15/04/15

Glen Coe.




     Croste e nubi cupe su quelle montagne. L' ardesia lucida fa scivolare l' acqua come fosse un tuffo e quella grassa erba gialla invernale la accoglie in timidi ruscelli che poi si gonfiano fino a divenire fiumi. Il terreno ne e' intriso al punto da far cristallizzare gli alberi caduti, donandogli così un aspetto lunare e di colore argento. Un branco di cervi attraversa la strada, e tranquillo, fuori dalle rare macchie di alberi bruca e mangia dove e' possibile, e dove quel ghiaietto scuro si mescola al prato, e che lo fa mangiare.
Resto fermo a guardarle come se fossi di pietra, rispettoso o rapito non so, ma in quelle montagne io vedo uno specchio. Mi interrompe la mente soltanto il rumore dell' acqua che continua a cadere. Ampia valle e cascate a migliaia, rigagnoli di luna che precipitano in quella conca per suggere dalla terra e ritornare al mare. Nevi alle cime e trekkers che si avventurano coi loro sacchi e con i loro bastoni. Strepitose potenze ed esplosioni muscolari di acido lattico e fatica. Li osservo come fossero alieni e per un istante considero di esserlo io, fatto sta che agli occhi miei le tre sorelle mi paralizzano.
E' così vicina e nitida la cima del monte, e poi il secondo e la terza, arriva la vena e la gola mi inghiotte gli stati d' animo facendomi soffrire del suo vento e del suo puro movimento. Un inno alla staticità perenne, all' immobilismo. Devastazione sublime degli intenti e feroce senso di abbandono.
Sto bene in quello specchio, e in quello specchio osservo, fino a comprendere l' infima dimensione di un essere e di tutte le sue volontà al cospetto di cotanto trionfo. Gobbe di neve e cumuli ammassati, una lingua di asfalto dove si può dormire, le vene di roccia spezzata per far posto alla forza dell' acqua. Accompagna la mia solitudine l' essenza di quel terreno coperto, molle come zucchero filato accatastato sulle brine e sui cristalli. Più avanti una valle nuova incontra la base di una pietra lucida, volta lo sguardo ed il raziocinio si perde nella campana del non ascolto. Come immerso nuoto in quel vento, mentre la traccia minima di ciò che sono si disperde sganciandosi da me come del fiato perso. Smarrire e ritrovare per poi lavarsi la coscienza da quell' inutile tentativo di resistergli. Sommerso, distrutto, soggiogato e livido, quella bellezza spezza da non sentire più le mani. Ardesia anch' io in altra ardesia mi fondo, prendendomi le gambe dal terreno forgia e pianta il seme di uno statico reagire. Immobilizza ancora fino a poter sentire la montagna in me quel tanto da poterne avere nostalgia quando mi lascia.
Per un istante ardesia. Per un istante ancora e quello dopo invece torno alle mie cose, e a dozzinali aspetti della vita umana, avendo la costante sensazione di vedere oltre il sipario di una scena senza sapere che il soffitto che gli piove e' tutto ciò che abbiamo fatto a pezzi dall' interno. Come bolle di sapone colme di miopia e come bollenti acque sulfuree tracciamo il disegno di un pianeta in un istante senza osservare da un lontano mite angolo che quella luna e' chiusa in un granello di una sabbia bianca di una spiaggia intera messa li per noi.
Evoco gli avi in uno spazio temporale mistico chiedendomi soltanto se l' accesso a quella porta di infinito sia stata concessa solamente a me. Misuro il mio egoismo sperandolo e beandomi di questa mera possibilità per poi lasciare ancora spazio a quei granelli ed accorgermi che una nuova onda di gelida intensità torna a travolgermi nell' animo.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved



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