20/05/15

La compassione.




       Lessi le ultime righe di quel libro con un umore sadico. Mi sembrava parlassero di me e nell' epilogo mi preoccupai di rendermene distante almeno un pò. Mi ero sempre calato nelle mie letture isolandomi dalla realtà, pertanto era abbastanza consueto che mi sentissi spesso toccato intimamente dalle parole dei vari autori che avevo deciso di leggere, ma stavolta era successo qualcosa, e quel libro, sebbene fosse ambientato alla fine del tredicesimo secolo, mi aveva dato l' impressione che a vivere quella vita fossi stato proprio io. Ho sempre avuto una posizione piuttosto ambigua sulla reincarnazione. Da buon cristiano avevo subito un retaggio culturale che mi spingeva a massimizzare le mie riflessioni spirituali spalmandole nella vita e dovendone trarre beneficio nel lasso di tempo intercorso fra la nascita cerebrale e lo spegnimento delle velleità della mia mente. Il resto era lasciato al caso, a quel fato che usiamo chiamare Dio o destino, ma questo fatto della rinascita possibile, della vita nei cieli, mi aveva sempre convinto poco, anche perché facevo spesso i conti con dei deja-vu che mi facevano pensare che alcune cose io le avessi davvero già vissute in altri tempi. Quella volta era successo lo stesso.
In quelle righe anche l' odore della carta era diverso, sembrava come fosse impolverata. Un sapore antico permeava la lettura, mentre avevo smesso i miei vestiti per indossare un saio da frate ed una corda. Vagavo scalzo per dei luoghi al centro di Enotria, fuggendo da una consapevolezza e rimediando ogni tanto qualcosa da mangiare. Delle volte lo avevo anche rubato, e sebbene io sembrassi un frate non dovevo esserlo. Nel libro il vino aveva un sapore molto diverso, e l' acqua dei ruscelli dove mi chinavo per bere era molto più buona. Osservavo le piante e pensavo a grandi possibilità, intorno la vita non era molto diffusa, quella umana intendo, e a parte qualche stalla e qualche cavaliere incontrato di rado, avevo attraversato rigogliosi campi dove intere famiglie erano intente alla raccolta, ma nella gran parte del tempo soltanto la natura era esplosa, e rimanevo li a guardare quella sublime scena che come un dipinto mi si affacciava agli occhi.
L' Inverno era trascorso e non ne ricordavo alcuna traccia, accarezzavo i germogli al fianco dei sentieri che percorrevo, smettendo di apprezzarli solo il tempo in cui mi discostavo ricacciandomi nella radura o nei boschi quando si avvicinavano estranei viandanti o quando sentivo giungere cavalli. Mi ero spesso fermato a riflettere, ed in quei momenti i miei occhi filtravano i rami degli alberi fissandoci il cielo attraverso, per qualche istante la mia realtà tornava ed a sua volta mi sembrava essa stessa un deja-vu su quello che stavo vivendo in quella lettura.
Come corde di cappi i rami di un salice piangente rigoglioso piovevano tutto intorno. La mia schiena poggiata sul tronco beneficiava di tutta quell' ombra ed avevo acqua a sufficienza, ma i morsi della fame si erano fatti sentire già da tempo. Fu in quel momento che, preso dai rumori dello stomaco, osservai quell' albero in fondo alla scarpata. Quelle sfere perfette, luminose, mi rapivano, interrompendo l' ordine delle gradazioni di verde che quel palco sotto il salice mi aveva offerto. Scostatomi dal fusto e da quell' ombra, curiosamente avevo cominciato a scendere per raggiungere quei dolci frutti. Scorsi una strada aperta, dove l' erba calpestata dal passaggio dei cavalli aveva iniziato a seccarsi. Avevo premura di non fare rumore al passaggio, e per la verità, anche se non avrei dovuto interessarmene lo consideravo necessario. E ci riuscii, silenziosamente scalzo mi avvicinavo verso la mia preda. Sarà stato il sesto senso a farmi riconsiderare ancora una volta che una freccia scagliata può uccidere, fatto sta che mi voltai ed a sinistra si stanziava un brigante vestito di tutto punto. Lo guardavo e per pochi istanti lui fece lo stesso, poi corse verso di me ed io per riflesso cominciai a fuggire nella direzione opposta. Percorsi una ventina di metri e le urla del brigante da feroci si interruppero immediatamente. Voltandomi una nuova volta io lo persi, allora camminai perché sentivo i suoi lamenti. Mi affacciai in una parte di campo dove il fieno sembrava interrotto. Effettivamente una buca di erba faceva da alcova al suo corpo supino. Aveva la testa sfondata e perdeva del sangue, mentre guardandomi appena prima di morire per la gravità della ferita sembrava volermi dire qualcosa anche se rimaneva muto. Degli scatti gli facevano muovere la testa e la bocca senza che il suo volto perdesse l' espressione terrorizzata. Era assolutamente consapevole del fatto che stesse morendo, ed agonizzante ai miei piedi proseguiva questo flusso di movimenti intermittenti. Cercavo di comprendere come fosse potuto succedere mentre il terreno si inondava del suo sangue. Vidi una pietra e due persone che salivano verso di me da quella pianta dai sui frutti ambiti. Io li guardai, poi guardai lui. Domandai loro: "perché lo avete fatto..." e loro mi risposero in una lingua incomprensibile, fatta di primordi e antichi suoni. Tornai alla mia carta ed al profumo, ai miei vestiti ed alle sensazioni tattili, fra le mie mani ritrovai quel libro e quelle righe. Buttando l' ultimo sguardo a tutte le pagine già sfogliate compresi che la storia del brigante era la mia, com' ero io quel frate scalzo. Avevo attraversato il tempo per rinascere in un altro e morirvi ritrovandovi quel senso di giustizia oramai perso che porta un individuo a tentare di difendere Caino.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved




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