17/08/14

Il dubbio di Malachìa.



      Fluido inchiostro che scorre e schizza sul papiro. Il silenzio di una sala quasi buia dove una candela fa le veci del sole. Vani enormi e silenti dove si perde l' ordine del tempo e giorno e notte non hanno più alcun valore. Restano soltanto i tempi della preghiera degli altri monaci a dettare i ritmi di giornate che si rincorrono con sempre maggiore bramosia di finire per poi ricominciare. Dalle storie ai dogmi. Dalle poesie ai racconti. Una perizia quasi commovente si mescola alla evanescente forma e alla volontà di uomini chiusi, vestiti di una tunica e cordame, volutamente poveri nel contrasto del freddo e delle difficoltà. I lacci dei sandali e le pelli premono sul terreno che quando molle li risucchia e quando fermo fragrante li respinge. Poi l' erba, con la sua umidità. Canali scavati e l' acqua si porta da se verso gli orti. Ma tutto resta medesimo nelle buie stanze. Ancora inchiostro che scorre e schizza e nuovi papiri da colorare ordinati con una maiuscola attenta ed una metrica rigorosa. In quelle penne di uccello, in quelle curve il colore si imprime per sempre. Quelle lenti che quasi non servono, ogni tanto qua e la un manoscritto finisce ed è pronto per la rilegatura. Altri monaci osservano. Sono gli anziani e le barbe confermano. I mastri dei maestri, o i maestri dei mastri. Rigorosi quanto i primi rileggono, contestando ogni minima imperfezione agli autori, ma tutto tace, quasi sempre tutto è perfetto. Cenni di apprezzamento e quelle barbe bianche dondolano come zucchero filato che se ci fosse un bambino li morderebbe. Ma il tempo che un anziano apprezza il lavoro è già per lo scrittore impiegato per ricominciare. Giusto il tempo di stropicciarsi gli occhi, alzarsi un po' e sgranchirsi le ossa, fare due passi e un boccone, e una nuova pagina scorre sotto le braccia sul legno del tavolo antico per ricominciare.
Stavolta una poesia, e non è un caso che a scriverla sia Malachia. Un frate dalle linee perfette, come perfetto è il suo essere frate. Scelse per un periodo di vivere senza sandali, scalzo come nostro Signore diceva, ma con le mani sempre coperte, serrate da guanti di lana dai quali sortivano appena le estremità delle dita. E meno male...chissà cosa sarebbe stato del suo dipingere la calligrafia se solo avesse trattato per quel periodo le sue mani e non i suoi piedi.
Malachia ha lo sguardo consumato dal tempo, ma la sua penna è un' arma nelle mani del monastero, dei suoi moniti, dei suoi voti. Egli fa la doccia al fiume, dove l' acqua è fredda e corrente, non vuole la vasca e non ha fuoco per scaldare l' acqua. "Niente regali" afferma, come nostro Signore, e se qualche raffreddore in più rispetto agli altri, pazienza, c'è sempre la tolleranza dei fratelli frati calligrafi a sopportare qualche starnuto, ma la sua opera non conosce sosta, e volta la pagina come fosse giornate intere, settimane. Ma settimane sue, giornate loro, dove non esiste giorno e non esiste notte, dove il ritmo delle scritture è rotto soltanto dalle 5 preghiere del giorno. Malachia prega in silenzio, anzi sussurra. Riflette e considera, mal che vada pensa. Costruisce la sua sapienza dentro le semplici cose che gli succedono, e plasma, forma il suo sapere al cospetto di quel che non vede: il giorno e la notte. Uno studio costante del suo animo, la reazione agli scritti e a quel che legge. E' scritto da altri che lo hanno pensato prima di me. Propaganda od esperienza? Malachia si domanda. Vorrà nostro Signore che lui si interroghi su quanto legge? C' è spazio per il dubbio nei fiumi del sapere? Volta pagina è una nuova regola lo impegna su forme perfette di temi discutibili. Forma, volume, tempo, ritmo. In buona sostanza variabili. Interpretazione o dogma. Dubbio o certezza.
"Appartengo io alla certezza" si chiede, od è più cristianamente plausibile il dubbio. Non un dubbio sul Credo, ma domanda, alla quale già altri hanno dato risposta. Ma vorrà nostro Signore? Ripensando all' umiltà che lo contraddistingue, finendo un periodo nuovo su quella pagina nuova, Malachia poggia la penna, si alza e va via dalla stanza. Passando nei corridoi del monastero incontra un crocifisso con nostro Signore, un inginocchiatoio è li per lui, per la sua preghiera. Un Pater Noster, sibillino, di nuovo mormorato più che detto, poi, dal basso all' alto, uno sguardo e un sorriso. La Ragione non è mai terrena. Certo dei suoi dubbi, Malachia si alza e prosegue verso l' esterno del monastero, non prima di essere passato a controllare il suo orto. Le verdure stanno bene, e non lo sanno. Le confetture sono li, come la birra ed il vino. Il pane cuoce nel forno ed il frate fornaio saluta. Malachia tira il portone verso l' interno, quel legno spesso si muove cigolando, lui accompagna il suo corpo verso il fiume, si denuda ed entra nell' acqua, gelida come sempre. "Fuggi me dalle mie certezze" esclama "e fuggi tutti i miei dubbi da me...", "sono un servo del Signore nostro e se vorrà risponderò coerentemente a ciò che credo, se non vorrà sarò il suo sbaglio che non ammette certezza".
Sogna Malachia che tutto sia per il Signore nostro. Malachia vorrebbe che davvero tutto fosse come è ora, però nel fiume lui non ha l' inchiostro.

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