03/01/16

Bolle.




           Se chiudo gli occhi sono lì di nuovo. In tutto quel rumore e quella gente, cibandomi di liquidi e di suoni fra le facce accese di quel largo inquieto vivere partecipando al fumo. E tremolii e altri fremiti che corrono, riflettendo fra le schiume asciutte di una sensazione ormai lontana, si aggrappa a quella bolla che ora esplode sommergendomi di acqua gassata. Mi getta sul terreno e fradicio comincio a ridere di quel che accade, mentre quel nuovo brivido mi avvolge su di un pavimento frizzante che si va placando.
Aspartame e surrogati di dolcezza vi diffondono racconti e contenuti, che da assenti e muti affiorano come germogli in una prateria di nulla e di abbandono. Veloci eliche tagliano il vento per recidere finanche l' ultimo dei miei solleciti di nuove regole dettate. Ingenuamente lascio al fato il compito di disporre tutti i rettangoli ed i cerchi delle mie vicissitudini non governandone nemmeno il muto alito che si diffonde da quell' esile punta di gomma che continua a volteggiare.
Come le rondini annunciano il clima che cambia così un mulino raccoglie e fa tuffare la stessa acqua nello stesso identico ruscello. Condire il clima con la nuova voglia può essere davvero un aspetto nuovo per esplorare, un vertice o un' ellisse dentro alla quale raccogliere altra linfa per avvolgerci gli intenti e ragionare del trascorso con una limpida attenzione che non bagni nuovamente. Bilancia effimera di ciò che e' andato via rimane sul livello del ruscello che attraversa, mentre un camino acceso scalda e tutto il fumo che era dentro manda via dal suo comignolo di ceneri e di pece.
Lastre di ardesia lucida quasi rissose si sovrappongono a quell' altra pietra umida che e' lunga quarant' anni. Zoccoli fradici lasciati all' esterno servono a calpestare le foglie secche che prima l' acqua e poi la neve macerano sul pavimento del terreno. Ovvietà e le ratio rigorose corrono altrove per dedicarsi a quella parte di novità esplorata quando la neve scioglie. Tutto resta lì come se fosse altra pietra e massi di frane antiche sullo sfondo ci ricordano che tutto quel che e' andato in realtà osserva, come se il filo lungo delle nostre giornate fosse un ciondolo che attraversa una liscia catena lucente, come se una traiettoria a spiale riavvolgesse il canto di una ugola dolce riconvertendo l' aspartame in esplosioni di fiocchi di zucchero che dall' Eridano si dissolvono in coltri di nebbia fitta lungo le piane di una piatta zona lacustre.
Piombo sulla schiena e dei fardelli nuovi pronti a sovraccaricare questa grave soma. Impervie salite arrampicate con delle scarpe di panno avvolto a delle corde. La terra che come polvere si attacca alla gola ed impedisce di respirare senza cacciare dell' altro calore che fiata via. Brusii lontani e tutta quella gente e quei rumori si distaccano da quel che adesso vivo a me. Quei suoni come corde di arpa pizzicate mi abbandonano lasciandomi il ricordo di quello che fu in un eco anch' esso andato via. Rimane di me una sagoma stanca che si raccoglie fra le lacere virtù di un altro senno e quelle palpebre socchiuse che ora vogliono dimenticare per ritrovarsi fra i nuovi impeti di una cascata che ci avvolge in una bolla, quella bolla, che resta li a proteggerci di acqua gassata. Bolle.


Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

     

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