03/05/16

Cimbali e musiche di neve.




         Lunghe, lunghissime ore sotto la tormenta. Cercava di mantenersi caldo come possibile, ma il vento sferzava fino ad entrargli attraverso e non capiva più dove iniziasse il gelo della notte e dove finissero le scosse provocate da quei brividi che lo scuotevano oramai in modo costante. Appoggiato ad un tronco, l' ennesimo tronco, avanzava lasciando solchi profondi nella neve fresca, mentre le tracce lontane scomparivano sotto nuovi cristalli che via via ne cancellavano l' impronta e riportavano uniformità a tutta la scena come s' egli non fosse mai passato prima. Sentiva la folta barba e le ciglia gelare e sciogliersi contemporaneamente. Il calore della cute aggrediva scivolando via un sudore copioso che serrava gli occhi. Tutto alla vista appariva più sottile e l' orizzonte si appiattiva in un 16:9 che talune volte doveva strofinare e poi tergere con l' avambraccio affinché si riuscisse ancora vedere e per non farlo mutare in ghiaccio grazie a quel feroce vento.
Annientate e ora distanti tutte le sue velleità di poter giungere alla meta, vagava come un pendolo attraverso il tempo cadenzando il movimento per ridurne al minimo la spesa ed allo stesso tempo ottimizzarne il risultato. Si era sporto già un paio di volte in alcune radure che gli erano sembrate ottimali per fermarsi a riposare, ma prima una grotta dalla quale usciva un puzzo di carogna e di primordi lo aveva fatto desistere, poi quella sua assoluta convinzione che potesse disturbare il letargo di un orso bruno della montagna, gli aveva consentito di raschiare nel fondo delle sue volontà, adesso fuse con le paure degli spettri e delle sagome immense di quegli assassini feroci che stavano dormendo. L' incedere claudicante disegnava una traiettoria sagomata, mentre le impronte stavano pian piano cedendo il passo a solchi dolci trascinati e stanchi. I rami e la vegetazione rigida grattavano e adesso incominciavano a graffiare, ma anche lo stesso sangue sulle lacere striature del viso coagulava raggelandosi immediatamente ed andando solo a mutare in arancio il colore percepito del sudore al nuovo passaggio dell' avambraccio pronto a detergere ed asciugare.
Violate ed immobili le specie animali di quel buio solo a scatti per la Luna luminoso. Una Luna che di tanto in tanto trasformava in cenere una notte di tenebra dove la neve stava precipitando come frolla su altra frolla e, ove possibile, trasformava il nero degli alberi in un nero ancor più deciso, sotto la mescola di vento e di cristalli nuovi che si andavano depositando tutti intorno. Violacea tormenta ed un suono che piano si diffonde, prima sordo poi sempre più massiccio. Violacee le cime degli alberi funestate dalla rabbia di una neve esplosa e dalle traiettorie delineate dal fruscio fortissimo del vento. Di la dai fitti tronchi si apre una vallata concava ed un improvvisa Luna che si apre fra le nuvole per un rapido istante mostra lumi di una cima che ora appare la. Una mandria di bisonti che in discesa attaccano sembra cacciare via anche il vento. Soltanto quella bassa nebbia fitta e quella neve restano come signore incaute lì per la serata. D' un tratto un costone cede e vede tutto. Più nulla, poi un' altra mandria di bisonti, ora più numerosa. Cavalcano l' intera valle che ho di fronte e temo di affacciarmi. L' immagine di una valanga che precipita l' abisso accarezzandolo per poi trafiggerlo velocemente appare. Solo le polveri di neve mossa giungono ad esplodere fino al confine della macchia scura.
Salvo, lui pensa. Salvo. In un cammino di complesse e già incrostate avversità il passaggio di valanga impatta nel mio tempo più che nello spazio. Vuol dire aspetta e fermati per riposare credo, o per lo meno questo e' il suo messaggio che ricevo. Alberi e salvezza, valle e tremolio piatto di una neve fresca caduta come l' iride di una vetta che dilata. Scioglie ancora il volto fra le lacerazioni ed il sudore, ma adesso scavo. Dal ghiaccio fuggire e trovando il suo giaciglio dentro al ghiaccio. Scava, toglie i guanti e con le mani. Butta via neve ed altra ancora, fino a non sentirne più i residui sulle punte delle dita. Quell' avambraccio che prima detergeva adesso spala, e vuota. Quel buco adesso accoglie, appena nella valle e fra quegli alberi protetto. Poca luce e l' ansimare spinto di un uomo divenuto animale che ricerca nel respiro anche il suo stesso scopo. Compatta e ricurva ora e' l' ellisse che lo accoglie, come una enorme bolla di sapone appare, fra quel bianco friabile e battuto della neve fresca e la salvezza di un nuovo sole che dovrà poi sorgere. In tutto ciò quel lago di umanità che tiene addosso che lo ammala lento, fra quelle sottili linee degli occhi che al risveglio mostreranno un' altra storia di quella sola notte dove la valanga ha ucciso e travolto ma lo ha pure risparmiato.


Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

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