15/08/14

Slainte Ma.



      La nebbia fumo in una serata tarda di Febbraio, un freddo schietto attraversa questi panni fino alla pelle ed alle ossa. Non si vede nulla oltre i due palmi dal naso.
C' è neve a terra, ed un brivido, prima che il mio sguardo si posi su quella lanterna che come una lucciola intermittente cade ed aumenta di intensità alternandosi come un noioso scambio di Tennis.
Quella locanda contiene rumori invitanti per un viandante gelato che riesce a vedere ormai poco.
I ciottoli umidi sotto le scarpe danno al mio passo un nuovo incentivo verso quelle luci di vetro e di legno che cominciano a delineare sagome oscillanti e rumorose. Brindano e parlano nel mentre che mi avvicino, brindano e ciarlano.
Si apre la porta sotto l' ultima spinta delle mie braccia serrate al ferro circolare, il cigolio di un legno vetusto accompagna il mio ingresso in una bolgia di calore che mi accoglie. Oltre l' uscio la porta richiude, e lo stesso cigolio che mi ha accolto mi accompagna l' entrata.
I volti più prossimi tacciono, altri si voltano curiosi, per il resto rimane tutto normale, perfino quel suono: il rumore.
La prima sensazione è il calore. Un getto di aria calda come quella che si getta via da un phon mi travolge, fino a farmi bollire il collo e ad imperlarmi la fronte di strano sudore. Immediata è la messa a fuoco verso tutti gli oggetti, verso tutti gli astanti.
E' da molto che cammino, è da molto che il freddo mi accarezza fino a rendere il mio volto e le mie mani cristallo, come porcellane da battere a terra. Una rapida  panoramica mi fa individuare il luogo dove la birra è alla mescita, e con una certa concretezza mista a voglia mi dirigo proprio in quella direzione, come una passerella di modello assetato.
Lothian Road offre molto a chi lo sa cogliere e quel pub è pieno di gente anche se è giunto l' Inverno. "A pint of Tartan", chiedo da bere nella sua lingua, ma lui mi osserva strano, quasi incupito; "A pint of Tartan" ripeto, "please", e il suo "what" mi disarma.
"Ce l' ha con me" mi domando? Perché? Cosa c' è che non va? Mi avventuro in un "this one" indicando col dito la spina che voglio provare, un gesto risolutore che mi da la conferma di quanto la scuola possa ben poco contro la pratica e la quotidianità. Letteralmente la risposta che ricevo è: "Ah, Trn!", un suono gutturale che evidentemente per l' oste significa Tartan, ed inizia a spillare.
Liquido che si tuffa nel liquido. Una schiuma gentile per la mia pinta a forma di casa. Le mura il suo vetro ed assaggiarne via via le sue stanze, un gusto sublime.
Evaso il pagamento torno a voltarmi dopo attimi in cui sono stato via da tutto. Quelle stesse espressioni che in principio mi hanno accolto osservandomi adesso toccano ad altri avventori. Il mio posto è li, vicino alla stufa. Ho abbandonato i miei panni pesanti, ma i piedi ricordano bene il freddo all' esterno.
Un brindisi a me! Ed il primo sorso va giù come fiele, ma subito accende lo stomaco ed un moto di calore si dirige verso la testa. La mia birra è iniziata, ed in modo quasi automatico mi ritrovo ad essere parte di quel pendolo che sono i presenti mentre altra gente attraversa l' ingresso.
Meccanico il cigolio, meccanica e a tempo la torsione di numerosi colli avvolti in foulard come indossa Mancini, geometrico il disagio di chi entra, subito rotto dal cigolio di ritorno della porta, e di nuovo al bancone...si ripete, poi ancora ed ancora una volta.
La birra, unica mia compagnia di viaggio, mentre un nuovo cigolio annuncia altro ingresso, ma stavolta la faccia mi è nota, come è nota la scelta perché già percorsa.
Ciò che  è ignoto è osservare il suo volto che poco tempo prima è stato anche il mio. Lui non mi vede, io non lo chiamo. Voglio scrutare le sue reazioni al disagio, ma forse voglio vedere in lui il mio disagio.
Tutto da copione, entra, va al banco, qualche attimo per decidere cosa bere, si volta, cerca, ma stavolta lo chiamo, ed è li che l' espressione si scioglie e si viene a sedere.
L' amicizia e una birra è tutto ciò che serve in un luogo straniero dove le persone non ti capiscono. Un unico linguaggio universale la bevanda, una unica forma di sperimentare simposii come se in Italia fosse vino, ma col gusto antico di quella pietra e quel legno che insieme a quella fitta nebbia che qui chiamano "fog" rende il tuo tempo più affascinante, come se fosse attraversato da uno spazio che rimane sospeso.

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