15/09/14

Una vita.



   La nave era salpata da poco. Mi avevano detto che a poppa l' effetto del mal di mare si sentiva meno che a prua. Ascoltando questo consiglio mi ero spostato lungo la parte finale del corridoio in basso. Vedevo la terra allontanarsi piano piano, ma la mia attenzione era rivolta a quei gabbiani che ci inseguivano prima, e alle immense onde schiumose prodotte dal nostro passaggio. Rimasi in silenzio in questo mio quadro pastello, mentre il rumore del mare riusciva finalmente a vincere il chiacchiericcio dei compagni di viaggio che si era andato via via placando.
Le 17.00 sono una buona ora per partire. L' aspetto più importante e' prettamente di carattere estetico:  il fatto che se il tempo e' clemente si può osservare un bel tramonto, quando sei in mezzo al mare i punti cardinali perdono importanza, da una parte o dall' altra il sole sta scendendo all' orizzonte e contribuisce a dipingere quella splendida magia che affiora negli occhi. Quale modo migliore per iniziare un viaggio...? L' altro di carattere pratico. Affrontare subito una giornata intera di mare non ti permette di prendere le misure per bene alle scottature, quelle due, tre ore di sole tardo ti fanno capire se il cappello basta o ci vuole la protezione massiccia di una crema. Un problema e' quindi posticipato al giorno dopo.
Finendo per accogliere il freddo umido di una sera che arriva, quando gli esseri umani sono andati a cambiarsi per occupare le sedute dei vari ristoranti per la cena a bordo, ho finalmente la possibilità di assopirmi nelle mie riflessioni. Un cielo macchiato di blu, di azzurro e di arancio, mi lascia ancora sognare prima che giunga la malinconica notte che cieco mi allontana da tanta bellezza.
La brezza permea il mio corpo mentre sfioro l' idea di dipingere. La terra ormai lontana ha disperso i gabbiani ma dei salti nell' acqua mi lasciano intendere che adesso la compagnia e' differente. Un delfino, poi un altro ed un altro ancora, come dei cavalli galoppano sulle onde di fianco alla nave, poi altri si accodano come stessero giocando oppure per spezzare la monotonia di quel gonfio liquido blu che al passaggio diviene scia biancastra che si dilata.
Salgo di qualche piano. Sul ponte della piscina ci sono le sdraio, perché non averci pensato prima. Lasciati i delfini a cavallo e lontano il rumore del mare, quasi al buio mi accorgo che adesso non sono più il solo ad aver preferito l' esterno alla cena. Un uomo e una donna appoggiati sul bordo conversano a bassa voce osservando il mare oramai quasi celato dal buio. Sono solo le luci del bastimento a rischiarare una sera che diventa notte. Lui indossa un cappello che tiene con la mano destra, lei lo guarda come un pulcino che aspetta di essere nutrito. Si capisce che il discorso e' complesso, anche se sereno, anche se c' e' vento.
Sul mio viso un sorriso quando una folata di vento più forte delle altre fa alzare i capelli di lei verso l' alto, con il garbo che li distingue, che la distingue, fa scivolare la mano sulla sua fronte e percorso il tratto da sinistra a destra raccoglie i capelli eversivi per riportarli al nodo originario e castigarli con una biro.
"Avranno sessant' anni" penso, ma la gestualità e' quella dei quindicenni innamorati, dove l' amore vede solo altro amore, dove tutto e' dato incondizionatamente, dove le delusioni sono ancora oggetti sconosciuti.
Non faccio rumore, sollevo la sdraio per non disturbarli e mi seggo, quasi temendo di esser sentito. Pur volendo il vento soffia da loro verso di me, e porta con se anche i suoni. Sicuro e sereno continuo a pensare, o meglio a pensarli, senza poter staccare lo sguardo mai, nemmeno un istante da quello splendore. La musica e' lontana e le slot non fanno rotolare monete ne rovinano coscienze, almeno non qui.
La mano si tende ed una carezza sul viso di lei lui fa scorrere lenta. Lei sorride ed appoggia la sua fronte alla spalla di lui. Vedo il suo  braccio levarsi e prenderla dolcemente per cingerla a se. In quel momento non ci sono io, non c' e' la nave, ne i passeggeri, forse non c' e' neanche il mare. Vedo due sagome in una, e vedo l' interesse totale negli occhi di lui per lei e viceversa. Adesso si, il buio e' arrivato davvero, ma non importa, per lo meno non a loro, che restano lì intirizziti a stringersi per darsi il calore di una vita.
Un cammino di oltre 40 anni dentro uno sguardo, impensabile ai giorni nostri penso, anche se lo vorrei tanto. Li invidio, ed invidio il loro modo semplice di provare rispetto l' uno per l' altra. Altra cosa, giù il braccio di lui dalla spalla, ma solo per toglier la giacca e donarla alle spalle della sua signora. Rimango in balia dell' emozione, tale che sento gli occhi bagnarsi di lacrime. Altre voci silenziose e lui si volta verso una sedia di plastica, ne infila un' altra e la porge a lei, che siede, poi fa lo stesso per lui, e si siede. Corpulento, grandi mani e la faccia di chi ha lavorato una vita. La fatica ha scavato quel viso ma non l' ha sentita. Lei lo guarda e ha le braccia conserte sotto la giacca. Seduti a guardare affiancati in un cinema senza il telone. Il soffitto di stelle e' un sipario e la Luna gli bacia le ombre. Non ci sono fauni ne ninfe in questo teatro, ne giullari, ne comici o attori di dramma, soltanto due protagonisti di schiena sul palco seduti e lo spettatore che non ha pagato il biglietto.
Un epilogo senza morale. Lui parla a lei e lei dice a lui. Lasciano le sedie, si alzano e volgendosi verso l' ingresso mi vengono incontro, e' solo allora che li guardo bene e li saluto: "ciao, mamma e papà".


All Rights Reserved - Roberto De Sanctis





1 commento: