05/09/16

Convergere fino a sovrapporsi.





                  Ero rimasto ad osservarla immobile, mentre scalza e completamente nuda se ne stava andando verso il bagno. Sentivo l' incedere dei suoi passi, finalmente calmi, e immaginavo il punto esatto in cui si andavano a poggiare i piedi. Vedevo la loro forma dilatarsi per aderire al pavimento e poi, sinuosamente, ricurvarsi per il successivo passo. La forma del suo corpo era perfetta. Non molto seno, proprio come piace a me, ma con un culo bello da impazzire, e poi quella straordinaria curvatura dei suoi fianchi. Mi ricordo che avevo passato e ripassato il dorso della mano sulla pelle all' altezza del bacino, e questo, non so come, l' aveva incuriosita e divertita, fino a quando poi la notte non si era fatta seria e ci eravamo abbandonati a stare insieme. Ricordo di essermi domandato molte volte cosa ci avesse trovato di tanto interessante in me, da chiedermi di accompagnarla a casa e poi farmi salire. Ero un abile servo della lingua, per carità, che talune volte innocentemente, altre un pò meno, alimentava la conversazione guidandola in anfratti dove qualcuno si disinteressava o dove gli argomenti potevano riempirsi di uno strano angolo che incuriosiva, ma tutto qua, con buona pace dei viveur e degli appassionati della seduzione.
Le armi per la verità non le mettevo in campo quasi mai, perché le velleità venivano sepolte non dall' assenza di desiderio, ma più che altro, dalla delusione che provavo spesso per le ovvietà. Non ero un amante del perfetto, anche perché in primis io ero un racconto sui difetti e sui miei limiti, e pativo assolutamente un mio concetto di bellezza canonica, ma quando l' imbarazzo incontrava qualche sua sofisticatezza fuori luogo, o che crollava sotto i colpi della sua voglia di teatralizzare la scena, veniva meno tutto. Mi accorgevo di fuggire via da certi atteggiamenti, che li pativo quasi vergognandomi, e sebbene mi trovassi ancora lì di fronte a lei, fisicamente, la mente ed il pisello già avevano lasciato il tavolo per andarsene a trovar riparo in qualche anfratto dove l' ovvio e la banalità potessero restare fuori.
Altro discorso accadeva quando lei, invece, riusciva a non sbagliare nulla. La giusta dose di buona educazione e di sensualità si mescolavano con quel canone di forma che apprezzavo e con la giusta dose di uno sguardo che poteva frantumarmi e diventare complice.
Non credo fosse per la posta in gioco, magari più per la pressione del momento, avevo qualcosa che col mio modo di essere si fondeva, e come un esattore delle tasse, puntuale, giungeva un mio passaggio a vuoto dove l' idiota che e' in ogni uomo che vuole fare il gallo metteva a repentaglio dei sorrisi e delle placide idee di mescolare insieme le proprie vite per un lasso di tempo anche breve.
Quando capitava le gambe erano sempre un tremolio fragoroso, ed avevo spesso la sensazione che i jeans potessero scivolarmi da dosso, ma poi mi riprendevo e non volevo fare altro che toccarla e sentire quale odore avesse.
Così era stato quella sera, e pensare che una mia mossa troppo azzardata, oppure troppo celere, mi aveva anche fatto guadagnare un piccolo buffetto sulla faccia. Come al solito la mia assoluta incapacità di agire per tempo aveva rischiato di rovinare tutto, ma avrei scoperto che proprio quel gesto di educata insolenza fu per lei l' ago di una bilancia emotiva che l' aveva eccitata. Baciami ancora. Stringimi. Ed eravamo stati lì entrambi, dentro casa sua, con quei due calici di vino rosso mai finiti appoggiati in terra, e con il suo sguardo che mi fissava quando dal bagno il rumore dei suoi piedi ne annunciavano il ritorno.
Forse solo sesso, forse per una notte e per mai più, ma l' indelebile traccia del suo odore nel mio naso e sulla bocca, e l' istante in cui la mano stringe l' anca e che l' ha fa girare.


Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

       

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