18/02/16

Il canto delle sirene.




         Eppure spezza! E mi ripete che dovrei essere lì. Ma non ci sono. Forse perché non ne ho più voglia, forse perché ferito dagli eventi ho deciso di farmi scivolare via quella mia parte isterica. Forse semplicemente perché le cose cambiano per me come cambiano per tutti. E allora tutti coloro per cui le cose continuano a non cambiare? Sono davvero tutti affetti dalla sindrome di Peter Pan? Mi guardo intorno e vedo aridi piani di sonnolenta routine, mentre lussureggianti follie continuano a deflagrare schiumandone montuosi effetti tutti intorno. Amici miei volati via che un tempo avrei difeso e sostenuto, mentre mi appoggio per un' altra birra al solito bancone, rifletto sugli standard offerti dalle ali della nostra libertà, oramai vostra soltanto. Vivida e' l' emozione per quello che arriva, e quel nodoso groppo all' intestino che ti assale proprio mentre inizi a viverla. So bene di che parlo anche se adesso parlo e basta. Volata via e' la voglia, dentro le nebbie cupe si disperdono i ricordi e al dunque, di ciò che era, adesso restano soltanto quelle solite pressioni.
Dentro un' intensità che mi concede e si concede di vivermi, e di viverla appieno, in tutta la sua splendida malata interezza, affronto orizzonti che la gran parte della gente nemmeno penserà mai, nemmeno considererà che esistano. E sarà proprio quello, anzi e', il motivo più grande dell' odierna frustrazione.
Un uomo povero non sa cosa vuol dire essere ricco, così come un uomo ricco non sa come si fa per divenire ricchi. Ma chi e' stato povero ed e' riuscito a diventare ricco, se torna d' un tratto povero, si sente davvero distrutto. Quella e' l' assoluta povertà, la miseria, ovvero di colui che sa che un mondo esiste e che lo assaggia per poi tornare ad essere relegato dentro la gabbia di metallo della sua routine senza poterne uscire e all' abbisogna urlare al cielo per tentare di toccare la svanita libertà.
La sorte più misera va a chi quell' esistenza assaggia, a chi e' riuscito a sciogliere con la sua gioventù le sue catene e quelle conferitegli dai dogmi di un perbene accademico e noioso "essere giusti".
Col cazzo! A volte si e' sbagliati, e per assurdo in quei frangenti si e' più giusti di quando occorre, come dire... essere giusti. Alle volte occorre distruggere per poi ricostruire, ricostruirsi. Fondate scene come film interrotti attraversano l' iride in qualcosa che resta e che, come sogno, scorre in fotogrammi di violenta reale essenza. Scivolano via le urla e poi quel fumo, l' odore acre e quelle gesta di bestie avviluppate fra gli incendi esterni e di ciò che brucia dentro. Come echi continui di una cosparsa deflagrazione si mescola ad un terremoto, fra le sirene apparse di un mare in tempesta nero come la pece, e che li vuole scacciare, continuano come sciami e rincorse, come onde e barriere che giungono esplose una riva. Ostaggi di una piatta scena fumosa, le lacrime agli occhi e quei segnali, e l' incedere stanco. Il suono dei polmoni e la gabbia toracica che ne descrive i confini. Dentro l' asfalto rimbomba il rumore della gomma delle suole. Piegato a vomitare saliva fra tosse e spasmi, d' un tratto sazia e trema al fisico che adesso e' vuoto, ma incamera e rilascia ancora scosse elettriche e nuovo impeto per tentare ancora un' altra sortita.
La tempesta sembra avere la meglio, l' assiduo studio di un fenomeno meteorologico e le cupe nuvole che grandinano gelida acqua. Sinistri rumori inchiodano e paralizzano raccogliendo quel che del mare che arrivava resta nei tessuti di una rete logora e svilita. Altre urla, stavolta con tonalità più alte, mentre qualcuno prova a liberare lacerando quelle reti, mentre lo sguardo ipnotico delle sirene attira e chiama verso quelle acque infide. Un abbandono ed un ritorno al gioco della palla sulla spiaggia madida. Spruzzi e schiumose onde sembrano accanirsi verso quel lembo di terreno libero che ancora osteggia e spezza quelle annose cellule di dogmi imposti.
Fuori! Fuori da tutto ciò. Per non obbedire a nulla e fermi ad attendere che il cielo si dissolva in un azzurro intenso, interrotto qua e la da soffici nuvole bianche. E nell' attesa che il sole torni a splendere ed a scaldare, un pò di riposo, supino, sugli stessi granelli che prima erano invasi dal buio cupo e dalle nebbie, dalle onde del mare e dall' impeto del canto.
Avvolgo il fiato come un nastro per cercare di recuperare ossigeno e tranquillizzare il cuore. Schiena ferma si rilassa sul terreno mentre al contempo appare un nuovo ghigno che annuncia un pago sorriso. Quegli attimi di libertà non hanno prezzo, e sono attimi che non torneranno più.
La gioventù, dentro i suoi impeti li spezza! E mi ripete che dovrei essere lì con loro. Ma non ci sono. Forse perché non ne ho più voglia, o forse perché, ferito dagli eventi, io non ho più quella mia parte isterica, ma forse più semplicemente perché mi accorgo che la vita adesso mi attraversa lentamente ed ho imparato a perdere contro la piatta routine.
Quel qualcosa e' andato via e non tornerà. Lo vedo allontanarsi come un bastimento all' orizzonte che svanisce e cade giù. Io so che e' la, sono assolutamente certo che non e' caduto giù, ma a quel ghigno di un tempo ora va sostituendosi un sorriso amaro, perché se per tutti gli altri che non ci sono mai saliti o che non l' hanno visto allontanarsi non esiste, io so perfettamente che quella nave e' lì, ancora pronta ad affrontare il mare, con le sue onde cariche di elettrica potenza e con quel canto infido di una sirena che solo i marinai sanno scacciare.



Roberto De Sanctis - All Rights Reserved

Nessun commento:

Posta un commento