17/08/16

Pan di Zucchero.





          Come tante bolle di vegetazione che si incontrano su più lagune prima dell' immenso oceano. Questa e' l' idea che mi da Rio de Janeiro. Come se tante pustole di flora rigogliosa si prendessero la vita riuscendo a suggerla dalla città e dalle favelas che gli sono sorte intorno. In tutto ciò una temporanea selva di muscoli e determinati atleti, di acido lattico, di delusioni e pianti, in mezzo a qualche accenno di soddisfazione e a qualche nota udita fra le lacrime e la commozione.
Uomini e donne a concentrarsi sul vento e sulle solite fatiche che li hanno portati fra le bolle della megalopoli carioca. Il tutto sapientemente condito dal destino, che con un tempo buono, altre volte ventoso, da record o che non gli permette alcuna prestazione, mescola le volontà fino a farle divenire il fiume che poi giunge al mare.
La pressione si avverte, la tensione, o forse sarebbe meglio dire le tensioni. Un tomo di differenti corde pizzicate, come simbolici fili di una seta pregiatissima che son partiti dalle rispettive case di ciascun atleta per giungere sull' asse di un gomitolo che ora le avvolge colorate di fronte al Cristo Redentore. Questo gomitolo fasciato e immobile, avvolto dentro un' iride di un uomo che non guarda nello stesso modo, si spegne lentamente dentro al Pan di Zucchero, ed anche dentro a chi lo sa cercare. Fra le note curve di una costa soffice distingue e poi si crogiola, forte delle velleità di tutta la sua gente e dell' accento portoghese che lo rende dolce al suono e curvo dentro.
Laghi e pagaie, trampolini e piste, ma poi quella dannata povertà che inaridisce le coscienze e che, seppur nascosta, grida fra le vele di mille e più favelas mendicando ascolto oppure possibilità, foss' anche una sola. E' quella povertà che nutre il crimine, quella che si culla dentro la disperazione di chi non sa come portare il giorno avanti anche se si accontenta. E' povertà che per alcuni fa vergogna, e che per altri non si vuole far conoscere, tant' e' che tutta quella gente che vigila su questa manifestazione non avrebbe ragion d' essere se questa non ci fosse, se non esistesse.
Vividi sogni e mute consapevolezze, dentro le chiocciole e per le matrone che difendono la zona. Anch' esse sono pustole dentro la costa che gonfie arrivano a lagune mentre dei forti venti di risacca macerano arbusti che le onde di marea si sono prese per poi distruggere e renderle in frantumi. Nella selva alcuni scrigni inghiottiti e delle lingue di catrame, e in tutto questo oscuro vortice che li ferisce e saggia, il desiderio di colore per tutti quelli che non sono in grado di poter essere seta. In conseguenza l' esplosione di pastello che si alternano a quelle schiene di verde bruno ed incontaminato delle bolle che li abbracciano. Sono lì, nella pila degli inesistenti, a reclamare voglie e desideri, aspettative e frantumate oscene speranze. Il tutto crivellato dai colpi di fucili e di pistole. Da urla, pianti e persone scomparse. Gente la cui vita ha un prezzo troppo basso per avere il ritmo di un bel podio o il tintinnio di una medaglia conquistata.
Esplodano i rumori e i suoni di questa kermesse, si diffondano le menti attente e le curve di felicità che avvolgono gli atleti e tutte quelle anime che seguono gli Sport. Che quel fiume si propaghi e che divenga a propria volta un' onda che sommerge e che solleva. In quelle bolle d' aria che riaffiorano, si abbandoni la melma del trascorso e vengano rese mute le canne di quei criminali intenti.
Una volta svanito il sogno resti almeno una piccola scia per tutti quei bambini che dovranno crescere di nuovo accontentandosi. E' per loro quella schiuma che respira, così quelle cascate di zucchero filato e di croccante fra le selve silenziose e buie e fra le case rimediate di colori e di vernici che ricordano il gomitolo del Pan di Zucchero.



Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

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