22/06/15

Venezia.




       Lamina di metallo e fiele corre fra le stringhe di un frammento rotto e in un sussulto nuoce fino a consumarne il vano dove tutto lo spezzame era riposto. Baie di mari torbidi ed ametista luccicano fra le crepe onde di una sensazione pronta a tramortire con la violenza di un solitario scatto. Nervi fremono fino a condensarsi in una esplosione di vapore che scioglie voragini di polimeri come ritratti al calore vivo della fiamma. Forgia il suo guanto nero e assaggia, come fosse lava, il cuore di vetro di un cavallo alato appena concepito, mentre uno sguardo annebbiato si rivolge a quella gondola che lo attraversa come uccello che si poggia. Via la maschera da una Venezia mattiniera, umida al punto tale da moltiplicare il caldo di quel forno acceso. Botte che si susseguono dentro la cavità che genera sapientemente opere d' arte addolcite nella fluida abnegazione, argini e metalli seminano lentamente il soffio e si propagano con l' esperienza di un metodo testato mille volte ed altre mille ancora. In tutto questo le scintille ed il pulviscolo che giorno dopo giorno rendono carbone il luogo che riposa sopra al mare scuro.
Fiotti di calore espulso dalle membra e quella gola che si infuoca soffia ancora per un altro encomiabile prodotto che delizia, giardini di vetro e mastice fra fluido fuoco versa nello stampo il cuore e la passione di un sol uomo che lo scarta. Adoperare il magma per raffreddarlo e cingere le gocce asciutte, immaginando che l' ardesia di quei muri crollati fosse ancora tutta lì. E quanti tetti e quante altre cose celate, coperte da quel raffreddamento necessario per non bruciare gole e ribollire il sangue. Criteri di fiamma e antagonisti naturali si ispessiscono al di sopra di un livello dove liquido ed ironico riposa il padre di quell' ossimoro che e' abitato. Sospesa e cara Venezia, nella sua unicità terribile e al tempo stesso sontuosa. In tutta l' opera di un mastro si offre all' intruso e a chi la spia con tutta la sua equivoca natura. Vie d' acqua ed alberi di pietra gli edifici, mentre il contorno sono isole di vetro dove appassionati solcano quell' angolo di mare gelido per giungere al sublime scoglio del creato e del mistero. Foschie come le strane vie di un' umido delitto, anima di un controsenso fra le righe di una nobile dottrina. Maschere di nuovo lì, tutte a raccogliere il non senso di una vita capovolta di laguna. Scempio ed ironia assiepati fra le curve di un vestito buono, ammicca e quello sguardo si dissipa in un istante, mentre l' abile mano della signora "non so chi" tiene elegante quella stecca che sorregge l' otto di raso con i fori per quegli occhi di promessa.
Il maniscalco batte preparando l' ennesima cavalcatura mentre il fabbro ha il suo martello fra le mani e forgia, ma il mastro del vetro rimane ad incarnare l' anima di una Venezia triste, madida di lacrime e di calore che e' disperso. La gondola che naviga e' la forma ma il contenuto si annida fra le polveri di un soffio stanco dentro un nuovo recipiente che si gonfia e si raffredda fra quei rii di silicio bollente che da mescola di fuoco si deposita sopra il terreno di quell' officina incandescente.
Via la maschera Venezia! E il Carnevale che e' finito annuncia la tua ricca e borghese preesistenza, abbandona la voce delle piazze e si rintana dentro gli angoli di un cupo e derelitto abitato fatto di capanni e malattie virali, dove un dottore sta tentando di salvare ancora vite da quell' umida realtà.


Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

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