24/02/15

La lunga notte di Fochabers.




        Le prime avvisaglie c' erano già state all' arrivo, quando all' aeroporto di Prestwick le scorrevoli che portano al rental si erano aperte ed una folata di vento gelido ci aveva investito. Come se fossimo lenzuoli ci aveva sventolato all' indietro. Con tutta la buona pazienza, ci avevamo riprovato incurvandoci verso avanti e, bagagli in mano, a passo veloce c' eravamo diretti verso la nostra Zafira noleggiata. Eravamo in sei, la vettura era da sette posti. Saliti e coi bagagli messi nel vano posteriore, eravamo così fitti che passammo rapidamente da quel gelo ad una sensazione di calore intenso, tant' e' che spesi qualche istante per scendere di nuovo e togliermi la giacca.
Quel viaggio ci aveva diretto verso le Highlands Occidentali, le avevamo attraversate nei giorni precedenti per giungere sull' isola di Mist, poi, passata la notte, avevamo risalito un' altra parte della Scozia, fino ad arrivare ad Inverness, dove avevamo scelto di pranzare.
Una deviazione improvvisa ci fece mancare il bivio per il centro città, parlammo e, considerato che la direzione era giusta per il prosieguo del viaggio, e che oltretutto conoscevamo già Inverness, decidemmo di andare oltre. Il primo posto buono che non assomigliava a poco più di un villaggio era Nairn. La cittadina non era un granché, ma trovammo un pub carino dove pranzare e berci una birra. Mangiammo un bel pezzo di manzo con dei funghi e dei fagioli. Due ragazzi ubriachi con in testa dei cappelli da Tex Willer stavano giocando a biliardo. Il gioco era già di per se avvilente, con quelle buche gigantesche e quelle dimensioni ridotte rispetto ai nostri. Sembrava un giocattolo per bambini, ma il modo in cui i due ubriachi urlavano e si prendevano sul serio ci fece trattenere lì per una seconda birra, non senza sorridere delle loro imbarazzanti condizioni, né facendoci evitare commenti ovvi sull' assoluta inconsistenza di quel gioco.
Lasciammo il locale per riprendere l' auto. Avevamo visto sulle mappe che di lì a poco saremmo arrivati in una città, Elgin. Stava per imbrunire, pertanto decidemmo di eleggere Elgin a posto dove restare per la notte, ma dovevamo trovare un posto dove dormire.
E' vero che stavamo abbandonando le Highlands per entrare nello Speyside, ma rimaneva pur sempre il Nord della Scozia, non volevamo metterci in condizione di arrivare al buio senza aver trovato un Inn od un B&B dove riposare le nostre membra e confortare i palati. In effetti impiegammo meno di mezz' ora per giungere alle porte di Elgin, ma una ricerca infruttuosa e qualche tentativo respinto ci fecero decidere di proseguire ancora, direzione Aberdeen. "No Vacancies" era il cartello più gettonato da quelle parti, come se fossimo a Nuova York, eppure parliamo di un buco di città di fronte al Mare del Nord. Via! Ce ne andammo e fu in quel momento che la nostra serata prese una direzione diversa, forse una delle più folli di tutta la mia vita.
La "Main Road" permetteva un' andatura comoda, interrotta solo di tanto in tanto, dall' attraversamento di qualche villaggio che ci faceva mantenere una velocità inferiore alle 30 Miglia per ora, per poi ricominciare a trottare verso il villaggio successivo. Avevamo lasciato la costa e stavamo parlando, mappa alla mano, del posto che ci avrebbe potuto ospitare per la notte. Fu in quel momento che un nuovo "Speed Limit 30" ci annunciò il passaggio in un nuovo paesino. Welcome to Fochabers, leggemmo. Ero alla guida come sempre, alla vista di quel cartello, come di consueto rallentai, e disciplinatamente mantenendo i 29 orari passammo le prime case. Sulla destra si apriva uno spazio con un bel giardino ed un edificio che dalla conformazione doveva essere il municipio. Passato il giardino, sempre sulla destra, leggemmo, in mezzo a tutte le insegne, che nel Regno Unito ti fanno sembrare un pub anche un negozio di lavanderia od un ufficio postale, "The Red Lion Tavern", la taverna del leone rosso.
Accostai la macchina e feci per parcheggiare, sull' uscio c' erano due signori, entrambi con capelli bianchi lunghi e con la barba, bianca anch' essa. Iniziammo a scendere e queste persone, mentre stavano fumando la loro sigaretta, continuavano a vedere.
Dovevamo dare parecchio nell' occhio in quel paesino. Una grande vettura, sostava, cominciammo a scendere io, 1 metro e 90 per gli allora 130 chilogrammi, molti di muscoli ma parecchi altri di pancia, poi Federico, altro metro e 90, poi Fefe, un metro e 80 per un girovita parecchio esteso, e via Alessandro, 1 e 95 per due spalle da nuotatore, in ultimo Matteo, anche lui sul metro e 80, ed Angelino, il più piccolo, ma comunque nella norma.
Da lontano, vedendoci uscire tutti, i due fecero per sorridere, ma l' espressione mutò mentre ci recavamo proprio nella loro direzione. Sull' uscio, senza nessuna idea di spostarsi, il più anziano dei due, che doveva essere sulla cinquantina, ci chiese: "Italy?". Risposta piuttosto ovvia, considerando che Fefe indossava una felpa con uno scudetto tricolore grande come una noce di cocco, comunque rispondemmo di si, e ripresero le risate, stavolta rendendoci nervosi, dei due che borbottavano dicendoci che non poteva essere altrimenti. Alla mia domanda, per la verità abbastanza irrigidita, "Why?", ci dissero che non poteva essere altrimenti perché uscire da quella vettura da 7 in 6, e tutti grossi a quella maniera, poteva essere solo da italiani.
Non capimmo subito se ci stava facendo un complimento o era una "presa per il culo", restava il fatto che quello era un public house, noi volevamo una birra e loro la vendevano. Non eravamo partiti col piede giusto, ma pazienza, ci accomodammo.
L' interno del pub aveva il bancone immediatamente a sinistra, una piccola sala di accoglienza con dei divanetti, alcune sedie ed il solito, immancabile biliardo per bambini al centro della sala, poi si estendeva in un' altro ambiente più grande sulla sinistra, in direzione della quale si poteva svoltare per i servizi e per quella che sembrava essere una sala colazioni. Sul retro del banco una ragazza bruttina stava finendo di spinare una birra. Facevano parte del comitato di accoglienza cinque o sei individui abbastanza avanti con l' età, tutti loro si erano voltati a guardarci domandandosi palesemente chi fossimo e da dove venissimo.
La ragazza sul retro finì di spinare quella birra e si volatilizzò. Noi ci sedemmo ed il signore che ci aveva fatto la battuta sull'  uscio, che doveva essere anche il padrone, ci chiese quali birre volessimo. Finalmente si parlava una lingua comune, partirono immediatamente le prime sei birre, lui ce le fece per commercio, noi le prendemmo per goderne. Da quelle parti della Scozia puoi divertirti parecchio, esistono parecchie varietà di birre che non solo non troverai mai in Italia, ma neanche ad Edimburgo o Glasgow. Si possono assaggiare varie cose che non si conoscono, dai sapori nuovi, o comunque differenti. Già nelle esperienze precedenti inoltre, avevamo fatto la conoscenza di alcuni snacks che definire deleteri era poco, come i pork skratchings e gli scampi fries, dei croccantini al gusto di cotenna e di scampi che avevamo imparato ad alternare sapientemente, per la gioia di fegato e stomaco. Li puntammo ed iniziò la distruzione di quella parete di confezioni.
Alla terza birra, Gavin, il proprietario, ancora ci chiedeva di pagare le bevute, un proforma che avremmo abbandonato fra un altro paio di giri, cominciando un' interazione di mutua fiducia. Gavin era l' uomo dai capelli e dalla barba sale e pepe che al ostro arrivo ci aveva sfottuto. Il fatto che stessimo bevendo a ritmi anche più serrati degli altri avventori, ci fece guadagnare il rispetto che in principio i ragazzotti di Fochabers non ci avevano riservato. Fu a quel punto, una birra appena dopo le presentazioni ufficiali, che approfondii la questione. A noi serviva da dormire, dov' eravamo ci piaceva, e per la verità ci stavamo anche divertendo, ma avevamo bisogno di una stanza. Entrando avevo notato una sala colazioni, ma non avevo la certezza che fosse per chi dormiva nlla taverna, anche perché, andando in bagno, mi ero accorto che mancava la cosa fondamentale: le stanze. Non c' erano scale che portassero ai piani superiori, non c' erano corridoi che camminavano altrove, niente di niente.
Feci per chiamarlo e lui, che aveva preso il giro, si voltò per prendere un bicchiere. Io lo richiamai dicendogli che non era per bere, nel mio inglese un pò più che maccheronico gli spiegai che stavamo cercando delle stanze per passare la notte. Lui mi guardò, sorrise con quei suoi occhi languidi curvati verso il basso, e mi rispose in un inglese peggiore del mio che disponeva delle stanze che stavamo cercando, faceva 30,00 sterline per la notte e prima colazione a persona. Io, come detto, non avevo visto le stanze, ma incuriosito ed attratto dal prezzo estremamente conveniente parlai con gli altri, che subito mi diedero il placet per rimanere nella taverna del leone rosso. Io per la verità ero ancora parecchio titubante, senza che lui se la prendesse, perché da quelle parti si usa, chiesi dapprima se le stanze avessero i servizi interni, e alla sua risposta affermativa fui convinto di vendicarmi per il torto subito al nostro arrivo: gli chiesi se potevo vederle, che in quella strana sintonia che avevamo trovato, voleva dire dal mio punto di vista che adesso ero io a non fidarmi di lui. Gavin annuì ancora, parlò con una signora, verosimilmente la moglie, mi fece cenno di seguirlo e si diresse verso quella sala colazioni che avevo visto entrando nel pub. Gli altri rimasero al banco, io coprii la mia birra col sottobicchiere per far capire alla signora che non doveva riprendersela, e lo seguii.
Attraversammo la sala, passò dove il corridoio faceva un angolo e si fermò in uno stanzino. Le nostre scarpe camminavano sulla moquette rossa del locale, ma sotto il nostro peso, le doghe di legno che dovevano trovarsi sotto la moquette scricchiolavano ad ogni nostro passo. Aprì una porta ed uscimmo, per poi salire delle scale all' aperto che portavano finalmente al piano di sopra. Una fila di 5 o 6 porte mi confermava che le stanze c' erano eccome. Gavin aprì la prima.
Feci appena in tempo a ficcare la testa dentro la stanza che un ambiente enorme, almeno 10 metri per 4, mi apparve. I due letti erano ad una piazza e mezza, francesi. La struttura doveva essere stata rinnovata da poco, era nuova, ma la sorpresa vera giunse alla vista del bagno. Se c' e' una cosa che non sopporto dei britannici, e' proprio l' enorme pragmatismo e l' essenzialità che riservano all' arredo dei bagni. Puoi trovarci di tutto, dalla moquette sotto il water, alla cabina doccia tipo container. Quella sera facemmo bingo. Porta del bagno, dentro tutte piastrelle verde acqua, un angolo dedicato alla doccia con dei vetri almeno 2 metri per 2 ed addirittura il bidet. Diciamo che rimasi quasi sconvolto, gli dissi di si con la solennità che si ha di fronte ad un atto notarile, sorrisi e feci per scendere. Ero veramente impaziente di avvisare gli altri: Fochabers sarebbe stato il nostro posto. Sarà stata forse la positività intervenuta per quelle stanze ma l' aria all' esterno, riscendendo, mi sembrò subito più dolce. Gavin fece per riaprire la porta, io lo seguivo. Posò le chiavi dove le aveva prese, rifece il gomito di quel corridoio, e quando ritornammo nella sala tutti si girarono, guardando me. Io non dissi nulla, mi limitai ad annuire, solo Angelo mi venne incontro per chiedere come fossero le stanze. Io gli risposi che erano perfette, tornammo a bere e divorare scampi fries.
Passò il tempo di altre due pinte, avevo cambiato assaggiando dell' ottima Caledonian 80%, Gavin abbandonò del tutto la sua diffidenza ed aprì un conto sulle birre segnate per tutto il gruppaccio di italiani cui aveva dato asilo. Erano da poco passate le sei del pomeriggio, stavamo dimostrando sul campo che non eravamo lì per pettinare le bambole.
Tutti i giorni, in qualunque angolo del Regno Unito, alle 17.00 si stacca dal lavoro e si raggiunge il pub per una pinta. Quel Giovedì non era differente, infatti nuovi clienti iniziavano ad avvicendarsi. I signori che avevamo trovato al nostro arrivo andavano via, mentre una clientela più giovane stava giungendo. Molti degli avventori erano in abiti da lavoro, fenomeno straordinario il rapporto che questa gente ha col suo posto. Il lavoro per Gavin divenne parecchio serrato, ma riuscì abilmente a riservare un gran bell' occhio di riguardo per "the italians". Cominciava già a spinare e non segnare qualcosa, per la verità infatti il conto lo doveva soddisfare non poco, al punto da offrirci qualche pinta. Avevamo oramai fatto amicizia rispettivamente con: 1) Scott. Forse un ermafrodita del quale non riuscivamo a determinare il sesso. Capello corto, fulvo, e riga da una parte, nessuna traccia di un seno femminile né di barba, che poteva lasciar supporre una sua certa mascolinità. Un rebus, ma una vera macchina da guerra alcoolica che si nutriva solo di brandy; 2) Gary. L' altro coi capelli bianchi che ci aveva accolto sull' uscio. Musicista. Assomigliava al ragazzo con la chitarra che di schiena e sotto la palma si poteva vedere in un adesivo parecchio diffuso negli anni '80. Da un' accurata osservazione dei suoi sorrisi, era emerso come almeno cinque o sei dei trentadue denti di cui doveva essere stato munito mancassero all' appello. Una innata passione per il corteggiamento ed una discreta conoscenza della sua chitarra e della musica; 3) Sharon. La capogruppo di una allegra comitiva di giocatrici di Curling. Veniva, come le altre, da Ottawa, Canada. Ci mettemmo qualche ora per capire che eravamo incappati nel bel mezzo di un Tour della nazionale canadese di quello strambo Sport con scopette e boccini che scivolano sul ghiaccio, con tanto di accompagnatrici ed allenatore. Erano in Scozia, per affrontare una serie di squadre locali, quella sera incontrarono noi.
Stavamo bevendo birra, ma sebbene fosse di una gradazione alcoolica piuttosto bassa, il quantitativo di pinte consumate ci stava portando verso un' allegria parecchio rumorosa. Io e Federico avemmo anche il tempo per avventurarci, per la prima volta, in una partita al biliardo baby. Fu in quel momento che capimmo che stavamo arrivando a livello. Il biliardo, come detto, era davvero piccolo, mentre quelle enormi buche per miopi sembravano grotte, ma la partita assunse toni da Italia-Germania 4-3. Il biliardo era in piano, eravamo noi ad essere obliqui rispetto ad esso. I nostri errori suscitarono le risa di tutta la sala. Avevamo collezionato un nutrito pubblico di scozzesi che faceva il tifo per l' uno o per l' altro, ma i tempi supplementari furono interrotti dallo stesso Gavin. Gli avevamo chiesto di provvedere per la cena, e lui, per dovere di ospitalità, non potendola servire si era accordato con un ristoratore dall' altra parte della strada per farci cenare lì. Aveva detto per le 20.00, e le 20.00 erano arrivate.
 Lasciammo le stecche sul bordo del biliardo con somma soddisfazione degli astanti, mentre le palle restavano li in bella mostra sul tappeto pronte per la nuova coppia da accompagnare. Noi ci affacciammo fuori dalla taverna, con Gavin in testa, che ci indicò realmente il ristorante da raggiungere, ed in fila indiana ci incamminammo.
"One pint of Deuchars, please". Ci eravamo accomodati in quell' accogliente ristorante ed avevo subito identificato la mia nuova vittima sacrificale. Un birrificio di Edimburgo mi forniva una IPA da quasi quattro gradi, ma senza mettere nulla nello stomaco cominciava ad essere un pò troppo. Ordinammo ed il festival di bistecche cominciò ad arrivare. Usavano accompagnare il piatto con delle salse orribili invece di preferire della semplice insalata o delle patatine fritte, ma la mia esperienza mi fece anticipare il problema. Chiesi subito, e fui l' unico, "only mushrooms and Vegetables". Mi guadagnai gli sguardi di tutti gli altri commensali mentre allontanavano dalla carne insalata russa e sbobbe simili.
Eravamo in un' atmosfera anni '70, stavamo conversando amabilmente felici della scelta fatta, Fochabers si era rivelata una vera soddisfazione. Ripensavamo a Nairn e alla infruttuosa ricerca di Elgin, benedicendola. Avevamo trovato una cortesia ed un gran bel posto dove mettere la tenda.
Mangiammo in un' ora o poco più, avemmo il tempo di ricordarci qualche motivo per cui non chiedere un espresso in Scozia, ma eravamo già proiettati sull' ultima ora e mezza da vivere nella "Taverna".
Al nostro rientro ritrovammo tutto come se non fosse passato un solo minuto. Scott era lì, al banco, col suo ennesimo bicchiere di brandy. Gary suonava la chitarra al centro della sala, sui divanetti, mentre la nazionale canadese di Curling gli sedeva intorno. Gavin continuava a spinare. L' unica novità: degli operai avevano lasciato il posto ad altri ragazzi che adesso sedevano all' angolo del bancone, ma appena entrati noi fecero per varcare la soglia altre cinque o sei persone che dovevano essere sulla quarantina. Eravamo entrati accolti da un boato similstadio, evidentemente la voce della nostra presenza era girata per il paese, che non aveva più di tremila anime, e il nostro nuovo ingresso aveva dato conferma che la voce diffusa fosse vera.
Neanche il tempo di un nuovo saluto, noi ci voltammo verso Gavin ch stava già provvedendo. Pur sapendoci satolli di ritorno dalla nostra cena, per nulla disgustato dalle nostre performance con gli snacks, ci chiese se ne volevamo ancora, rispondemmo in coro di no, ma fu un no morbido, lasciando intendere che messo un altro pò di bevanda nello stomaco, non avremmo disdegnato affatto. Tant' e' che ricominciammo da dove eravamo rimasti: "Slainte Ma", si alzarono le pinte e brindammo tutti. Anche i nuovi astanti, travolti dal livello di confidenza, parteciparono subito al brindisi, ed approfittarono di noi per comunicare con "alieni" della nostra risma. Certo doveva essere curioso accogliere italiani appassionati di Rugby in un posto come Fochabers. Del tutto fuori dalle rotte canoniche di turismo, non era nulla. Appena fuori dalla zona dello Speyside, nota per l' ottimo whisky e fiore all' occhiello dell' economia scozzese. Non era Aberdeen, centro d' affari legato al businness del petrolio. Non era Inverness, tappa obbligata per chi decide di visitare Urquark Castle sul lago di Ness. Semplicemente un paesino di passaggio, quello che se fossimo stati in Lombardia, od in Piemonte, avremmo tranquillamente chiamato un "buco di culo" nel nulla. Ma era quello il bello...
Per come eravamo fatti noi, più era ignoto, isolato, lontano da tutto e dai passaggi obbligati, più ci piaceva. Fochabers, come altre parti, ci dava questo senso di "esclusività", pensavamo e ripensavamo a quanto pochi potessero essere gli italiani incappati in quel villaggio, e conseguentemente in quella taverna.
Quell' altro paio di birre volò via accompagnandoci fino alla chiusura. Gavin stava sistemando tutto per chiudere, ma poi mi fece l' occhiolino. Io capii subito che le sue gesta erano un "atto dovuto". Alle 23.00 per gli altri doveva chiudere necessariamente, ma forse non per noi. Tant' e' che mi rivolsi immediatamente verso i mugugni degli altri nostri, che di finire lì la serata non volevano saperne, e in italiano dissi loro di aspettare e di fare i "vaghi", perché Gavin mi aveva lasciato intendere che avremmo potuto continuare a bere e divertirci oltre chiusura.
Dopo tutto effettivamente noi eravamo ospiti, ma lo stesso non era per Scott, per Gary e per le canadesi. Suono della campanella, ultimo giro ed ordiniamo ancora, con gli "ultimi" snacks... Per la verità dovevamo essere proprio una vera attrattiva di turismo per quelli che avevano riempito il pub. Ricordo che Gavin faticò tantissimo a mandarli via, e ricordo anche che quando ebbe sbarrata la porta per una mezz' ora buona persone continuavano a bussare dall' esterno affinché gli venisse aperto. Quelle richieste quella sera non ricevettero risposta alcuna. Rasserenati e per la verità, intorpiditi dall' alcool, dopo aver moderato i toni di voce per un pò per far credere che lo spettacolo fosse finito, ricominciammo.
Gary coinvolse tutti con la sua chitarra. A qualcuno fu dato il tamburello coi sonagli, altri facevano ritmo con i cucchiai da caffè, altri ancora con la voce. Di lì in poi ritornammo alle nostre voci sguaiate, alternando "Volare" di Modugno a "The Wild Rover" dei Dubliners, fino a giungere a "Delilah" di Tom Jones e "500 Miles" dei Proclaimers.
Conoscevamo bene le partiture, magari toppando qua e la qualcosina sulla grammatica, ma in quanto a ritmo eravamo i migliori, ed il nostro tenore numero uno stava entrando in condizione tipo. Alessandro ricordo aveva qualcosa in testa, come di solito quando ci capita di alzare il gomito, la sua voce passo da baritono a contralto per poi trionfare come nessun' altro sul suo tenore possente. I sorrisi erano diffusi, Gavin con questi suoi occhi languidi di ubriachezza accompagnava e gli si leggeva in faccia quale fosse il suo sbigottimento nel vedere italiani così anglosassoni. Non cedevamo di un passo, conservando la nostra verve, ma mai scadendo in atteggiamenti che non fossero dettati dall' immensa felicità che stavamo vivendo.
Fu in una delle mie continue visite al bagno per perdere qualche liquido che tornando, la mia attenzione fu rapita da una vasca...si, letteralmente una vasca di uova sode.
Per la verità le avevo viste anche entrando, ricordavo, ma in principio mi avevano suscitato quasi un vago senso di ribrezzo. Ora tutto era cambiato, erano così accattivanti...chiamai Gavin e gli chiesi. Mi disse che erano sottaceto, e che erano usate come anti-sbronza quando si alzava troppo il gomito. Beh, io quella sera non avevo il gomito alzato, si era praticamente rovesciato, ero la cavia più adatta per testare la validità di quanto lui asseriva. Certo, le norme igieniche non erano il massimo, non doveva essere ISO 9002, lo capii quando mi disse di affossare la mano nell' aceto e prenderne uno per provare. Pensai che intere squadre di operai, ragazzotti del nord, impiegati non particolarmente inclini all' igiene personale dovevano aver appozzato le loro mani in quel recipiente, ma a quel punto... feci per mettere la mano nell' aceto e presi il mio uovo. Lo mangiai velocemente e sul mio esempio, anche altri dei nostri fecero lo stesso. Fu a quel punto che mi resi conto che Scott, l' ermafrodita, oltre a nutrirsi di brandy, poteva fare anche altro, perché seguì il nostro esempio. Stavamo tutti masticando voracemente queste uova sode sottaceto. Posso tranquillamente affermare che erano favolose, se non necessarie. L' aceto rinvigorì immediatamente il corpo e generò una ulteriore richiesta di pork skratchings, a quel punto tutto andava giù che era una bellezza...stavamo facendo una "passatella" nel nord della Scozia, e ridevamo, cantavamo e ci abbracciavamo tutti insieme, accompagnati dalla chitarra di Gary, dalle tenere voci femminili delle ragazze canadesi e da Alessandro che oramai, sontuosamente, aveva preso il controllo della regola canora.
Passò la mezzanotte, attraversammo l' una per giungere alle due. Nulla era cambiato, ci avviavamo facilmente verso il mattino seguendo le stesse regole dettate nelle ore precedenti. Non solo avevo finito di assaggiare tutte le spine che Gavin aveva a disposizione, avevo avuto anche il tempo di ripassare la lezione ed affinare il gusto, tant' e' che avevo eletto a birra preferita quella Caledonian 80% che, non essendo eccessivamente alcoolica, andava giù che era una bellezza. Ebbi giusto il tempo, dietro ai reclami dell' ermafrodita, di fare una variazione sul tema e fare l' ennesimo giro offerto da Scott a suon di brandy. Mi rovinò il gusto immediatamente, non apprezzavo i superalcoolici, ma fu un gesto di cortesia accettare. Più difficile fu non fargli o non farle capire che quel brandy mi aveva fatto letteralmente schifo. Era gentile, cortesissimo/a, cosa potevo fare? Tutti noi pensammo la stessa cosa, ed a turno cominciammo a portare lui sulla birra, ma fu subito palese che gli aveva fatto lo stesso nostro effetto, naturalmente al rovescio, così ci regolammo che chi faceva giri per gli altri poteva lasciare liberi gli altri di prendere ciò che volevano. Credo fu quello, quella notte, ad impedire che io mi vomitassi l' anima.
L' età delle canadesi variava. Andavamo dai 50 e più anni della babbiona allenatrice, scivolando sui 35/40 di alcune donne fatte, arrivando a delle ragazze più giovani, comunque sopra i trenta. Ad una certa ora, cominciammo a tentare approcci, dei più disparati, cercando di braccarle, ognuno con il proprio savoir faire. Tutti, eccetto Alessandro ormai perso in una disputa a tema canoro con Gary che, invece, da buon "sorcio" aveva, con la sua chitarrina, già sedotto una di quelle che spazzolava il ghiaccio...nulla che Alessandro potesse comunque comprendere a quell' ora della notte, e nel suo stato. Il suo "penso che un giorno così..." poteva essere avvertito nitidamente dall' aeroporto di Inverness ad Ovest e dalla città di Aberdeen ad Est. Evidentemente il nostro fumatore, Federico, doveva aver fumato parecchio, perché ad un tratto finì addirittura il gas dell' accendino. Fu in quel momento, in uno dei suoi ultimi barlumi di lucidità, che Gavin, con un gesto rapido come quello di un bradipo che attraversa la strada, si chinò sul retrobanco e ci porse degli accendini. Rossi, scritta bianca, ne aveva per tutti, e lo presi anche io che non fumavo. Lessi su un fianco "The Red Lion Tavern - Fochabers" e pensai che sarebbe stato un gran bel ricordo da conservare, poi, per eccesso di zelo, lo voltai dall' altra parte per vedere se ci fosse scritto qualcosa. Iniziai a ridere e alle mie risa anche gli altri cercarono di capire. Federico seguì con un' altrettanto fragorosa risata, e dovemmo spiegare a chi masticava poco di inglese, Fefe, il motivo. Matteo aveva capito, e rideva anche lui, Angelo aveva parenti in Canada, quindi chiese a Matteo perché ridevamo, Alessandro continuava a cantare. "Where's the Hell? I' ve just been Yesterday night!", letteralmente: "Dov' e' l' inferno? Ci sono giusto stato ieri sera!". Era vero. Stavamo passando una notte straordinaria ed infernale. Finiti dalle risa, ed oramai dall' intervenuta ubriachezza, continuavamo a mangiare quella merda di snacks, gli avevamo portato via una confezione e mezza...circa 45/50 bustine di quella roba, ed almeno un quarantina di Scampi Fries, il tutto condito da fiumi di varie birre, un brandy, delle uova sottaceto e, grazie a Dio, un pezzo di carne senza ne olio ne sale, ne nulla, che mi aveva pulito la coscienza per quell' ora passata al ristorante. A quel punto la mia determinazione si accanì verso una di quelle ragazze. Era mora, capelli lisci e a caschetto, ricordo che indossava degli occhiali ed aveva degli occhioni blu. Iniziai una lunga conversazione al banco con lei mentre già da tempo Angelo aveva preso il posto di Gavin a spinare le birre. Per un istante pensai che quello fosse il suggello al nostro trionfo, pensando oltretutto a come ci aveva accolto, ma immediatamente dopo mi rituffai nell' amabile conversazione con la fanciulla, che doveva essere intorno alla quarantina, ma che per educazione mi ero astenuto dal chiederle se mi fossi sbagliato. In sincerità non ricordo nemmeno il nome, ma dovevo essere stato piuttosto incisivo perché d' un tratto ricordo che mi mostrò delle foto dicendomi "Sorry, I can' t". Dopo vari attacchi mollai la presa, solo al momento in cui mi resi conto che quelli sulla foto dovevano essere i suoi figli. Io implosi in quel pensiero, ed in quell' esatto istante un enorme senso di colpa mi fece salire una stanchezza mortale. Mollai tutto e le augurai la buona notte. Dissi agli altri che stavo pensando di salire a dormire. Alessandro si fermò un istante, mi guardò, e riprese a cantare. Fefe e Federico concordarono con me. Ricordo Scott diagonale dirigersi verso la porta di servizio. Gary e la sua chitarra andarono a dama. L' allenatrice richiamò all' ordine tutte le altre e Gavin, oramai inconsapevole, lentamente annuì.
Guardammo l' ora, erano le 4.35 del mattino, meridiano di Grennwich. All' indomani ci avrebbe atteso lo Speyside e la regione dell' Angus. Vallo a spiegare il perché saremmo partiti tardi, vallo a dire a chi crede che i locali in Gran Bretagna chiudono alle 23.00, vallo a dire a te stesso che avremmo avuto solo 5 ore di sonno prima di ripartire. Quelle scale per salire al piano superiore furono come passi sul K2. Salendo pensavo alla montagna degli italiani, fu solo all' indomani che mi resi conto dei 16 scalini che avevo disceso per andare a fare colazione. Grazie a Dio la comodità del letto sul quale svennì, e la grandissima comodità della doccia che feci all' indomani mi fecero far pace con "l' inferno" dove eravamo stati la notte precedente. Altro discorso fu riuscire a svegliare Alessandro, mio compagno di stanza, solitamente molto incline a cullarsi fra le soffici mani di Morfeo, ma ci riuscii. Scesi per la colazione, le nostre facce erano facce di mummie. Ricordo che passammo tutto il tempo della colazione senza dirci nulla se non buongiorno. D' un tratto dal corridoio spuntò Gavin, feci per alzare la testa in segno di saluto, ma senza dire nulla, lui fece lo stesso. Eravamo tornati dall' Inferno.

Roberto De Sanctis - All Rights Reserved






Nessun commento:

Posta un commento