13/08/16

Temporary Road.



Ieri ho potuto vedere la replica dell' elettricità più che di un documento. Ho attinto alla vita del Maestro e pur non conoscendone il volume ho ritrovato analisi e tranquillità già note su quella pellicola che ne racconta in parte il raziocinio e la rassegnazione all' elevato. Corde pizzicate negli stessi punti di strumenti molto diversi, ed un epilogo dove la Natura ha il suo fondamentale ruolo di testimonianza di un qualcosa dal quale in modo labile ed inconsapevole ci lasciamo troppo poco spesso attraversare. Purtroppo.



       Disegnava di fronte ai miei occhi una lunga pila di dischi in vinile sistemati uno di fianco all' altro. Chi li aveva sistemati in quel modo, non ha importanza, fosse anche un feroce collezionista oppure soltanto la mia immaginazione, non aveva badato molto a che le tracce, graffiando i piatti fra di loro, si sarebbero potute rovinare. Come elementi che si potevano addensare, che si graffiavano gli uni con gli altri, parti di quelle registrazioni si potevano rovinare fino ad arrivare a perdersi. Era solo allora che come farina sul terreno se ne poteva raccogliere la mescola, reale empirica sostanza di quella che era stata l' esperienza che le aveva tracciate. Ne respiravo le singole esistenze, volgendo il pensiero, poi, ad una tela piena di nero pastello dove tutto si puliva e quello strano inchiostro che avevo raccolto da quei graffi si diffondeva autonomo per poi raccogliersi e trovare forma nuova tutta sua. Le vele del vento asciugavano nell' esatto attimo in cui il rumore di ferraglia sembrava blindarne il termine, ed e' proprio dentro quel termine che ibride, le idee e i concetti che sentivo penetrate da una forza simile all' acqua scossa delle rapide di un fiume, ricompattavano per poi pressarsi e divenir germoglio. Averne cura sembrava facile, ma le radici rinverdivano per poi seccarsi in un momento solo, salvo poi, nell' attimo seguente, tornare a germogliare ancora. Il tempo sembrava non ci fosse. Come se non gli interessasse più comprimere per poi allungare spazi e riflessioni. Non facevo altro che ripetere quel movimento mentale: scostavo in mille direzioni i miei secondi, separandoli dal concetto e dall' idea di tempo, li portavo facilmente su quei piatti di vinile dilatandoli fino al ricordo di qualcosa che sapevo di aver visto ma che non conoscevo. Come degli sciami di vespe che attaccano la sabbia mentre una tormenta infuria, in un magmatico marasma che era divenuto oblio, d' un tratto disciplina e raziocinio mi azzeravano le scosse dissipando tutto ciò che era confuso ed isolandone l' immagine che come una istantanea rimaneva documento dentro al vortice impetuoso che lentamente riprendeva a muovere. In una armonica di fiati contemplavo quei disegni come se i ricordi fossero fuggiti via. Angosciato per la nuova consapevole realtà ricominciavo a mietere aspettando che qualcosa si sgranasse e poi ripetere quello che avevo fatto senza conoscerne le conseguenze. Quasi estatico affondavo il muro per accaparrarmi un angolo di muta libera esistenza, ma il liquido emergeva fino a tracimare dalle idee che avevo e che vedevo andare via senza l' inchiostro che le aveva trattenute sulla tela qualche cosa prima. Solo, trepidante e scosso. Abbozzavo una resistenza che mi chiudeva succube del preconcetto. Il vero insegnamento di quell' angolo che non spingevo più era l' abbandono. Nulla oltre l' essenza, nulla che la precede o che la segue, e nulla che riesce a trapassarla perché talmente fitta e più pesante di qualsiasi dogma conosciuto. Esperienze. Si, esperienze. L' antico pane per chi riflette e chi domanda. Ma solo polvere di quell' essenza, niente di più di polvere, magari raccolta in terra come farina, o scivolata via in un fondo che non si conosce. Alito di mille vite e di una sola, consenso e rassegnazione dentro lo specchio di un pensiero riflesso dall' anima che vede solo forma e invece contenuto attende messo in fila su quei dischi e sopra un altro ancora.




Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

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