08/01/16

Le cose.




          Mentre il rollio del tamburo del trascorso echeggia ancora ed ossessivo il suo suono si diffonde, prendo a doppie mani i miei abiti di un tempo e li rivesto, deciso a ripristinare cose da troppo tempo assenti in me e responsabilmente, quasi colpevolmente, allontanate fino ad ignorarle per cospargermi di idee e convincermi che non le avessi più. Non esistono carati per misurarne il grado di purezza. Esse blindate in uno scrigno polveroso si riaccendono quasi fossero vive e dinamiche esse stesse.
Convenevoli ed attenzioni fugaci non trovano spazio, e' pura essenza ed assoluta risoluta intensità. Volgo lo sguardo al destino forte del mio vissuto, dove in un angolo sono riposti maceri momenti ed opachi scenari che quasi persi adesso riaffiorano e mi suscitano turbe emotive come se li stessi rivivendo mentre l' inchiostro corre sulla carta.
Mi tuffo dentro la mia verità più profonda, navigandone le ragionevoli insicurezze e scandagliando i tetri fondali. In un' apnea emotiva mi fermo ad ascoltare le correnti, e per un tratto ho la sensazione di avere tutto il peso di quel mare sopra le mie spalle, ma poi da una cavità più piccola e nascosta, con delle piccole bolle che salgono verso la superficie, posso scorgere un passaggio che dai celati sistemi mostra il complesso intricato sentiero che porta alle ovvietà. Accetto continuamente quella sfida, e d' un tratto, quel peso sulle spalle si fa più lieve perché condiviso. Non ho più la necessità di scavare da solo, di esplorare cercando risposte, mi scrollo di dosso il peso di una responsabilità collettiva, il senso di frustrazione svanisce perché il limite della comprensione e' oramai giunto. E' proprio quella la nota che timbra il varco diretto alla reale ricerca, a quel confronto fra me e me stesso scevro da qualsiasi fondamento preconcetto, in un piccolo anfratto del fondale dove non ha più senso nemmeno preoccuparsi di essere capiti.
Ed ancora quel tamburo, la cui intensità ed il cui suono aumenta, subacqueo, come un diapason disperde le sue onde dentro questo liquido che adesso mi delimita. Danza l' acqua, e l' elemento che comprime il mio confine ora lo ascolto e nitida si fa la scena, mentre un ondulato inciampo fra i coralli taglienti e i fallimenti, ferisce le mie mani diffondendo e mescolando quel mio sangue all' accogliente mare.
Pori e vernici cosparse che impediscono di respirare. Mali affari ed incubi laceri fra le vesti di un tessuto umido che appesantisce. In tutto, delle frenesie di un' indole che vuole e cerca la scoperta fra le righe di un lessico elegante e falsamente ingenuo. Tremule noiose frasi fra gli alberghi di una scena amara, dove affacciano complete delusioni e mistiche incongruenze fra i comportamenti e le semplici decisioni. In tutto ciò le stelle, e quell' avido panorama di bellezza che si offre a chi ne resta offeso. Come tanti candidi granelli di sabbia cosparsi fra lagune nere, riflettono, ridondando ed affogandone il rullio nel suo stesso tamburo. Come sciami di insetti sospesi ed immobili, quasi una fotografia di quell' istante in cui per i miei occhi quel tutto diviene importante se non fondamentale, preesistente.
E' una splendida testimonianza di un soffitto infinito fra le varie sagome di una bellezza celata. Affiorano per poi allontanarsi via nel cosmo come fossero tante promesse di una quiete ambita. Gocciolano come pioggia e talune volte illuminano come fossero dannate nuove idee. Bontà sua, il tamburo, in quell' esatto istante smette di rullare, e in quell' esatto istante mi convinco che ho già tutto in quelle fondamenta che somigliano ad altre, nuove cose.



Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

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