04/04/15

Muri dinamici.




            E' una ripida parete quella che compare di fronte. La roccia e' friabile ed il cammino e' insicuro, ma devo tentare e se fallisco rischiare di nuovo. La guardo, e cerco di esplorarla stando fermo, scrutando gli appigli e creandomi un percorso che sia per lo meno il più sicuro possibile. Ripasso a memoria più volte la strada trovata e trascorso del tempo decido. Allora il primo piede si fa coraggio e con esso le mani. Aggancio la parete tenendomi e fermo la punta delle dita dentro una vena aperta, sono in tensione ed e' a quel punto che provo a sollevarmi spingendo sul piede d' appoggio. Ce la faccio, riesco a salire di un passo, e' la volta del secondo piede. Si fissa in un buco mentre il primo spinge, la mano accompagna e la seconda cerca un appiglio. Adesso sono in salita, un passo e una mano che aggancia, poi l' altra mano e ancora un passo. Non voltarti, non guardare giù mi ripeto, eppure sto salendo da poco. Vertigini e vento. Continuo ad arrampicare quella parete, che grazie a Dio, non e' perpendicolare al terreno in tutti i suoi tratti: sono una decina di metri e rifiato, evitando comunque di osservare la strada percorsa. Mi ripeto che guardare in basso non serve, ma la tentazione di voltarmi e disattendere esiste. Ad ogni passo aggiungo altezza, ad ogni passo schiaccio il trascorso come fosse perso per sempre. Attenzione totalmente dedicata a quello che sarà, pensando che sbagliare potrebbe voler dire tornare all' indietro se non morire. Torrido sole asciuga il terreno e giova, anche se il sudore rende gli arti madidi per lo sforzo. Qualche anfratto può nascondere serpenti, e in generale le difficoltà hanno un volto lugubre e aggressivo, ma ci sono, nel pieno delle mie forze e pronto alla creazione, perché reazione vorrebbe dire perdita del contatto col terreno. Ossa e tendini, muscoli e la vista volta verso il cielo. Nubi lontane e azzurro pastello, luminosa cornice e tarlo nella mente quel pensiero di arrivare in cima. Ciottoli cadono e li ascolto soltanto. Il passato e' messo alle spalle, non tornare sui passi già fatti ripeto di nuovo. Corde di legno e rami, vegetazione fitta ed umide foglie. Soffia la polvere via dalla pietra mentre un fischio sinistro scorre su tutta la parete. Quota, sale la tensione e il punto di non ritorno giunge lento, quando sono ormai un ombrello pieno d' acqua che ha drenato liquidi fino agli indumenti, rendendoli aderenti alla mia cute e facendoli graffiare fino ad arrossire la mia pelle a ogni torsione.
Impossibile riscendere non resta che riprendere quel fiato andato via. La posizione e' scomoda, ma almeno sono in sicurezza, mentre do tempo al vento di mentirmi col sollievo del suo soffio su quegli indumenti che si asciugano veloci. Ali di sale sul tessuto, maglia intrisa di sudore asciutto e ho di nuovo il tempo di partire. Mancano gli uccelli che sospesi in quel vento osservano l' intruso. Spero non abbiano a trovare il loro nido sulla strada, e ascolto i loro versi per capire se una traccia e' da evitare.
Come asciuga il tessuto, un sorso d' acqua e la mia mente si rigenera. Ho fastidio di vestire, e sono pigro a ripartire, osservo ancora la parete convincendomi che il prossimo sarà di nuovo un altro primo passo. Serro e sorretto dalle braccia punto, e mi sollevo. Nuoto oramai nel vento di un muro musicale, ascoltandone le fessure e riscoprendo nuove piccole complessità mi riavvicino e vedo quello che non poteva non sfuggire da distante. Crepe e ciuffi d' erba fluttuano sotto le forze di quell' aria che di mite adesso ha solo un timido ricordo. Franano polveri e piccoli sassi sotto il suo incedere, come se mi scrollassi dei miei ricordi insieme a quel muro. Ciottoli rotolano in fondo e giunti al piano ascolto solo un piccolo rumore. Aliti per cui non ho tempo, salgo ancora, passo dopo passo, appiglio dopo appiglio, mirando quella cima che comincia ad arrivare. Altri umidi istanti e la sudorazione torna folle, impedendomi a tratti di vedere. Sono in alto e la parete di trenta metri che ho camminato mi consegna un altro punto dove fermarmi a riflettere e riposare. Non guardare Roberto, non guardare! E invece gli occhi mirano col capo volto al panorama che mi appare. Per poi riscendere, ed e' a quel punto che mi attacco alla pietra come fa un bambino con la propria madre. Ho visto quel che e' stato e se non fossero le vertigini ed il timore dell' altezza a ricordarmi la strada percorsa sarei sufficientemente incosciente da pensare che non e' servito. Adoro gli istanti in cui mi fermo a pensare, e adoro ancor di più quegli istanti in cui metto a frutto il ricordo. Elimino comprimendoli quelli privi di significato e i passi fatti in un istante appaiono, svelando le venature nella pietra ed il bruciore dei miei muscoli per sorreggermi mentre la salita incombe. Violate le barriere fra il passato e quell' istante comprendo il vento, lo sforzo e il muro stesso, annidandomi nelle mie idee e vedendo quella ripida parete come un semplice percorso, fatto delle sue difficoltà che si offrono a me per arrivare in cima voltarmi e far tesoro della strada fatta per affrontarne una nuova più difficile ed in grado di permettermi di vedere sempre meglio oltre i miei occhi.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved




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