il solo elemento che distingue chi va via da chi rimane ancora e' quanto messo in mezzo fra il primo vagito e l' ultimo respiro, poco importa se il calore o il ghiaccio lo accompagnano nell' istante in cui saluta.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

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