27/01/16

Una sagoma che affiora.



         
            Un velo scende sul viso di una donna mentre l' incanto di una sagoma che mi abbandona in un ricordo si riscalda. Il suo profilo mi accarezza e poi mi sferra un gran ceffone a scuotere il pensiero mio che in quell' istante non la infanga. Lecite vogliose voluttà che quasi offendono quell' eterea idea di lei che nel mio corpo si diffonde con calore e fiato, mentre ansimi e l' immagine di quella sagoma mi sciolgono la gola e il petto impedendomi di respirare nello stesso modo in cui vorrei. Crepita e sbatte fra i frammenti di un complesso nebuloso archivio di intenzioni mentre schiumosa e bella appare, sfumata fra le intensità di un ghigno e fra le forme di una ninfa che si immerge. Brusii inconsueti fra il fogliame, vetuste idee si arrampicano come dei rami d' edera sul mio stomaco e dietro la mia schiena. Se solo io riuscissi ad omaggiare quella idea con il consueto volgere di polveri d' amore e cospargessi di una nuova furia il desiderio di tenerla a me, dentro quel fiume magmatico che e' in quell' istante il mio tacere e nell' immensa interminabile colata di pensieri, allora riuscirei a venirne fuori come fa la resina da un albero, e dunque tornerei a comprenderla attraverso i fumi di una immagine sfocata mescolati ad una nebbia che mi appaga.
Corpi. Come colpe e come vivide irresponsabili emozioni. Suscita tremori e ascolta brucando fra le fornaci un' erba fragile che spezza in un terreno che zampilla e cuoce lento. Anime e quel velo verso il vento, dannata immagine che scorre via danzando fra le cupole di un rigoroso altare. Mescola e appassisce risorgendo e rinfrancandosi dopo le steppe aride di una voglia che taciuta si allontana. Forza la chiave e serra, fra le livide esperienze di un trascorso che silente si indottrina. Nulla può, ne nulla possiede, se non quel vago senso di un' eternità sopita in un incendio che dura pochi istanti e che nel fumo nebbia sfuma. Saette e braci, corpi che si incontrano, mani si adattano sfiorando e una ricerca nuova incontra i suoi confini dentro il velo che di tanto in tanto esplode rigonfiandosi. Mulini ed acqua filtrata, grano e distese di genziana. Appaiono silenti e docili dentro quella selvaggia verità che scema. Disperde in vari incavi le liquide schermaglie di un amante che si lascia soggiogare, mentre nel tempo e sulle acque si riflette il cane ammansito che distoglie da quell' assonanza ricercata agli angoli e che come la solita nota di un diapason distribuisce il senso in cerchi concentrici che si fanno più ampi fino a disperdersi nel circolo piatto di un pensiero che ritorna.
Non c' e' più spazio, ne tollero altre densità di quell' idea che lascio andare. E arrotolo pellicole come se fosse un film, scegliendo fra le immagini e il trascorso quel che più caratterizza quanto andato. Filtro come il sole arriva in raggi e taglia, lasciando tracce e in quel pulviscolo abbandono le mie tiepide pressioni, imprimendo a quella lucida follia soltanto i colpi per poter vagliare ancora quell' idea del suo profilo che accarezza. Sciami di inquietudine e brividi, valichi sospesi fra lo stomaco e le gambe, sogni vividi che sembrano impedire passi che non siano su cimmi e piovaschi reiterati. Dinamiche di vita laterale che io cerco di imparare, abbandonandomi ad un taglio che comprenda per evitare quello scontro che ferisce. Ma io non riesco, e quel velo che nasconde mi seduce nell' esatta maniera di quando io lo vidi apparire al primo istante. Polveri di una inconsueta voglia, pertiche che sotto un mare salgono a sorreggere ninfee, edera che avvolta non distoglie ne nasconde, e quella grotta fresca ed umida dove racchiudo scrigni e carillon con musica che dondola ed ovatta che impedisce di cadere. Amaca legata ad incessanti uscite, paracaduti appena dissolti fra gli istanti che vorrei impedire, legature di libri sollevate fra chili di carte e inchiostro e una manualità che tende a scomparire fra le nebbie della sagoma di un volto.



Roberto De Sanctis - All Rights Reserved








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